Aggiornato al 11/10/2025

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Francia: il “default controllato” e la crisi politica che l’Europa non vuole vedere

di Achille De Tommaso

 

La crisi francese si presenta oggi come un corto circuito politico ed economico, ben più grave di quanto spesso emerge nei titoli europei. Mentre l’attenzione pubblica è distratta da tensioni internazionali, in seno a Parigi si consuma uno sfarinamento silenzioso del patto istituzionale e del consenso sociale. È come se si stesse gestendo un default controllato: un equilibrio precario mediato da supporti esterni (come la BCE), più che da una reale sostenibilità autonoma.

***

1. Il collasso politico: disintegrazione del centro e governo ingestibile

Il precipitare della crisi governativa

Il dato più lampante è la caduta verticale dell’esecutivo: Sébastien Lecornu, nominato primo ministro il 9 settembre 2025 da Macron, è rimasto al suo posto per meno di un mese. Il suo governo si è dimesso il 6 ottobre, addirittura poche ore dopo aver presentato la lista dei ministri — un record di fragilità nella storia della Quinta Repubblica.  In precedenza, gli esecutivi guidati da Michel Barnier e François Bayrou erano già caduti per dissidi interni e lotte parlamentari legate al bilancio e ai tagli sociali.

Questa instabilità continua non è casuale: la legislatura risultante dalle elezioni anticipate del 2024 era già segnata da una maggioranza traballante, con una Camera frammentata tra la “Nuova Front Populaire” di sinistra, il Rassemblement National di destra e il blocco centrista di Macron. Nessuna coalizione dominante è emersa, e i voti di fiducia sono diventati un campo minato.  


2. Lo stato delle finanze: debito, deficit e rischio di fuga dai mercati

Un debito da record

La Francia ha accumulato un debito pubblico colossale: alla fine del 2024, superava i 113 % del PIL — ossia circa 3,3 trilioni di euro. Secondo le stime della Commissione europea, tale rapporto salirà al 116 % nel 2025, e raggiungerà circa 118,4 % nel 2026 se non si cambia rotta.  Alcuni analisti — come Capital Economics — ipotizzano addirittura un “allineamento” progressivo del debito francese a quello italiano, entro la fine del decennio, se la politica non reagisce.

Il debito record implica che la Francia non solo ha un onere pesante da sostenere, ma che ogni scossa nei mercati finanziari espone lo Stato al rischio di spread e crisi fiduciarie.

Il deficit strutturale e la capacità di manovra ridotta

Nel 2024 il deficit pubblico si è attestato al 5,8 % del PIL (più alto di quanto previsto), segnalando una pressione finanziaria crescente sulle casse statali.  Il governo Macron aveva stimato un deficit al 5,4 % per il 2025, ma concrete politiche di risanamento risultano difficili da attuare in un’assemblea frammentata e con resistenze sociali vivide.  

Il segnale di Fitch e le pressioni sui mercati

Il 12 settembre 2025 l’agenzia Fitch ha declassato il rating sovrano della Francia, portandolo a A+, il livello più basso finora registrato per il Paese da agenzie di rilevanza internazionale.  
Fitch ha esplicitamente citato “un percorso incerto per la stabilizzazione del debito” e “limitata capacità di consolidamento fiscale” come motivi del downgrade
L’agenzia ha inoltre sottolineato che un aumento dei costi di finanziamento rischia di far esplodere le tensioni sui mercati obbligazionari.  

In parallelo, con l’uscita di Lecornu, i rendimenti dei titoli di Stato sono balzati, il mercato azionario (CAC 40) ha registrato perdite e le quotazioni bancarie sono scese.  Questa reazione nervosa dei mercati segnala che gli operatori finanziari non credono più che il sistema politico possa rispondere efficacemente agli shock.


3. Le dimensioni sociali della crisi: disillusione, banlieue, giovani

Il tessuto sociale in tensione

Un fenomeno che la narrazione mediatica tende a minimizzare è la crescente erosione del consenso popolare. Le banlieue, da sempre laboratorio sociale di marginalità, tornano ad essere terreno di manifestazioni e rabbia diffusa, alimentate dal caro-vita, dalla disoccupazione e dai sensi di esclusione.

Disoccupazione giovanile e fuga dei talenti

Un dato frequentemente citato — ma non sempre verificato con precisione — è quello della disoccupazione giovanile al 18 %. Non ho trovato conferma universale recente che attesti esattamente questo tasso per la Francia nel 2025, ma molti rapporti indicano un tasso di disoccupazione giovanile significativamente sopra la media europea, con picchi superiori al 15 %.
In aggiunta, esiste un fenomeno di fuga dei cervelli: giovani qualificati preferiscono emigrare verso Paesi con prospettive migliori, erodendo il capitale umano nazionale.

Disincanto e sfiducia istituzionale

Le continue crisi politiche, l’incapacità di attuare riforme strutturali e la percezione di una casta distante hanno eroso la legittimità delle élite. In molti quartieri, la politica è vista come uno strapotere che non ascolta. Il consenso si sgretola dietro slogan e proteste simboliche.


4. L’Europa osserva, teme e si paralizza

Il pericolo sistemico per l’eurozona

La Francia è (formalmente) la seconda economia dell’area euro; il suo collasso rischierebbe di generare un effetto domino. Bruxelles e la BCE sono ben consapevoli di questo rischio, e perciò — finora — hanno preferito una modalità “a tenuta” piuttosto che un intervento esplicito.
Fitch, infatti, parla di un “default controllato” nel senso che l’ombrello europeo consente agli Stati come la Francia di restare aggregati ai mercati con spread contenuti, finché la fiducia non salta.  La Commissione europea, dal canto suo, ha già messo in “procedura per deficit eccessivo” la Francia, ammonendola sul rispetto delle regole di bilancio (3 % del PIL) che ormai vengono violate sistematicamente
Il silenzio prudente ufficiale dell’UE contrasta con commenti più espliciti di stampa straniera — ad esempio la Frankfurter Allgemeine Zeitung ha pubblicato editoriali che ammoniscono: non si può ignorare che la Francia stia attraversando una crisi strutturale.

Il paradosso della “protezione mediatica”

Rispetto all’Italia del 2011 (quando la crisi sovranazionale fu raccontata come catastrofe imminente), la Francia oggi gode di un trattamento narrativo più tenero nei media europei: fragilità politica e scelte di bilancio vengono descritti come oscillazioni temporanee, non come sintomi di collasso.
Questo “silenzio complice” è funzionale: un’autorità centrale collassata significherebbe dover attivare meccanismi di salvataggio, sanzioni, o addirittura venire percepita come un “caso-Paese” che mette a rischio l’intera architettura europea.


5. Limiti, rischi e scenari futuri

Dove la narrazione può sbagliare

  • Non tutti gli indicatori (es. produzione industriale, export) mostrano un tracollo identico in tutte le regioni francesi. Alcuni settori restano resilienti — ad esempio le esportazioni di lusso, l’aerospazio, le industrie ad alta tecnologia.
  • Il potere di intervento della BCE e delle banche centrali resta un fattore di contenimento non neutro: se la stabilità finanziaria europea è in gioco, la “protezione” potrebbe essere prorogata più a lungo di quanto il mercato razionale suggerirebbe.
  • In una democrazia, la crisi politica può risolversi — o sospendersi — tramite elezioni anticipate, riforme temporanee o compromessi emergenziali: il “default controllato” potrebbe essere un’ipotesi, non una condanna fissa.

Scenari possibili

  1. Rimbalzismo temporaneo: Macron trova un nuovo premier capace di comporre una maggioranza fragile, si adottano riforme marginali, la fiducia torna a sputare gas, i mercati rassicurati fino alla prossima scossa.
  2. Crisi aperta e ristrutturazione forzata: shock esterno (ad esempio aumento forte dei tassi, recessione), fuga di capitali, necessità di rinegoziare condizioni con l’UE, perdita di autonomia fiscale.
  3. Effetto contagio europeo: se la Francia crolla, l’eurozona viene costretta a intervenire drasticamente per non spaccarsi, con rischio di bail-in, trasferimenti fiscali europei, o svalutazioni interne disordinate.

 

Inserito il:08/10/2025 16:55:30
Ultimo aggiornamento:09/10/2025 16:45:00
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