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L’astensione al referendum è un’opzione costituzionalmente ammissibile?
di Giorgio Bertolina
Lungi da me una valutazione di merito dei quesiti referendari ai quali come cittadini italiani saremo chiamati ad esprimerci il prossimo 8 e 9 giugno.
Ciascuno esprimerà una propria valutazione relativamente all’opportunità o meno di abrogare una legge esistente, ritenendola o ancora valida o appunto da cancellare.
Non voglio nemmeno entrare nella discussione circa il significato di abrogare una legge esistente senza per questo avere la possibilità di valutare una proposta alternativa, lasciando perciò al Parlamento l’eventuale successiva discussione ed eventuale integrazione della materia in oggetto.
Vorrei invece qui trattare delle diverse opzioni a disposizione del cittadino elettore, chiamato ad esprimersi ad un referendum.
L’art. 48 della nostra Costituzione recita: “…… Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico….”
L’art. 75 della stessa Costituzione invece:”…… La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi……”
Quindi se da una parte si è sancito il diritto dovere dei cittadini italiani elettori, lasciando quindi chiaramente intendere che un buon cittadino è tenuto ad esprimersi esercitando il proprio diritto di voto ed escludendo quindi l’astensione come pratica meritevole, dall’altra invece si considera (art. 75) la possibilità che l’elettore possa astenersi, facendo quindi mancare il cosiddetto quorum che invalida il referendum stesso.
Assistiamo in questi giorni ai soliti battibecchi tra fazioni opposte proprio relativamente alla possibilità dell’astensione. Per inciso e fuori tema, credo che nei giorni scorsi credenti e soprattutto non credenti non possano non aver riconosciuto la profonda e sconfinata superiorità della Santa romana Chiesa rispetto a qualunque altra istituzione umana.
Tralascio anche le diverse interpretazioni che gli stessi partiti hanno fornito circa la possibilità di astenersi dal voto referendario a seconda del proprio obiettivo del momento, proseguendo quindi nell’arcinoto esercizio di girare la banderuola al vento di convenienza e non di coerenza.
Il punto qui è se l’astensione rappresenti una violazione “morale” del comportamento del buon cittadino elettore chiamato ad esprimersi in virtù di un suo diritto, ma soprattutto del suo dovere.
Così parrebbe se come già ricordato non ci venisse in soccorso quanto l’Assemblea costituente ha invece previsto al successivo art. 75.
A questo punto è evidente la necessità di distinguere nettamente tra elezioni, siano esse politiche o amministrative e referendum.
Nel primo caso vince chi si reca a votare: con il proprio voto esprime una preferenza di partito ed eventualmente di rappresentante che, indipendentemente dal numero di elettori, ossia di chi si è effettivamente recato alle urne verrà conteggiato per stabilire gli esiti elettorali.
Non occorre raggiungere una maggioranza, un quorum, vince, nel senso di prevalenza, comunque chi vota a discapito di chi si è astenuto.
Inutile e superfluo osservare quanto questo diritto dovere abbia sempre meno considerazione da parte dei cittadini elettori, visto il trend di costante ed inarrestabile aumento di coloro che disdegnano e disertano quella che dovrebbe invece essere considerata la più importante espressione di democrazia.
Mi preme invece osservare come nel caso di referendum abrogativo, alle due opzioni delle elezioni, vado a votare ed esercito il mio diritto dovere, o non vado a votare, mi astengo e non contribuisco ad una scelta elettorale, lasciando spazio a chi invece alle urne si è recato, se ne aggiunga di fatto e costituzionalmente una terza: non vado a votare per decisione e scelta di non contribuire con la mia presenza alle urne al raggiungimento del quorum e quindi con il chiaro intento di invalidare il referendum.
Leggo spesso in questi giorni dichiarazioni di rappresentanti politici secondo i quali si dovrebbe comunque esprimere una propria posizione recandosi alle urne ed esprimendo il voto contrario alla proposta di abrogazione della legge in oggetto.
Ritengo invece importante e fondamentale esprimere con l’astensione una posizione diversa, non solo sono contrario all’abrogazione della legge, ma sono anche contrario, nella specificità di ciascun referendum, all’uso di questo strumento e lo dichiaro cercando di far mancare il quorum.
Si può facilmente contestare a questo punto l’impossibilità di distinguere, nell’ambito delle astensioni tra chi ha volutamente deciso di non recarsi alle urne per una chiara scelta e chi invece semplicemente non intende esprimere un proprio parere, astensionismo puro, quello che volgarmente possiamo definire menefreghismo.
Contestazione valida, ma di poco interesse, in definitiva chiunque non si sia recato alle urne, per il quesito referendario bada bene e non per elezioni, di fatto intenzionalmente o passivamente ha escluso l’abrogazione della legge come una opzione sostenibile.
C’è poi un altro punto che riguarda i numeri e la statistica: 500.000 firme per accogliere un referendum sono probabilmente troppo poche rispetto ad un elettorato potenziale di oltre 40 milioni di persone, poco più dell’1%, che tra l’altro con i mezzi (firma on line) messi a disposizione del Ministero degli Interni rendono l’obiettivo molto, ma molto più facilmente raggiungibile rispetto alla raccolta ai banchetti in piazza di una volta.
Rimanendo sui numeri si potrebbe poi arrivare a dubitare fortemente della validità dello strumento del referendum abrogativo come presunta manifestazione di democrazia diretta.
Dal 1997 ci sono stati, escludendo il prossimo di giugno, 9 chiamate alle urne per proporre l’abrogazione di 34 leggi. Solo i referendum del 2011 (gestione servizi pubblici affidati ai privati, tariffe acqua, produzione energia nucleare e legittimo impedimento Ministri) hanno raggiunto il quorum e sancito un voto di abrogazione, per tutti gli altri i votanti hanno, scientemente o incoscientemente, deciso di non esprimersi.
Personalmente ritengo che il ricorso a questo strumento di coinvolgimento diretto dei votanti dovrebbe essere limitato a questioni di natura prettamente etica, laddove l’opinione di ciascuno di noi riguarda aspetti di valutazione personale e non tecnica.
Un ottimo esempio sono stati i referendum sul divorzio nel 1974 o quello sull’aborto nel 1981, chiaramente riferibili a norme di comportamento e di scelta etica e molto poco politica.
Già discutibile invece il referendum sulle centrali nucleari del 1987, trattandosi di una questione strettamente tecnica che la gente comune, semplicemente per mancanza di elementi oggettivi e conoscenze non è, secondo me, in grado di giudicare.
Uscendo dai confini nazionali, userei la vittoria della Brexit come un esempio di sottomissione al giudizio popolare di una questione prettamente tecnica e suscettibile di interpretazioni emozionali piuttosto che di valutazioni tecniche e oggettive, come di fatto è avvenuto, con enorme sorpresa del premier che ha sollecitato il referendum per ragioni politiche e di affermazione personale.
Detto tutto ciò, ovviamente ciascuno può pensare quello che vuole, anche e soprattutto relativamente al significato dell’astensione al referendum, io da parte mia mi sono già espresso e la ritengo un’opzione praticabile e perfettamente costituzionale.