Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

René Magritte (Lessines, Belgio, 1868 – Bruxelles, 1967) - La Memoria - 1948

 

Dato l’avvicinarsi di scadenze elettorali confermiamo che Nel Futuro pubblica nella sezione Politica le opinioni espresse dai diversi Autori senza ovviamente alcuna forma di censura, ribadendo peraltro, come in passato, che queste non necessariamente significano accordo da parte dell’intera Redazione di Nel Futuro.

 

Votare il prossimo 4 marzo non è come le altre volte

di Gianni Di Quattro

 

Un concetto espresso anche in occasione di altri appuntamenti elettorali, perlomeno da parte dei partiti che hanno sempre cercato di convincere assenteisti ed abulici ad andare a votare e, naturalmente, a votare per loro e proprio per questo tutte le volte si è sempre enfatizzata la delicatezza del momento, la necessità di partecipare, qualche pericolo incombente.

E’ avvenuto a partire dal 1948 quando la DC faceva affiggere i manifesti in cui corpulenti uomini russi mangiavano i bambini e il popolo italiano è corso alle urne per evitare il massacro. E così è stato in tutte le tornate elettorali che si sono succedute, e che nel nostro paese sono state tante ma non è da questo che si giudica la democrazia e specialmente il suo livello di sviluppo se qualcuno lo ritiene. Sempre in mezzo a fantasiose invenzioni e imbrogli di ogni tipo, promesse, ed impegni mai onorati.

Per la verità prima gli italiani votavano tanto e poi a poco a poco hanno cominciato a scoprire che non serviva votare perché gli eletti erano sempre gli stessi scelti dai partiti e tutta la campagna elettorale era un enorme cinematografo ad uso degli osservatori internazionali e dei puristi costituzionalisti che si sono sempre accontentati della forma e della volontà di non cambiare (anche di recente). Questo ha prodotto nel tempo la costituzione di una casta sociale numerosa ed agguerrita che ha potenziato la burocrazia cui da una parte ha demandato la responsabilità di governare (perché impegnata in altro e poi non sapendo come fare) e dall’altra ha preteso attenzione formale (per gli occhi del popolo) e supporto nella continuazione dell’esercizio del potere.

Il potere per i partiti storici e meno storici (cioè anche da parte degli ultimi arrivati che sono tanti) è soprattutto stato inteso come potere di permettere di fare affari agli amici, di distribuire posti e incarichi, di partecipare alla distribuzione di tutto ciò che, di proprietà e di interesse pubblico, è possibile dividere, possedere, portare via come quando si spoglia una casa abbandonata. Certamente anche il potere di combattere i nemici e di eliminare gli ostacoli. Per massimizzare i profitti è stato necessario ricorrere a strutture parallele anche di tipo criminale cui in cambio bisognava consentire di fare a sua volta i loro affari.

In questo contesto tutti coloro che hanno provato a proporre cambiamenti od a tentare ristrutturazione degli apparati e dei modi di operare sono stati prima o dopo penalizzati ed espulsi. E questo è successo a tutti a prescindere dalla bontà o meno di quello che volevano fare e gli esempi di Berlusconi prima e di Renzi poi sono da manuale. Naturalmente gli oppositori al cambiamento sono in primis quelli che sfruttano la situazione attuale e poi tanti che temono di non sapere operare in campi diversi o che si preoccupano di non alterare un equilibrio in cui sono inseriti come accademici, osservatori, giornalisti o appartenenti ad organi dello Stato in maniera diretta o indiretta (tutta gente con capacità di influenzare molti cittadini, soprattutto quelli particolarmente ingenui o ignoranti che nel nostro paese sono tanti al punto di poter determinare la vittoria o meno di un partito o di un altro).

Ma stavolta le elezioni politiche del prossimo 4 marzo potrebbero essere davvero una svolta per il paese, potrebbero essere determinanti forse come quelle del 1948 almeno, quando il paese fece la svolta atlantica invece di volere andare verso il mondo satellitare sovietico.

Perché? Intanto la competizione non è come le altre volte tra partiti con visioni e programmi diversi, perlomeno non solo. Ci sono dei concorrenti chiaramente attraversati da fenomeni di populismo in nome del quale giustificano incompetenza e superficialità, ci sono concorrenti che nascondono a malapena culture e progetti improntati al razzismo, si sono ripresi discorsi dimenticati da tempo sulle opere buone del fascismo, si gridano e invocano politiche di protezionismo e isolazionismo in periodo di globalizzazione e di predominio della tecnologia, scienza da cui siamo esclusi e che potrebbe, se l’isolazionismo fosse spinto davvero, portarci ad una situazione simile a quella della Albania degli anni passati.

Ma la situazione più critica anche rispetto al passato viene dagli elettori, dai cittadini. In grande parte disillusi dal come questo paese è stato gestito, frustrati dalla esibizione di privilegi da parte di alcune caste come quella dei politici, dei banchieri e dei manager di Stato, preoccupati di perdere privilegi acquisiti al limite della legalità, di non capire il futuro e di avere nei suoi confronti una paura crescente, in generale ignoranti di come sono le strutture dello Stato e di come si muovono i fatti a livello internazionale, incapaci di pensare alla innovazione come una prospettiva per il futuro. Questi cittadini, nella maggior parte, sono prigionieri di conseguenza di una furia devastatrice che vorrebbe esprimersi come nelle grandi rivoluzioni con assalti ai palazzi del potere, la cattura dei responsabili e la loro esecuzione su piazza con la conseguente distribuzione al popolo dei beni di proprietà di questi funzionari.

In altri termini, tali condizioni psicologiche dei cittadini li rendono in gran parte disponibili a seguire idee estreme, promesse di grande cambiamento a prescindere dalla loro realizzabilità, utopie che aprono scenari di bellezza e di gioia e li rendono fragili come non lo sono mai stati. Fragili perché incapaci di decidere con freddezza del loro futuro, facili preda di sirene che li irretiscono e li conducono nel baratro più profondo, incapaci e impossibilitati di aggrapparsi alla cultura e alla conoscenza.

E dunque in questa tornata elettorale, votare, partecipare ha un significato diverso rispetto alle altre volte, non si tratta solo di scegliere un partito o un protagonista, ma si tratta di creare una diga contro una deriva già molto consistente al limite della inarrestabilità. Una diga per prendere tempo, per continuare a sperare, per mandare messaggi positivi alla comunità internazionale dicendo che il paese c’è ancora e cerca di ragionare, per far capire ai tanti mestatori sociali e tribuni di carta che il paese riesce ancora a reagire anche se in ritardo, non con la necessaria forza e in modo non compatto.

Dunque bisogna esserci, bisogna non alzare le spalle di fronte ad un compito che sembra titanico, bisogna ricordarsi del 48 quando alla fine il paese ha imboccato una strada che certamente non è stata brillante, ma comunque ci ha consegnato al gruppo dove alcuni valori, pur se azzoppati, esistono e hanno significato come la libertà, la bellezza e la cultura.

 

Inserito il:31/01/2018 12:54:53
Ultimo aggiornamento:31/01/2018 13:07:30
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