Santiago Lopez Velasquez (Medellin, Colombia, 1996 - ) - Rio de Janeiro
Fermatelo, per il bene del pianeta!
di Graziano Saibene
Avrei voluto tanto parlare di qualcos'altro. Qualcosa di diverso che non avesse niente a che fare con il Brasile. Da cui, causa pandemia, sono lontano da parecchi mesi.
Ma ho molti amici a Rio, che mi comunicano spesso le loro ambasce, e vorrebbero sapere come vediamo il loro Paese da “quassù”.
Sì, in effetti ogni tanto se ne parla anche qui, quasi per distrarci dalle nostre, di ambasce, o per consolarci constatando che da qualche parte c'è qualcuno che sta peggio di noi. E più passano i giorni, più mi convinco che per qualche ragione lì non sono ancora arrivati a vedere la luce in fondo al tunnel. Anzi, mi sembra di capire che il loro pozzo sia sempre più giù, che il peggio per i Brasiliani non sia ancora arrivato.
Il sogno di essere nati nel paese del futuro si trasforma ancora una volta nell'incubo di non riuscire a vivere un presente accettabile. E in questa ricorrente realtà negativa, si ritrovano con l'aggravante di avere eletto democraticamente il peggior presidente possibile per gestire una situazione così drammaticamente difficile. Il quale si è da subito dimostrato inadeguato ad affrontare i primi problemi che l'arrivo del nuovo virus determinava nella sua gente, scegliendo atteggiamenti sconsiderati, analoghi a quelli presentati dal suo omologo statunitense, quasi a mettersi in gara con lui nel conteggio settimanale del peggior risultato di tutto il pianeta.
Qui dalle nostre parti si parla ancora abbastanza spesso del Brasile, quando arrivano le immagini delle distruzioni sistematiche dell'Amazzonia, o ne riecheggia il nome dato a una delle peggiori varianti del virus maledetto: sono due conseguenze amare di errori recenti, imputabili sempre allo stesso capo.
Il peggio è che qegli errori non sono stati commessi per incapacità o manifesta ignoranza. Sono stati provocati da azioni volontarie, compiute coscientemente per raggiungere determinati risultati.
Jair Bolsonaro sa perfettamente che le sue chances di essere rieletto alla fine del 2022 dipendono dai risultati dell'economia, che in questo momento sono sempre più negativi. L'unico settore che tiene è quello agropecuario, che alimenta anche le esportazioni, gravemente diminuite negli altri comparti. Quindi fa di tutto per espanderlo il più possibile, togliendo qualunque vincolo alla invasione sistematica delle aree dove allevare o seminare, anche se ciò vuol dire spesso disboscare o far sloggiare gli indios dalle aree a loro destinate dalla Costituzione vigente. Tutti gli enti governativi preposti alla protezione di queste aree sono stati infatti massicciamente depotenziati e ingabbiati, con il risultato che durante il periodo del suo mandato presidenziale sono aumentati sensibilmente gli incendi che hanno devastato soprattutto la foresta amazzonica e il pantanal del Mato Grosso.
Via libera quindi per grandi e piccoli allevatori, spesso in arrivo dal sud del Brasile, dove la tradizione e la cultura previlegia gauchos in cerca di fortuna. Poco tempo fa, guardando una trasmissione televisiva, ho notato che i loro cognomi tradiscono discendenze di più o meno antichi immigrati provenienti soprattutto dal Sud Europa, quasi sempre italiani, come è il caso del presidente Bolsonaro.
Prima arrivano quelli che provano a impiantare un allevamento bovino, dopo aver raso al suolo migliaia di alberi, da vendere alle segherie che sorgono subito nei pressi, e preparano i legnami più pregiati per l'esportazione (quasi sempre verso i paesi europei, i cui importatori riescono chissà come a “legalizzare” la loro provenienza.)
Poi, quando l'estensione e la configurazione dei terreni “riscattati” alla foresta li rende appetibili alle grandi aziende produttrici di soia, queste ultime li acquistano, spingendo gli allevatori a riprovarci un po' più in là. Oggi la produzione di soia (che viene utilizzata in tutto il mondo soprattutto per la preparazione dei mangimi animali) è l'attività agroalimentare che rende di più, e continua ad aumentare. Al diavolo le preoccupazioni del mondo sul riscaldamento climatico, sulla biodiversità, sulla sopravvivenza dei popoli indigeni! Quello che importa sono i riscontri nei sondaggi elettorali, e il controllo del Congresso, dove il gruppo dei rappresentanti di allevatori e aziende agroalimentari può essere decisivo nelle votazioni in appoggio ai disegni del Governo.
Sta succedendo quello che nemmeno i più ottimisti fra i sostenitori di Bolsonaro speravano: la pandemia sta impegnando la maggioranza dei paesi del mondo in altre faccende più urgenti. E anche se molti dei finanziatori del Brasile stanno rivedendo i loro programmi di investimenti in quel Paese, peggiorando così il suo futuro, Bolsonaro e la sua cricca cercheranno di approfittare della situazione per imperversare con le loro malefatte per almeno quest'anno e buona parte del prossimo.
Intanto, mentre il suo presidente non si vergogna di apparire spesso sui socials o in TV accusando la gente di essere troppo piagnucolosa e tremebonda per il numero dei decessi, incitandola a tornare a vivere e lavorare come se nulla fosse, quel numero sta salendo con incremento esponenziale e raggiungerà presto la terrificante cifra di 3.000 al giorno! .
Non sarà facile per i poveri Brasiliani sbarazzarsi ancora una volta anticipatamente del pessimo capo che si sono eletti: lui si è infatti pazientemente e con una gran dose di strafottenza costruito un buon baluardo, inserendo nella Corte Suprema un sufficiente numero di magistrati a lui favorevoli, in sostituzione di quelli che nel frattempo sono andati in pensione: l'ha fatto forzando al massimo le prerogative costituzionali, che gli hanno permesso di ignorare le triadi di candidati più idonei proposte ogni volta dal collegio dei magistrati, e di scegliere invece personaggi ideologicamente più vicini a lui, spesso notoriamente collegati agli affollati studi legali che lavorano per lui e la sua famiglia.
A questo punto la prospettiva di un nuovo processo di impeachment diventa difficilmente percorribile.
Mi viene da pensare che al Brasile sia toccata in sorte una parte ingrata: quella di dimostrare al genere umano che la Storia qualche volta sa dare i suoi colpi di coda. E quelle che sono state incasellate come grandi conquiste dell'umanità, cominciano a dimostrare i loro effetti negativi proprio per la sopravvivenza dell'umanità stessa..
La scoperta dell'America è avvenuta per caso, Colombo stava cercando qualcos'altro. E anche l'esistenza del resto di quel continente descritto, come altre parti del pianeta, in seguito ai favolosi viaggi di Magellano, è stato un evento che ha segnato un salto nelle conoscenze e nel sapere degli umani.
Ha però da subito solleticato gli appetiti di conquista dei popoli al momento più attrezzati per provarci.
Ma i vari Cortez e Pizzarro e tutti gli altri esploratori sbarcati a Nord e a Sud non si sono fatti molti scrupoli nel dimostrare la supremazia dei conquistatori nei confronti dei “conquistati”.
In Brasile era arrivato nell'aprile dell'anno 1500 il navigatore portoghese Pedro Alvarez Cabral.
Come sempre è accaduto in tali circostanze, è prevalsa la volontà di sopraffarre con la propria “civiltà” tutte le altre preesistenti, giudicate – senza mai essere sfiorati dal minimo dubbio - nettamente inferiori.
E così i fortunati - fino a quel momento - abitatori del “paradiso” rappresentato dal nuovo grande continente incontrato per caso, sono stati cacciati e rinchiusi in gabbie sempre più anguste (la cosiddette “riserve”), per permettere ai conquistatori di rimpiazzarli e sfruttare al meglio tutte le loro ricchezze, espropriate senza scrupoli, per alimentare gli appetiti e i commerci dei nuovi arrivati. D'altronde, allora, non era nemmeno pensabile una qualsivoglia etica che rispettasse un minimo di “diritti umani”, senza dimenticarci che in quell'epoca indigeni e neri erano considerati molto meno umani dei conquistatori. Anzi, non è un segreto, ma per molti anni, quelli che si nascondevano nel profondo delle grandi foreste, venivano equiparati a selvaggina da cacciare.
E così Seminole, Apaches, Sioux, Cherokee, Cheienne nel nord, Maya, Atzechi e Incas, Tupì, Guaranì, Yanomami e Xingù nel centro e nel sud del nuovo continente, sono stati via via cancellati dal mondo, e gli ultimi indios che ancora pretendono di sopravvivere in Amazzonia, presto seguiranno la stessa fine.
A meno che la nuova corrente di pensiero, in decisa ascesa in questo millennio, - quella degli scienziati che stanno cercando di convincerci della necessità di preservare l'ambiente del nostro per ora unico pianeta, - non abbia rapidamente la meglio, vincendo le resistenze dei molti “negazionisti” ancora in campo.
E così, la cricca di Bolsonaro non avrà il tempo di completare il suo disegno criminale, che tende a togliere del tutto quell'ingombrante ostacolo che rende complicato davanti al resto del mondo la colonizzazione dell'immenso territorio dell'Amazzonia.
I sostenitori della difesa della foresta ritengono, a ragione, che gli indios sono da sempre stati in grado di prendersene cura, proprio per ragioni di sopravvivenza. Hanno però, queste etnie, una debolezza estrema quanto ad anticorpi verso le malattie con cui i colonizzatori di ieri e di oggi finiscono involontariamente (?) per contaminarli. E muoiono come mosche per qualsiasi morbillo o influenza che arrivi fino a loro. Stiamo tutti vedendo quello che capita nel territorio di Manaus, da quando è arrivata la pandemia: una strage inarrestabile!
Per giustificare gli incentivi allo sfruttamento agroalimentare dell'Amazzonia o all'istallazione di nuove centrali elettriche che sfruttino l'andamento ciclico dei corsi d'acqua che attraversano la grande foresta tropicale, i governanti sostengono che il loro obbiettivo è accelerare l'inevitabile integrazione delle popolazioni rivierasche – in maggioranza indie – nelle nuove attività che sorgerebbero su quel territorio.
Ma, per chi non concorda con queste tesi, è certo che, senza più di mezzo gli indios, diventerà solo una questione di discussione fra i sostenitori della capacità delle foreste tropicali di dare il loro grande contributo alla qualità dell'atmosfera terrestre, e alla lotta contro il surriscaldamento del pianeta,da una parte; e dall'altra coloro che invece continuano a negare l'esistenza di questo problema, e non accettano l'idea di limitare il continuo massiccio apporto di CO2 dovuto sia all'uso dei combustibili fossili, che alle emissioni delle sempre maggiori mandrie di ruminanti allevati per sopperire alla richiesta di carne bovina nel mondo.
La stragrande maggioranza della popolazione del continente americano è composta da discendenti dei colonizzatori, compresi i molti che sono nati da unioni miste, e da quelli trasferitici a forza come schiavi. E tutti ora rivendicano la loro parte, nei processi di sfruttamento del territorio occupato.
La storia del continente americano è tuttora impregnata dagli aspetti peggiori della cultura di cowboys e gauchos protagonisti gli uni della conquista del West e gli altri della difesa dei confini di molti stati sudamericani: hanno così spesso conquistato il potere governi che ne hanno assecondato gusti e richieste, come, da sempre, la liberalizzazione dell'uso delle armi, e ora l'occupazione di nuovi territori. Donald Trump ha fatto la sua parte, ed ora ci sta provando Bolsonaro, a rivaleggiare con i “conquistadores”.
Speriamo che lo fermino in tempo!
Post Scriptum: Proprio mentre stavo completando la stesura di queste mie note, giunge dal Brasile la notizia bomba che riguarda l'ex presidente Lula: il processo che l'ha portato a passare la maggior parte dei giorni in questi 2 ultimi anni fra carcere e aule del tribunale di Curitiba, è stato annullato per chiare irregolarità, commesse dal giudice Moro. Questo è il parere espresso dal giudice della Corte Suprema Edson Facchin, relatore incaricato ad esprimersi sull'istanza di invalidazione del processo stesso. Parere che vale come sentenza, e che restituisce tutti i diritti civili all'ex presidente, compreso quello di ricandidarsi alle prossime elezioni (2022). Il che affossa del tutto le pretese di rielezione dell'ineffabile Bolsonaro, come le prime proiezioni di sondaggi (del tutto prematuri!) stanno dimostrando.
Pare che qualcuno abbia voluto esaudire subito, mentre le stavo promulgando per iscritto, le mie invocazioni, dichiarate sia nel titolo che nella conclusione delle mie note.
Su Lula avevo scritto al tempo dei primi processi. Comunque, in sintesi, io penso che la sua vita politica, - da operaio tornitore meccanico, sindacalista, fondatore del partito dei lavoratori (PT), e presidente del Brasile, - sia stata sicuramente eccezionale e ampiamente positiva. Ma, come il nostro Bettino Craxi, ha approfittato del suo potere per spingere i suoi a succhiare tangenti dalle grandi agglomerazioni industriali e finanziarie inevitabilmente avvantaggiate dalle ricorrenti commesse statali. Seminando corruzione anche in tutti gli altri governi dei paesi vicini, dove i grandi gruppi brasiliani ottenevano ricchi contratti, soprattutto in opere infrastrutturali. Questa sua colpa offusca, a mio parere, anche i meriti (da condividere col predecessore Fernando Henrique Cardoso), di aver provato e in parte ottenuto una certa ridistribuzione delle ricchezze, cominciando a diminuire la diversità tra i più poveri e i più ricchi del suo Paese. Viene da pensare che, finanziando con le tangenti i programmi ridistributivi “Minha casa, minha vida” e “Bolsa familha”, abbia finito per introdurre una specie di “patrimoniale” strisciante sottobanco!