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Il circo di Anchorage: Trump, Putin e la grande sagra della pace giusta
di Achille De Tommaso
Forse questo mio scritto avrebbe dovuto attendere i risultati dell’incontro a Washington di oggi, 18 agosto, per essere più preciso, ma tant’è, ce n’è abbastanza per cominciare a commentare:
Oggi si parla di “diplomazia riuscita” solo perché Zelensky vola a Washington circondato dai leader europei, ma è pura scenografia: non è il corteo che decide la guerra, ma i rapporti di forza. Oggi la realtà è che l’Ucraina ha perso terreno nel Donbass e vive di aiuti esterni. Pensare che “spetti a Kiev decidere cosa accettare”, come affermano i “volenterosi” è un’illusione: chi perde una guerra non detta condizioni, e mi piace qui ricordare la clausola costituzionale voluta dallo stesso Zelensky – che vieta negoziati con Mosca – che rende kafkiana la posizione di Zelenski che oggi, invece, chiede di essere lui a negoziare. Quanto a Trump, è ingenuo immaginarlo spettatore passivo: la sua posizione è chiara, puntare a un compromesso territoriale per fermare un conflitto che logora gli USA più che la Russia. Dire che sia “uno schiaffo” all’America (come alcuni media hanno sottolineato) questo corteo di europei + Zelenski è ribaltare i fatti: sono gli europei che chiedono copertura a Washington, non il contrario.
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Ci sono momenti in cui la geopolitica sembra un dramma shakespeariano, e altri in cui ricorda più una commedia dell’arte con clown, maschere e spettatori che pagano caro il biglietto. Anchorage, agosto 2025, appartiene alla seconda categoria. Trump e Putin sul palco principale, Zelensky lasciato nel backstage a chiedersi perché non compaia più nei titoli, e l’Europa in platea, con il posto peggiore, dietro una colonna ad allungare il collo per vedere cosa succede.
Subito i giornali italiani hanno ripetuto: “Non c’è nessun accordo!” Come bambini convinti che Babbo Natale esista, perché vede i pacchi sotto l’albero. E invece l’accordo c’è eccome, solo che non è stato pensato per le cronache europee, ma per ridisegnare i rapporti tra Washington e Mosca.
Boeing decolla, Airbus arranca
Apro una parentesi. L’Alaska non è stata scelta per caso. È la porta del Pacifico e la cerniera tra rotte aeree e destini industriali. Boeing ad esempio ci guadagna, con rotte polari, e forniture blindate. Airbus? Resta a guardare, prigioniera delle stesse sanzioni che l’Europa si è orgogliosamente auto-inflitta. Una sorta di penitenza geopolitica: mentre gli americani brindano con i russi, i francesi restano con gli hangar pieni di aerei invenduti e i comunicati pieni di retorica. Ma questa è una parentesi.
Putin, l’uomo che non doveva esserci
Nel 2022 lo davano per finito, isolato, condannato a un futuro di solitudine geopolitica, con un tumore, con la mano paralizzata. Oggi eccolo lì, sorridente, che stringe la mano al presidente americano sul tappeto rosso. Putin non è più il paria delle sanzioni: è il partner che Washington sceglie per rilanciarsi nell’industria aerospaziale e non solo. E mentre in Europa si fanno calcoli su quanto costa il gas norvegese, lui tratta in Africa, si rafforza nel Sahel e ridisegna la geografia delle alleanze.
Zelensky, l’attore senza copione
C’è poi il presidente ucraino. Un tempo protagonista assoluto, ora ridotto a comprimario che aspetta inviti che non arrivano. La telefonata di Trump? Poche frasi di cortesia, nessuna promessa. La sostanza è chiara: “Non sei più parte del cast.”
In compenso a Bruxelles continuano a ripetere il mantra: “Kiev nell’Ue, Kiev nella Nato, La Pace Giusta.” Come se bastasse recitarlo tre volte davanti allo specchio per farlo accadere. È la geopolitica ridotta a superstizione, con Zelensky nel ruolo di vittima sacrificale.
L’Europa, spettatrice pagante
Ed eccoci alla parte più buffa, se non fosse tragica. A Bruxelles i leader si riuniscono per discutere del… nulla. Sì, del nulla cosmico. Nessun accordo da smontare, nessuna dichiarazione da reinterpretare. È il solito teatrino inutile dei sedicenti Volenterosi, condito da tartine e moralismo.
E come ciliegina, il concetto di “pace giusta”. Un’espressione talmente ridicola da meritare un premio alla comicità involontaria. Perché, se la pace “giusta” significa non accettare le condizioni russe, allora la matematica è spietata: ci saranno più morti, più distruzioni, più città ridotte in macerie. Fino al giorno in cui la Russia avrà ottenuto i territori che pretende. Altro che pace: è l’arte del rinviare l’inevitabile, travestita da etica superiore. Perché la Russia non vuole un armistizio che servirebbe solo agli ucraini di riorganizzarsi e ricevere aiuti. Vuole una pace totale; ma alle sue condizioni.
Quando la satira scrive da sola
Infierire non è elegante, d’accordo, ma a volte diventa inevitabile. Per anni ci hanno raccontato che la Russia fosse “allo stremo”, che i soldati di Mosca scavassero trincee con pale arrugginite e che i generali costruissero droni con i circuiti delle lavatrici. Secondo gli esperti da salotto, Putin, con una mano paralizzata, era malato terminale di tutte le malattie del pianeta e anche di qualcuna ancora non catalogata. In certi talk-show si giurava che i video del Cremlino mostrassero una controfigura, mentre il vero Putin, gonfio e pustoloso, giaceva su una brandina da campo.
Eppure, eccolo lì, vivo, vegeto e sorridente ad Anchorage. Intanto, gli stessi che sbagliarono ogni previsione oggi ci spiegano con aria solenne che la trattativa è un fiasco, che Trump è stato “umiliato”, che in fondo la guerra l’ha vinta Kiev con la Nato. Ma allora – verrebbe da chiedere – come mai l’Ucraina continua a perdere territori mentre la Russia ne consolida di nuovi? Mistero della fede geopolitica.
Il teatro dell’assurdo europeo
E non finisce qui: a Bruxelles continuano a recitare copioni da cabaret. Non si accetteranno veti sull’ingresso dell’Ucraina nella Nato (mentre la NATO ha chiaramente detto che l’Ucraina se la sogna…), non si accetteranno veti sull’entrata nell’Ue, non si accetteranno compromessi territoriali. Nel frattempo, squillino le trombe: è pronto da Ursula un nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca. Qualcuno dovrebbe spiegar loro che l’unica cosa che queste sanzioni hanno realmente piegato sono state le tasche degli europei.
Me li immagino, questi burocrati, riuniti in una stanza a Bruxelles: “Dai ragazzi, inventiamone un’altra, vediamo come reagiscono stavolta!” Non posso credere che siano davvero convinti. Davvero Von der Leyen, Macron e Starmer pensano di spostare gli equilibri mondiali con un comunicato stampa e due tweet indignati?
Il capolavoro, però, è stato ascoltare ieri un commentatore “autorevole” spiegare che, se l’Ucraina entrasse nella Nato, l’ombrello nucleare francese si estenderebbe fino a Kiev. Già me lo immagino Putin, a tremare di paura davanti alla minaccia del bottone atomico di Parigi. Francia e UK nel complesso hanno circa 500 testate nucleari, la Russia ne ha 6000… (e non è vero che ne basta una per distruggere l’umanità, Nagasaki insegna…)
La strategia del silenzio
Trump e Putin, intanto, ridono sotto i baffi. Non hanno detto nulla di concreto, ed è proprio questa la loro forza. L’opacità diventa arma: più taci, più vinci. I sorrisi, quelli sì, hanno parlato: “L’accordo lo abbiamo già fatto, cari europei. Solo che voi non siete nel club. Magari siete nel menu…”
Conclusione: applausi e popcorn
Il summit di Anchorage non è stato un fallimento, ma uno spettacolo perfettamente riuscito. Trump e Putin protagonisti sorridenti, Zelensky relegato al ruolo di comparsa, e l’Europa costretta a guardare con il biglietto più caro e i popcorn più salati.
La lezione? La politica internazionale non è ciò che si dice davanti ai microfoni, ma ciò che si decide nelle stanze chiuse. L’Alaska lo ha dimostrato: chi parla troppo perde, chi tace sorride.
E mentre a Bruxelles si discute di “pace giusta” con il fervore di un club di lettura del dopolavoro ferroviario, a Mosca e Washington si ride forte. Perché la pace, quella vera, la scriveranno loro. L’Europa, come sempre, pagherà il conto.
La Peggiore Soluzione Per Noi: Zelensky E I Volenterosi Non Accettano Le Condizioni Di Mosca, L’America Si Tira Indietro E L’Europa E’ Lasciata Sola A Svangarsi L’Ucraina
Un tempo protagonista osannato, oggi Zelensky sembra l’attore che ha perso la parte principale e vaga dietro le quinte in attesa di un copione che non arriva più. Prima ci aveva raccontato che la controffensiva di primavera avrebbe ribaltato la guerra: fallita. Poi che sarebbero bastati i carrarmati occidentali: bruciati sul campo una volta ottenuti. Subito dopo la speranza negli aerei da combattimento: ottenuti. Vittoria non raggiunta. Non contento, Zelensky ci ha venduto l’illusione che avrebbe vinto, con il permesso di bombardare la Russia stessa; fallito. Infine l’ultimo miraggio: una invasione in territorio russo, fallita mi pare con Kusk (più nessuno ne parla...)
In ogni episodio la sceneggiatura era la stessa: “Se arriva la prossima arma miracolosa, allora la guerra cambia e gli ucraini vincono. E se non vinciamo è colpa dell’Occidente che non ci dà armi per difenderci e difenderla (!).” Invece la guerra non è cambiata, e Zelensky ha sempre perso. Sempre.
Eppure a Bruxelles si continua a recitare il mantra, come un rosario recitato a memoria: “Kiev nell’Ue, Kiev nella Nato.” Una formula magica che non apre porte né cancella sconfitte. È la geopolitica ridotta a superstizione, con Zelensky trasformato in vittima sacrificale, usata per tenere in piedi la farsa di un Occidente che non vuole ammettere di aver puntato sul cavallo sbagliato.
Lo scenario peggiore: Kiev e l’Europa rifiutano le condizioni di Mosca e i Volenterosi si accollano la guerra
Europa senza USA: uomini, mezzi e costi reali
Se dopo l’incontro con Zelensky Donald Trump decidesse davvero di ridurre – o addirittura congelare – il sostegno all’Ucraina, il testimone della guerra passerebbe interamente all’Europa. E qui smettono i proclami e iniziano i numeri: uomini, mezzi e denari.
Vediamoli:
Gli uomini
Sulla carta l’UE dispone di circa 1,3 milioni di soldati attivi, ma la realtà è meno eroica: solo un terzo è realmente pronto a combattere. La Russia, invece, non solo ha già mobilitato oltre 1,3 milioni di effettivi, ma nel 2025 prevede 400.000 nuovi arruolamenti. Tradotto: per non restare schiacciata, l’Europa dovrebbe reclutare almeno mezzo milione di uomini in più.
Costo immediato? Circa 25 miliardi di euro (stipendio medio annuo 45.000 €, addestramento ed equipaggiamento 20.000 € a soldato). E poi almeno 30 miliardi all’anno solo per mantenerli operativi. Un salasso che farebbe impallidire qualsiasi manovra finanziaria.
I mezzi
L’Italia, con i suoi 90 F-35 ordinati (40 già consegnati), è l’esempio perfetto di quanto costi il “giocattolo”. Prezzo di listino: 80-100 milioni di dollari l’uno. Ma il vero incubo è la manutenzione: 36.000 dollari per ogni ora di volo. Un semplice scramble d’allerta – pochi minuti in aria – si traduce in centinaia di migliaia di euro che svaniscono come benzina sull’asfalto bollente.
Ora, immaginate una difesa aerea europea senza gli USA: servirebbero almeno 100.000 ore di volo annue, cioè 3,6 miliardi di dollari solo tra carburante e manutenzione. E questo senza contare che mancano asset fondamentali: oggi gli USA forniscono oltre il 70% dei tanker per il rifornimento in volo e praticamente tutti gli AWACS radar. Senza di loro, i cieli europei diventano semplicemente ciechi.
La logistica
Qui il divario è imbarazzante. Gli Stati Uniti possiedono circa 220 C-17 Globemaster per trasporto strategico; l’Europa, in uso condiviso NATO, ne ha appena 22. Trasferire rapidamente divisioni, mezzi pesanti e munizioni diventerebbe un’operazione impossibile.
E non va meglio con le comunicazioni: gran parte delle reti satellitari militari europee si appoggia su sistemi americani. Tradotto: senza Washington, un conflitto ad alta intensità ci lascerebbe con le linee di comando zoppe e la logistica da terzo mondo.
I costi
Attualmente l’UE spende circa l’1,9% del PIL in difesa: poco più di 240 miliardi di euro complessivi. Ma per garantirsi un’autonomia militare minima servirebbe almeno il 3,5% del PIL, cioè altri 200 miliardi l’anno.
E se la guerra diventasse di alta intensità? Il conto salirebbe al 4-4,5% del PIL europeo, vale a dire oltre 400 miliardi di euro annui. Più del doppio di oggi, e più di quanto spende Mosca (che però paga i suoi soldati un decimo e produce armi a costi interni molto più bassi).
La cruda equazione
Senza Washington, l’Europa si troverebbe a:
- arruolare mezzo milione di uomini in fretta e furia,
- tenere in aria caccia costosissimi a rotazione continua,
- ricostruire da zero una logistica strategica che oggi non possiede,
- e spendere il doppio di quanto spende già adesso.
Altro che “pace giusta” e conferenze balneari: se i Volenterosi vogliono rifiutare le condizioni di Mosca, la guerra diventa presto una questione di matematica pura. E la matematica, a differenza dei comunicati stampa europei, non fa sconti.