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Dove va l’America?
di Bruno Lamborghini
Due recenti eventi ci ripropongono precise domande: dove stanno andando gli Stati Uniti a guida di Trump? Cosa succede ad un paese che è sempre stato simbolo di democrazia e libertà? E’ entrata in crisi la più grande economia del mondo?
Il primo evento è il declassamento da AAA a AA1 del rating di Moody nei confronti degli Stati Uniti, una decisione quasi mai presa in passato per il rischio di determinare pesanti effetti non solo sull’economia USA, ma sull’intera economia e finanza mondiale, dato il ruolo ed il peso che hanno gli USA.
Questa manifestazione di sfiducia verso l’amministrazione Trump ha già provocato forti vendite di bond da parte delle riserve all’estero con aumento dei tassi dei titoli a dieci anni oltre 4,5% e del 5% per scadenze superiori con effetti sul costo dell’immenso debito pubblico prossimo ai 37 trilioni di dollari e sull’indebolimento del dollaro.
Le politiche avviate da Trump sui dazi, anche se in confusa descalation e le previste riduzioni fiscali hanno creato reazioni a Wall Street, peraltro in parte recuperate, e battaglie al Congresso in merito all’approvazione del budget federale (peraltro lo stesso Congresso ha approvato una legge, denominata, alla Trump, “Big Beautiful Bill”, che prevede grossi tagli fiscali e riduzioni alla spesa sanitaria, alle coperture assicurative ed anche alla tutela ambientale). Ci si attende anche crescita inflazionistica, maggiore deficit e crescita del debito, prospettive peraltro già in parte scontate. E certamente si aggrava il trend, iniziato anche prima dell’avvento di Trump, di perdita di fiducia verso l’economia del dollaro.
Il secondo evento è la decisione di Trump di impedire agli stranieri di studiare presso l’Università di Harvard, il maggiore centro di formazione americana che attrae studenti da tutto il mondo, parte di noi europei ha studiato ai corsi di Master di Harvard. Il blocco degli stranieri impedirebbe ad Harvard di essere finanziata soprattutto da paesi esteri, come ad esempio l’Arabia Saudita.
Trump considera Harvard un suo nemico, la scuola del woke e della democrazia troppo libera e per questo intende bloccarla. Certamente questo obiettivo è pura follia e sarà impedito da parte della Corte Federale, ma è un segno pesante della svolta autoritaria e illiberale dell’America di Trump, ma forse non solo di Trump.
Infatti, spesso Trump viene considerato un “cane sciolto”, una anomalia del sistema politico americano, lo hanno votato le fasce povere che hanno perso il lavoro negli Stati del Mid West e degli Appalachi o i fanatici che hanno invaso Capitol Hill all’inizio del 2022.
Ma non è così: in realtà, la politica americana è stata sempre gestita in continuità dal cosiddetto “deep state”, cioè dalla grande finanza e Wall Street, il cosiddetto “mercato” che avrebbe deciso di interrompere i precedenti rapporti con il Partito Democratico (in specie a causa di Biden) ed anche con i passati collegamenti con i Repubblicani moderati, puntando su un candidato di rottura manovrabile e senza troppi vincoli etici, con l’obiettivo di dare uno scossone violento ai mercati internazionali ed in particolare nei confronti del pericoloso concorrente cinese al fine di trovare un nuovo riposizionamento del suo ruolo nella finanza mondiale.
Trump era già stato sperimentato nel 2017, ma non aveva dato i frutti attesi ed il suo rilancio più aggressivo probabilmente potrebbe produrre risultati. In più, se fa sciocchezze, potrebbe essere fermato, tenendo conto che obiettivo di Trump è principalmente di fare affari. Non a caso, il Ministro più importante, il Ministro del Tesoro è Scott Bessent, un finanziere già partner di Soros e poi vi sono anche Elon Musk ed il Vicepresidente J.D.Vance, legati ai gruppi di Thiel nella Silicon Valley.
Le marce indietro fatte nei giorni scorsi in materia di dazi e altro dimostrano la relativa disponibilità a cambiare rapidamente scelte sbagliate. La straordinaria ed esagerata crescita della spesa pubblica prodotta dall’amministrazione Biden che ha determinato l’eccessivo indebitamento, rappresenta un problema che va affrontato per gli alti costi che comporta e per l’indebolimento dell’economia.
L’obiettivo di fondo per tutti è sviluppare il MAGA trumpiano cioè aumentare la ricchezza prodotta in America e gli investimenti USA nel mondo, frenando la crescita commerciale, ma soprattutto tecnologica, della Cina ed anche rimuovendo gli eccessivi vincoli regolatori introdotti dall’Unione Europea, considerata dagli americani una anomalia che danneggia il free trade americano e che pertanto andrebbe ridimensionata in base alla deregulation e free trade USA, consentendo la crescita di positivi rapporti bilaterali senza troppi vincoli.
Gli interventi di Trump rivolti alle istituzioni universitarie Ivy League e alle forme di tutela delle libertà democratiche e del “soft power”, in contrasto al woke, vi è certamente interesse dell’establishment a modificare i comportamenti sociali che confondono i mercati, ad attuare una deregulation di normative troppo rigide ed una sburocratizzazione degli enti federali, riducendo strutture e dipendenti con minore spesa pubblica e minori oneri e procedure a carico dell’economia e delle imprese.
Sul piano della politica internazionale, l’annunciato isolamento e “decoupling” per cercare una reindustrializzazione da parte di Trump, ma già anticipato da Obama, appare ridimensionato dalle azioni di descalation e dai contatti avviati con la Cina, con il Canada e Gran Bretagna. Vi è poi la volontà più volte espressa da Trump di voler svolgere un ruolo di pacificatore dei conflitti in Ucraina e nel Medio Oriente, anche se per ora con scarsi risultati.
Gli USA hanno sempre avuto, soprattutto dalla fine della seconda guerra mondiale, una forte presenza militare ed economica in tutto il mondo ed in specie in Europa, in cui sono stati considerati il guardiano dell’Occidente attraverso la presenza della Nato a guida USA e quindi, nonostante le dichiarazioni di Trump, non è immaginabile un’uscita USA dalla Nato, soprattutto nella situazione attuale di scontro con la Russia. In più il rafforzamento militare da parte europea rappresenta una interessante opportunità per l’industria bellica americana.
Le recenti visite di Trump in Medio Oriente sono una chiara dimostrazione dell’interesse al rafforzamento dei legami economici americani con l’Arabia Saudita e gli emirati del Golfo e questo può ulteriormente ampliarsi con i Patti di Abramo, la fine della guerra a Gaza e nuovi rapporti con l’Iran.
Resta la Russia di Putin che nell’ottica degli interessi americani costituisce un punto di riferimento fondamentale per diverse ragioni: il primo obiettivo appare riguardare l’immenso serbatoio di risorse minerali e terre rare della Siberia liberata dai ghiacci con cui creare accordi per lo sfruttamento minerario, impedendo il progressivo abbraccio della Russia con la Cina ed il conseguente rafforzamento della potenza commerciale e politica della Cina.
Il secondo obiettivo riguarderebbe la possibilità di accordi con la Russia circa la navigazione dell’Artico come strategico canale di traffico e soprattutto elemento strategico per la sicurezza USA, con la limitazione dei rischi di potere geopolitico russo, ma soprattutto nei confronti della supremazia cinese, un obiettivo che si integra con l’acquisizione del controllo della Groenlandia.
Nei confronti della Russia vi è interesse americano ad arrivare a condizioni di relativa, anche se in parte precaria, pacificazione o lunga tregua in Ucraina, pur nella incertezza delle prospettive nei confronti delle frontiere russe con l‘Europa. L’obiettivo americano prevederebbe anche il ristabilimento di accordi di libero scambio tra Russia e USA, eliminando le sanzioni che vincolano le relazioni economiche ed intervenendo anche a contenere i legami tra Russia e Cina.
In conclusione, gli eventi sembrano dimostrare che Trump, pur nei suoi spregiudicati funambulismi, è integrato nel tradizionale modello americano che in modi diversi ha caratterizzato le passate amministrazioni sempre con l’obiettivo di “far grandi gli USA”. La continuità appare espressa anche nei cambi frequenti di direzione, errori e retromarce, per cui possiamo attenderci nuovi rapidi cambiamenti e correzioni della gestione Trump.
Il contesto mondiale peraltro appare sempre più complesso, sono sorti numerosi protagonisti rispetto al trentennio passato, non solo la crescita della Cina, ma soprattutto vi è lo sviluppo del cosiddetto Sud globale, la maggiore popolazione del mondo (verso l’80%) e la demografia ha portato gli USA e l’Occidente a divenire una minoranza. Il dollaro utilizzato nella maggioranza degli scambi commerciali con il 70% rischia di trovare nuova concorrenza da parte di altre valute. Tutto questo va considerato nel cercare di rispondere alla domanda ”dove va l’America?”, con o senza Trump.
I valori dei principi di democrazia e di libertà che hanno caratterizzato l’Occidente e soprattutto gli USA appaiono a rischio in tanti paesi occidentali e quindi anche gli interventi illiberali di Trump tendono ad andare in questa direzione, ma non vi è dubbio che la solidità della Costituzione americana può costituire un valido freno al rischio di perdere questi valori, al di sopra e al di là del “passaggio” di Trump.