Prova d’orchestra.
Un antico proverbio arabo dice che per applaudire non basta una mano sola, ci vogliono tutte e due.
A quante realtà squilibrate si potrebbe applicare oggi questo proverbio: la parità uomo donna, i neri negli Stati Uniti, la fame nel mondo. L’elenco sarebbe lungo, probabilmente senza una fine misurabile con i normali strumenti dell’uomo.
Già, perché i grandi fisici del passato ci hanno insegnato che oltre un certo limite l’uomo non misura più la realtà, misura solo se stesso, cioè le pratiche che ha introdotto per misurare.
Il problema che emerge con tutta evidenza è quello di dove si colloca questo limite.
Si ha la sensazione che esso stia salendo sempre più in alto, che pervada ormai quasi tutta la organizzazione delle misure, cioè dei giudizi che provocano le azioni che guidano il mondo.
Venendo alle cose che riguardano più direttamente l’attualità politica del nostro paese, vengono spontanee tante domande.
Una riguarda anche Renzi, che è pure il capo dell’esecutivo che sta tentando di cambiare l’Italia e le sue inguaribili storture.
Una mano è certamente, e giustamente, la sua. Ma quale è l’altra?
Bella domanda! Dovrebbe essere quella del paese, non quella delle tante corporazioni deviate dai loro interessi, ma quella del bene comune, dell’interesse di tutti, per un futuro diverso e migliore, per definire un modo di essere, di fare, di giudicare, di misurare appunto, più aperto e più equo.
Ma non è così, troppe mani si stanno oggi agitando per modificare, attutire, esaltare, deformare, impedire, liquidare l’applauso! Per il momento c’è solo il solito rumore, anzi sempre più acuto, e pieno di stonature e di rimbombi..
E non si tratta delle prove dell’orchestra che inizia a provare per accordare i diversi strumenti e imparare a suonare la stessa musica insieme.
Certo il maestro direttore influenza i tempi, le sonorità, il messaggio che intende trasmettere, perché è lui che dirige. Mentre i maestri suonatori lo suonano, insieme, appunto, e con lo stesso obiettivo.
Prendiamo ad esempio la riforma costituzionale del Senato.
Utopia. Basta misurare i suoni della minoranza PD, che forse ha capito di suonare Fischia il Vento, o quelli di altri senatori, forse fermi alle cadenze dei Lombardi alla Prima Crociata, o di una congrega che ha sbagliato sala e momenti e che suona free jazz tutta da sola. Per non parlare di autorevoli commentatori politici, saldamente ancorati ai minuetti di Boccherini (come giustamente ha fatto notare a Scalfari Giorgio Napolitano).
A noi non pare giusto che la riforma del Senato sia assegnata al giudizio di senatori pro tempore eletti e operanti in questo momento e che suonano in questo modo. E che come obiettivo minimo hanno il mantenimento della loro funzione come è oggi. Anzi anche quello di vincere sfide che non c’entrano nulla con il Senato. Così come non sarebbe giusto assegnare la riforma della giustizia ai membri emeriti della Corte di Cassazione, o quella della scuola ai precari prodotti negli ultimi vent’anni.
Non dico ovviamente di non coinvolgerli, anzi, ma avendo deciso cosa si vuole suonare, in quale tonalità, e con quali strumenti. Capendo che la musica dello spartito deve essere di interesse comune e che non riguarda solo i singoli strumenti, proprio per farli diventare parte dell’orchestra.
Certo fa impressione verificare che nel programma dell’Ulivo del 1996 (vent’anni fa!) c’era l’abolizione del bicameralismo e la creazione del Senato delle Regioni, e che subito dopo nella Commissione Bicamerale fu votata la riforma per il premierato. Poi venne uno dei grandi voltafaccia di Berlusconi, e fu cancellata persino la Commissione.
Cose dimenticate, riforme mai fatte, come d’abitudine nella politica italiana.
Ora che tutti sono d’accordo di fare finalmente questa riforma (a parole voluta da tutte le parti), la prova d’orchestra è fallita, anzi si stanno formando più orchestre, e si produce solo rumore.
L’applauso è rimandato, manca la seconda mano.
E noi siamo delusi e arrabbiati, perché questa mano è la nostra.