Le contraddizioni di Landini.
Ora che Landini è sceso formalmente in politica possiamo analizzare quanto successo in questi ultimi mesi.
La FIOM è stata la protagonista delle sconfitte più dure del sindacalismo italiano del dopoguerra, non per decisioni attinenti la logica della contrattazione, tipica degli interessi del sindacato, che rappresenta uno strato sociale ben identificato nei rapporti con altri interessi altrettanto ben identificati. Ma per un posizionamento politico, figlio di un interesse diverso e poco in relazione con la corporazione rappresentata.
Ora le cose si sono fatte più chiare e meritano qualche considerazione.
- Landini è sceso in politica, e quando identifica i suoi obiettivi non con gli interessi relativi di quelli che rappresenta nei confronti di azioni e decisioni della controparte, ma con una dichiarata opposizione al governo in quanto soggetto politico e di guida del paese è definitivamente fuori dal sindacato. E sarebbe assurdo che la CGIL non ne prendesse atto, con ciò snaturando definitivamente il sindacato come rappresentante degli interessi di parte di chi lavora. Cosa succederebbe se un’azienda di 2.000 dipendenti aprisse una vertenza per chiudere un reparto? Uno scontro diretto con il governo o una trattativa per verificare le opzioni possibili? Magari con l’intervento dello stesso governo? Oppure un no pregiudiziale, come purtroppo già accaduto?
- Dichiararsi per principio portatore di un interesse generale e quindi politico di una fascia di popolazione, chiamando a partecipare tutti coloro che si identificano con questa impostazione, indipendentemente dalla loro collocazione sociale, significa aprire un fronte ben chiaro, ideologicamente definito. Gli slogan dovrebbero a questo punto uscire dai canoni di quelli prettamente sindacali (art 18, diritti, etc) e coprire i temi tipici di un confronto politico sugli indirizzi di guida del paese.
- La concertazione, tanto discussa e invocata da parte sindacale, cade per definizione, in quanto gli interessi rappresentati non sono più quelli coperti dal sindacato.
Il quadro che deriva da questa discesa in campo è quindi un rimescolamento delle forze antagoniste al governo che si ispirano alla ideologia di sinistra, se ancora possiamo chiamarla così, e che non cercano il confronto, ma lo scontro.
E c’è da chiedersi cosa succederà alle prossime elezioni, in quanto alcuni dei partecipanti, ma ideologicamente tutto il movimento, si candida a rappresentare interessi e politiche antagoniste ben chiari. E questo lo si può fare se si eleggono rappresentanti in parlamento.
A meno che si pensi per l’ennesima volta di poter influire sulla politica nazionale, dal di fuori, con la sola forza di un movimento, cosa che la storia ha dimostrato essere difficile e poco produttivo.
Il sogno di molti, di vedere una evoluzione del sindacato da sola forza antagonista a soggetto che partecipa alla definizione delle politiche industriali, come in Francia e Germania, mantenendo la sua forza di opposizione nei casi di dissidio, sembra tramontare, a meno che l’altro sindacato, quello che resta dopo la scissione, capisca che è venuto il momento di fare un salto di qualità coerente con le necessità di una società che è del tutto diversa da quella di cinquant’anni fa.
Con poca speranza, ma si sa, è bene mantenere sempre attiva una prospettiva di progresso.