Aggiornato al 27/10/2025

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Nobel per la pace o per la guerra?

di Bruno Lamborghini

 

La pretesa candidatura di Trump per il Nobel per la pace si trova di fronte a quanto sta avvenendo a Gaza ed in Ucraina, tanto che Trump rischia di essere proposto piuttosto ad una specie di Nobel per la guerra.

Cosa sta avvenendo a Gaza? Il piano di 20 punti posto da Trump ha visto attuarsi i primi 4 punti con la liberazione degli ostaggi vivi e parte dei morti, la liberazione di alcune centinaia di prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane, la tregua da parte israeliana peraltro mantenendo la presenza militare al 60% del territorio diviso con la linea gialla, l’apertura con frequenti apri e chiudi degli accessi alle frontiere per i trasporti alimentari.  Certamente un primo buon risultato molto atteso.

Restano però ancora assolutamente incerti gli altri punti molto difficili e complessi, a partire dal disarmo di Hamas ed il suo abbandono della Striscia considerando anche che, pur nelle incerte valutazioni, l’attuale presenza di armati Hamas e Jhad andrebbe da alcune migliaia sino a 40.000 unità, di fronte a cui Netanyahu, se non riesce ad attuare il pieno disarmo, è pronto a riprendere la guerra con la distruzione degli ultimi edifici di Gaza ed anche a costringere gli abitanti di nuovo a concentrarsi nei “quartieri umanitari”  vicino a Rafah per poi cercare di farli entrare in Egitto.

Si può immaginare che Netanyahu abbia accettato a malincuore il piano di Trump avendo in mente di proseguire l’intervento bellico che per lui rimane forse anche l’unica possibilità di sopravvivenza politica. Ma anche Hamas può avere interesse a continuare la guerra perché per ora non ha alternative di sopravvivenza ed anzi questa situazione rafforza il suo ruolo anche in Cisgiordania e altrove. 

Trump ha costituito a Gaza il comitato per il coordinamento civile e militare (Cmcc) che coordina le forze militari per l’ordine a Gaza e l’organismo che si occuperà della ricostruzione. Le forze militari coordinate dagli USA già presenti sono americane, arabe ed europee tra cui anche militari italiani. Per quanto riguarda la continua presenza di armati Hamas, Netanyahu sta appoggiando a Gaza i clan ed i gruppi armati indipendenti in lotta con Hamas, come del resto già avveniva in passato, ma questo crea solo caos. Trump richiede continuamente una più stretta collaborazione con i paesi arabi ed in particolare con il Qatar, per cercare di convincere Hamas. 

Il mondo arabo dall’Arabia Saudita al Qatar e l’Egitto ed anche la Turchia di Erdogan hanno mostrato grande interesse per il futuro di Gaza e la sua gestione, pur senza specificare il grado del loro possibile impegno in termini di governo o presenza militare ed anche per quanto riguarda la loro influenza su Hamas.

In realtà, appare evidente che, data l’attuale consistente presenza di Hamas a Gaza, qualsiasi scenario dovrà probabilmente prevedere un negoziato con Hamas ed in specie circa il ruolo che potrà avere Hamas nella futura struttura di Gaza, in partecipazione con l’Autorità per la Palestina e rappresentanti del mondo arabo e dell’Egitto. E’ una strada che certamente incontra la netta opposizione di Israele, non solo da parte di Netanyahu e dei partiti messianici, ma anche della maggior parte della gente di Israele, che ha ben presente lo storico obiettivo di Hamas per la distruzione di Israele.  E’ ovvio che Hamas dovrà dichiarare di rinunciare al suo programma anti Israele e cercare una alleanza, ma forse questo non potrà bastare e quindi occorrerà un forte intervento di Trump. Vi è anche da superare il rapporto conflittuale tra l’Autorità per la Palestina ed Hamas, un conflitto decennale, ma su questo dovrà intervenire anche il mondo arabo.

La realizzazione di un governo di Gaza affidato alle varie componenti palestinesi assieme a partecipazioni arabe e egiziane appare rientrare negli obiettivi del piano, incluso il ruolo guida in forma temporanea da parte di un Board voluto da Trump ed a cui parteciperebbe anche Blair. 

Una Gaza con un regime di relativa autonomia da Israele forse  potrebbe aprire la strada per la costruzione poco per volta di un ruolo progressivamente autonomo anche della Cisgiordania, non tanto verso la creazione di uno stato palestinese (i due stati) che appare non solo problematico, ma forse irrealizzabile, quanto invece verso un organo a gestione mista palestino-israeliana della Cisgiordania federato con Israele in cui possano convivere pacificamente (problema difficile da affrontare) i coloni israeliani e i palestinesi, superando di fatto l’obiettivo di annessione della Cisgiordania voluta da Israele, ma avversata da Trump e dagli arabi, oltre ad essere politicamente ingestibile, qualora milioni di palestinesi divenissero cittadini di Israele, acquisendo diritto di voto, condizionerebbero il governo di Israele.

Non è chiaro come si potrà realizzare la ricostruzione di Gaza, quando e con quali finanziamenti, mentre è molto importante che il piano prospetti una Gaza ricostruita in cui possano rientrare i precedenti abitanti. Alla ricostruzione di Gaza sta pensando lo stesso Trump apparentemente attraverso il suo genero Jered Kushner che già si aggira con mappe seguendo forse quanto indicato da Blair e certamente con interessi anche arabi o di Erdogan nell’obbiettivo che, oltre alla ricostruzione delle abitazioni per i palestinesi, si potrebbe anche prevedere di utilizzare la costiera per resort  turistici.

Quindi Trump ha davanti non solo lo scenario di pacificazione a Gaza, ma anche il rischio che la guerra contro Hamas possa proseguire, il che significa che il Nobel per la pace possa tradursi in un antiNobel per la guerra anche tenendo conto di quanto potrà avvenire in Ucraina.

Venendo all’Ucraina, Trump si sta muovendo da tempo con alti e bassi su Putin con obiettivi non solo di pacificazione per la guerra, ma anche e forse più per un diretto interesse alla riapertura di rapporti economici e commerciali della Russia con gli Stati  Uniti,  non rendendosi forse conto che il vero obiettivo di Putin non è di rientrare nei circuiti economici e finanziari globali, ma invece  di ricostruire almeno in parte la potenza imperiale della grande Russia degli Zar.

La visione economico-politica di Trump è totalmente disallineata rispetto a quella di Putin e forse ora, dopo quanto seguito ad Anchorage, Trump è molto deluso, ma resta sempre convinto che solo con la forza può trattare con Putin e non con qualche telefonata completamente dominata da Putin che ha capito bene come è fatto Trump.

Per indebolire Putin, Trump intende bloccare l’export petrolifero russo, imponendo a Cina e India di non acquistare petrolio russo via mare (più o meno il 50% delle importazioni cinesi di petrolio russo), un intervento che si accompagna con il bombardamento ucraino dei centri petroliferi in Russia.

Per conoscere gli effetti di queste azioni sul possibile indebolimento russo sarebbe necessario avere risposta alla domanda sulla effettiva forza economica russa attuale, partendo anche dalla considerazione che le prolungate sanzioni non sembrano aver avuto conseguenze particolarmente negative.

Ci sono valutazioni discordi sulla attuale capacità di resistenza dell’economia e della finanza di Mosca, una economia ormai totalmente di guerra che peraltro non sembra determinare drammatici effetti sul paese. Così pure sul piano militare le ondate di nuove reclute per lo più impreparate non sembrano finire mai con migliaia di nuovi arruolamenti ogni mese.

Putin cerca di prolungare la guerra il più a lungo possibile per conquistare territori, anche se in tre anni le conquiste procedono lentamente o talvolta regrediscono e punta sull’indebolimento ucraino e sull’attacco alle grandi fortificazioni attorno al Donbass in modo tale che non si potrebbero più difendere le vaste pianure del Dniepr, mentre aumenta ogni notte pesanti attacchi di droni sulle città ucraine.

Il mese di novembre sarà cruciale perché apre la porta dell’inverno con temperature che congelano le manovre militari. Ci si può chiedere se l’inverno è un fattore di rischio più per gli ucraini o per i russi o forse per entrambi. Zelensky sta sempre più muovendosi da un lato cercando di avere i Tomahawk a lungo raggio da Trump il quale appare incerto e dall’altro  cercando di avviare un negoziato con Putin che invece si rifiuta e rinvia anche l’incontro con Trump.

Putin ripete continuamente che è contrario ad una tregua come al congelamento del fronte perché vuole un accordo di pace che riconosca come territorio russo le quattro regioni conquistate solo in parte, giustificando l’occupazione anche per la presenza di popolazione russofona. 

Trump in una prima fase è apparso sostanzialmente in linea con Putin per avere la pace subito e a qualunque costo, ma poi sembra ritornare sui suoi passi, giudicando Putin sempre più intrattabile. Dopo l’annuncio di Putin per il lancio del supermissile nucleare intercontinentale, Trump rimprovera Putin dicendo che “dovrebbe far cessare la guerra non testare missili”, ma Putin non molla. Per questo, nel viaggio in Asia ha dichiarato che cerca l’aiuto di Xi Jinping per convincere Putin. Ma Xi non è interessato alla guerra in Ucraina e ad una pace tra Putin e l’Occidente, anzi un indebolimento di Putin lo rende più dipendente dalla Cina e nello stesso tempo la guerra indebolisce anche l’Europa e la allontana dagli USA a vantaggio della Cina.

Le soluzioni che circolano sono diverse, da una tregua armata permanente alla coreana, alla possibilità di cessione alla Russia del Donbass (oltre alla Crimea) con il mantenimento in Ucraina delle altre due regioni, Zaporizzja e Cherson. In realtà in caso di sfondamento russo l’obiettivo vero di Putin è l’intero controllo di tutte le quattro regioni, ma questo non potrà mai essere accettato dagli ucraini e comunque darebbe luogo ad una continua guerriglia da parte in specie delle Armate Azov.

In questo scenario cosa stanno facendo i paesi europei? Stanno inviando armi all’Ucraina, sono missili acquistati negli USA, dato che Trump, Nato o non Nato, ha deciso di non inviare più armi a spese degli USA, ma è disposto a vendere armi agli europei perché le inviino in Ucraina. E’ stato avviato il sistema Purl, un pacchetto di 500 milioni di $ per acquistare missili Patriot negli USA a carico dei bilanci dei paesi europei e questo dovrà essere ripetuto più volte. Gli europei stanno poi lentamente armandosi, cercando di proteggere alcune frontiere europee in specie quelle polacche. Infine stanno proponendo l’avvio di un negoziato con Putin, il quale invece non ritiene utile trattare con gli europei, volendo come suo interlocutore solo Trump.

Tutto sembra dipendere da Trump e quindi la domanda finale è, anche nel caso dell’Ucraina come per Gaza, se Trump sarà effettivamente in grado di ricevere il Nobel per la pace o invece accontentarsi di un antiNobel per la guerra?

 

Inserito il:27/10/2025 11:52:07
Ultimo aggiornamento:27/10/2025 12:30:54
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