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“Si vis bellum para bellum”
di Bruno Lamborghini
Il detto tradizionale “Si vis pacem para bellum” va ora modificato in “Si vis bellum para bellum”, perché, a quanto appare, nessun paese, se non a parole, vuole veramente la pace a qualunque costo, ma di fatto si intende aumentare le spese militari anche anticipando nuovi conflitti che si generano dall’intreccio crescente di altri conflitti e dalla diffusa richiesta di nuove spese di difesa da parte di altri paesi.
L’attacco di Israele all’Iran, motivato dal rischio dell’atomica, si aggiunge a quanto già avviene a Gaza, in Cisgiordania e nel Libano-Golan ed è il proseguimento di guerre in Medio Oriente per la necessaria difesa israeliana sin dalla fondazione nel 1948. In più l’avvio di nuove guerre può costituire anche una forma di spostamento di attenzione nei confronti di altre guerre in atto.
Il 24 e 25 giugno all’Aja si tiene il meeting 2025 della Nato la cui agenda si ritiene che contenga la proposta di aumento del contributo Nato dal 2% al 3.5% del PIL dei 32 paesi membri da attuare al più presto. Inoltre, per tener conto dell’obiettivo indicato da Trump del raggiungimento del 5% del PIL, sembra che verrà proposto per coprire l’ulteriore 1,5% di disporre di spese per infrastrutture connesse alla difesa (Defense and security related expenditures).
L’attuale impegno complessivo di spesa per la difesa in ambito Nato risulta al 2024 di 1500 mld $, pari al 55% di tutte le spese per la difesa a livello mondiale (2700 mld $, pari al 2,5% del PIL mondiale). Il 66% delle spese Nato (attorno a 1000 mld $) è la spesa per la difesa USA (3.7% del PIL) ed il 30% (454 mld $) riguarda le spese europee (il 2,3% del PIL).
Se venisse fissato l’obiettivo del 3.5% del PIL dei paesi membri la spesa Nato salirebbe di 500 mld $ e con il 5% di altri 800 mld $ per complessivi 2800 mld $ (mie stime), raddoppiando la spesa attuale e anche più in funzione dell’evoluzione del PIL dei diversi paesi. Questi valori poi si modificherebbero se gli USA decidessero di ridurre o non aumentare la loro spesa, ipotesi più provocatoria che realistica.
I singoli paesi con maggiore spesa per la difesa sono USA, Cina, Russia, Germania, India. La Cina spende 296 mld $ (1,6 % PIL) e la Russia, in base a dati 2021 di difficile controllo,108 mld $ (5,3% PIL)
In sostanza, l’Occidente spende per la difesa oltre la metà e sino al 60% della spesa mondiale: USA il 37%, Europa il 18%, un livello che si accrescerebbe con l’incremento al 3,5% richiesto in ambito Nato. Nel confronto Nato verso Russia, in termini di spesa per la difesa qualora i dati riportati per la Russia fossero corretti, il rapporto sarebbe di 1 a 14.
Le guerre in atto (oltre a Israele, Ucraina e Sudan ve ne sono tra guerre, conflitti e focolai forse un centinaio), determinano in tutti i paesi la nascita e crescita di nuove produzioni o acquisti di armamenti, che trasformano i sistemi industriali e favoriscono nuovi conflitti quali mercati di sbocco.
La guerra in Ucraina ha prodotto ed accelerato lo sviluppo di nuove tecnologie, dai droni, veri protagonisti al posto dei carri armati, alle reti satellitari che guidano missili e droni. Le nuove tecnologie belliche producono da sempre determinanti ricadute innovative e commerciali, come è stato per i computer e internet che, ricordiamo, è nato nei primi anni ‘70 dal Dipartimento americano della difesa (Darpanet), ma sono tantissime le innovazioni tecnologiche indotte dalla spesa per la difesa, in terra, in mare e nello spazio. Quindi tutti contenti delle guerre?
Il nuovo cancelliere tedesco Merz si propone di aumentare le spese per la difesa superando i vincoli della parità di bilancio e puntando al rilancio dell’industria manifatturiera tedesca grazie agli armamenti con Rheinmetall che produrrà negli stabilimenti Volkswagen.
L’Unione Europea ha lanciato nel marzo 2025 il programma RearmEurope poi ridenominato Readiness 2030 in cui sono proposti interventi di 800 miliardi di Euro, suddivisi tra 650 miliardi di aumento delle spese a carico nazionale per la difesa da parte dei paesi membri UE e 150 miliardi quale prestito UE ai paesi membri secondo quanto definito il 27 maggio 2025 nel piano SAFE, per stimolare investimenti per la difesa basati su accordi e appalti comuni senza importazioni da extra UE tra produttori UE. Oltre a questo la Commissione aveva già stanziato 16.4 miliardi di Euro per investimenti comuni in ricerca per la difesa tra 2021 e 2027.
E l’Italia? L’Italia spende nel 2025 per la difesa 35 miliardi di Euro (1,6% PIL) ed al fine di dimostrare la volontà di raggiungere il richiesto 2% si sarebbero aggiunti altri 10 miliardi Euro inserendo anche spese per i carabinieri, la guardia di finanza, la protezione civile e altro; qualcuno avrebbe suggerito di mettere anche i costi del Ponte sullo Stretto considerato “opera strategica per la difesa del territorio”.
L’aumento delle spese al 3.5% comporterebbe un aumento annuo di 34 miliardi e al 5% teorico un + 64 miliardi, portando la spesa ad oltre 100 miliardi di Euro all’anno, cioè quattro volte l’ammontare della legge finanziaria 2024.
Gli anni dopo il 2020 sembrano andare nella direzione opposta rispetto agli anni precedenti, la relativa pace a partire dalla fine dell’Unione Sovietica (salvo la guerra al terrorismo islamico), verso una forte crescita delle spese militari che procede in parallelo con l’estendersi di nuovi conflitti non solo a carattere regionale, ma con rischi globali. E soprattutto si manifesta crescente incertezza su come e quando alcuni conflitti potranno concludersi definitivamente od invece lasceranno spazio solo a indefinite situazioni “alla coreana”. Quanto succederà in Ucraina e nel confronto tra Russia ed Europa è destinato a rappresentare un importante ma pericoloso banco di prova.