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Perché la Russia non prende sul serio le minacce di Trump
di Achille De Tommaso
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha recentemente annunciato che la Russia ha 50 giorni di tempo per porre fine alla guerra in Ucraina, altrimenti sarà colpita da sanzioni secondarie su vasta scala, rivolte anche ai paesi che continuano a commerciare con Mosca.
Il 15 luglio, presentando nuove misure che impongono dazi del 100% su qualsiasi paese che acquisti esportazioni russe, Trump ha avvertito: “Saranno molto dolorose. Molto significative. E avranno effetti gravi per i paesi coinvolti.”
Le sanzioni secondarie non colpiscono solo la Russia, ma minacciano di tagliare l’accesso al mercato statunitense a tutti i paesi che mantengano legami commerciali con Mosca. Le conseguenze economiche potrebbero scuotere le catene di approvvigionamento globali, colpendo anche grandi economie come Cina e India, divenute oggi i principali partner commerciali della Russia.
Tuttavia, nonostante queste minacce, la borsa di Mosca ha guadagnato il 2,7% subito dopo l’annuncio. Anche il valore del rublo russo si è rafforzato. A livello globale, i mercati del petrolio si sono stabilizzati, segno che gli investitori non percepiscono rischi imminenti.
Perché?
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Reazione apatica a Mosca
Questo atteggiamento belligerante di Trump coincide con una risposta indifferente da parte di Mosca. Mentre alcune dichiarazioni ufficiali invitavano ad analizzare con calma ciò che era stato detto a Washington, altre hanno liquidato le minacce come irrilevanti. L’ex presidente russo Dmitry Medvedev, ad esempio, ha dichiarato sui social: “Alla Russia non importa nulla.”
L’assenza di panico da parte delle autorità russe e la reazione positiva dei mercati dicono più del semplice scetticismo sulla serietà di Trump: se gli investitori non credessero a Trump, ci saremmo aspettati indifferenza, non entusiasmo. Al contrario, il rialzo suggerisce che i mercati si aspettavano una risposta molto più forte. Come ha affermato l’analista Artyom Nikolayev di Invest Era: “Trump ha deluso le aspettative dei mercati.”
Un rinvio, non una minaccia
La minaccia di Trump non è solo poco credibile: il fatto che abbia dato 50 giorni di tempo viene visto come un regalo a Mosca. L’ultimatum è percepito non come un limite, ma come una tregua, cioè quasi due mesi garantiti di inattività americana, che la Russia può usare per rafforzare i suoi vantaggi militari in Ucraina. E in 50 giorni, nella politica americana, possono accadere molte altre crisi capaci di spostare l’attenzione altrove.
Ancora più importante: la minaccia saboterebbe gli sforzi più seri in corso al Congresso, dove un disegno di legge bipartisan propone sanzioni molto più dure, con dazi fino al 500% e limiti al potere presidenziale di sospenderli.
Ma l’iniziativa di Trump ha spostato il controllo dell’agenda politica. Dopo l’ultimatum, il leader della maggioranza al Senato John Thune ha annunciato che il voto sulle sanzioni più dure sarà rinviato alla fine dei 50 giorni. In pratica, si è fermata l’unica minaccia realmente credibile per il Cremlino.
Un problema strutturale nella diplomazia economica USA
Questo episodio rivela una fragilità più ampia dell’uso della pressione economica nella politica estera americana. Tre fattori ne minano la credibilità:
1. La reputazione di Trump
I mercati si sono abituati ai suoi annunci roboanti seguiti da rinvii, annacquamenti o retromarce. Tanto che nei circoli finanziari è nato l’acronimo “TACO”: Trump Always Chickens Out (Trump si tira sempre indietro). Questa fama ha portato sia gli avversari che gli investitori a prevedere un’alta probabilità di marcia indietro, svuotando la minaccia del suo peso.
2. Mancanza di vincoli politici interni
Gli studi sulla credibilità democratica mostrano che i leader sono più credibili quando sanno che subiranno punizioni politiche se ritirano le loro minacce. Ma la riluttanza del Congresso a contenere Trump manda il segnale opposto: le minacce si possono fare impunemente, quindi perdono forza.
3. Erosione dell’apparato diplomatico
Le sanzioni efficaci richiedono una macchina diplomatica solida, che Trump ha indebolito drasticamente smantellando il Dipartimento di Stato e congelando i programmi di USAID. La coordinazione con gli alleati è essenziale per esercitare pressioni economiche reali – ma l’amministrazione Trump ha indebolito proprio quel coordinamento.
In sintesi: più teatro politico che coercizione reale
Gli investitori e i governi stranieri scommettono su un mix pericoloso: l’incoerenza di Trump, l’assenza di accountability interna, e una diplomazia amputata. Tutto ciò rende le minacce americane più spettacolo che sostanza. Il rally dei mercati russi è un segnale chiaro: le sanzioni USA non fanno più paura come un tempo.