Aggiornato al 03/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Philippe de Champaigne ( Bruxelles, 1602 - 1674): Triple portrait du Cardinal de Richelieu (1640)

 

Finanza e Rivoluzioni

(1) Le premesse. Dallo Stato di giustizia allo Stato di Finanza

di Mauro Lanzi

 

Viviamo in tempi in cui la finanza, la grande finanza, è diventata protagonista inamovibile della cronaca di tutti i giorni. Le turbolenze, che viviamo o abbiamo vissuto, influiscono pesantemente sull’economia ed entrano nella vita quotidiana di tutti noi: la crisi della finanza pubblica è una realtà che minaccia concretamente il futuro di paesi come il nostro. Fino a che punto può la finanza giungere a modificare il nostro mondo?

“Può fallire la democrazia?”, titolava il “Corriere” ai tempi della crisi dello “spread”?

Più in generale, può una crisi finanziaria incidere, non solo sull’economia, ma anche sulle strutture sociali e politiche di una nazione, fino a modificarle, in forma traumatica?

Evidentemente non c’è una risposta univoca; si sono registrati innumerevoli casi, dalla Spagna di Filippo II e dei suoi successori fin ai più recenti eventi dell’Argentina, in cui la bancarotta di un Governo e delle finanze di una nazione non hanno portato ad alcun cambio in politica: esistono, però, altri esempi in cui le conseguenze sono state incisive e durature, come in Inghilterra al tempo degli Stuart o in America al tempo della guerra d’indipendenza.  Allora cosa fa la differenza, come e perché una crisi finanziaria può divenire una crisi politica, fino a distruggere un sistema di governo apparentemente solido e ben accetto? Questo è quanto ci proponiamo di esaminare, prendendo come “benchmark” la Rivoluzione per eccellenza, la Rivoluzione Francese.  

Evidentemente la Rivoluzione Francese non può essere ridotta ad una grossa crisi finanziaria: c’è stato ben altro e qualcosa vedremo. E’ pur vero, però, che molti degli elementi solitamente citati tra le cause della rivoluzione erano presenti ed affermati in tutta Europa, eccezion fatta per l’Inghilterra, e lo restarono ancora per lungo tempo. Prendiamo ad esempio il feudalesimo, che sopravvisse a lungo in tanti paesi, non solo i più arretrati, come la Russia o il nostro Mezzogiorno, ma anche in Europa centrale, Prussia, Austria etc. Allora perché proprio in quel tempo, perché proprio in Francia? Non fu forse la finanza l’elemento discriminante?

Vale la pena sottolineare che non stiamo parlando di un paese in preda a una crisi economica. Dimenticate, per favore, tutte le storie circa Maria Antonietta e le brioches: la Francia del XVIII secolo era di gran lunga il paese più florido, evoluto e acculturato di Europa ed usciva da un periodo di innegabile sviluppo economico e civile: la grande fioritura del pensiero dei Lumi è accompagnata da importanti progressi tecnici, basti pensare ai fratelli Montgolfier, al chimico Lavoisier, ai fratelli Perrier nell’idraulica etc. Ciò non toglie che vi fossero vaste sacche di indigenza, ricorrenti carestie, ma questi erano fenomeni endemici, comuni a tutta l’Europa.

In ogni caso le Rivoluzioni non sono fenomeni di pauperismo, le fanno i ricchi, non i poveri; anche questo vedremo andando alle radici della Rivoluzione Francese e del dramma finanziario che ne fu l’innesco.

Crisi finanziaria dunque: vediamo da dove ha origine e come si sviluppa.

Dobbiamo fare un passo indietro e tornare ai tempi del Cardinal Richelieu, quello dei Tre Moschettieri, per intenderci, il quale aveva fatto una scoperta fondamentale, cioè che i francesi pagavano poche tasse (scoperta pericolosissima…): questo perché la riscossione delle imposte era lasciata a organi ed autorità periferiche, che non avevano alcun interesse a spremere i propri concittadini per inviare denari a Parigi. Richelieu avvia, sulla base di queste considerazioni, la costruzione di quella magnifica struttura che è lo stato centralizzato francese, che tutto il mondo ancora invidia ai nostri cugini d’oltralpe e che noi abbiamo cercato di imitare, malamente e senza riuscirvi. I primi risultati di questo cambiamento (si partì logicamente dal fisco) furono immediatamente tangibili: il governo ebbe le risorse che gli permisero di armare gli eserciti e svolgere la politica che fece della Francia lo stato leader in Europa. Ma l’appetito vien mangiando, si intraprendono guerre sempre più lunghe e costose, le mete diventano più ambiziose, Versailles costa: quando non si possono più spremere i cittadini a cosa si ricorre? Alla finanza.

Intendiamoci, le monarchie medievali si erano sempre indebitate, ma con banchieri esteri, prima italiani (Lombard Street resta il simbolo dell’egemonia dei banchieri fiorentini e “lombardi” in genere), poi fiamminghi, tedeschi ed olandesi. Ad un certo momento, però, i governi si rendono conto di stare letteralmente seduti su una gigantesca risorsa, cioè il credito che ogni governo legittimo gode, in una certa misura, nei confronti dei propri concittadini: si sviluppa così, dalla seconda metà del XVII secolo, il mercato interno del debito sovrano, che apparentemente ha il grande vantaggio di non drenare risorse interne verso l’estero. L’altra faccia della medaglia, però, è che viene a mancare, sull’indebitamento dei governi, il controllo del mercato, di un mercato indipendente dalla politica e dalle sue suggestioni: inoltre la bancarotta, nel caso di un debito prevalentemente estero può causare la rovina di banche o creditori stranieri (dal fallimento della banca fiorentina Bardi e Peruzzi fino ai “tango bond” gli esempi non mancano). Nel caso di debito interno, anche la sola minaccia di insolvenza mina le basi della politica interna.

Nel 1701 si crea la Banca d’Inghilterra, con lo scopo precipuo di gestire il debito pubblico, le altre seguono più tardi, ma è al 1661 (presa del potere di Luigi XIV) che lo storico francese Michel Antoine data il passaggio dallo Stato di Giustizia allo Stato di Finanza: la data è opinabile, ma l’immagine è affascinante. Le monarchie medievali avevano essenzialmente due compiti: la difesa dei confini e l’amministrazione della giustizia. Ora, il re, già comandante in guerra e primo giudice per investitura divina, diviene anche il capo della grande macchina amministrativa destinata a controllare tutti gli aspetti dell’economia nazionale, a cominciare dal fisco e dalla finanza: la finanza stessa è il primo argomento dell’amministrazione dello stato.

Quindi, dalla Giustizia alla Finanza: non conta più quello che è giusto, o a cui si ha diritto, conta ciò che può essere finanziato; ma non è così anche oggi?

(Continua)

Inserito il:17/03/2017 14:52:17
Ultimo aggiornamento:10/05/2017 16:23:17
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