Aggiornato al 27/04/2024

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Voltaire

Vessillo Qing

 

Civiltà d'Oriente: Cina (7)

(seguito)

di Mauro Lanzi

 

Fine dell’Impero - I Manciù. Dinastia Qing.

Il periodo Ming aveva segnato l’apice della civiltà cinese, che inizia a decadere già nel XVI secolo, perdendo il passo con l’Occidente, per motivi, come visto, sostanzialmente legati alla formazione culturale delle classi dirigenti del paese: a questo aspetto si aggiungono malgoverno e corruzione degli ultimi anni della dinastia Ming, cause di violenti disordini, che indeboliscono l’autorità dello stato e portano ancora una volta la Cina sotto una dinastia straniera, i Qing.

La dinastia Qing non fu fondata dall'etnia degli Han che forma la stragrande maggioranza della popolazione cinese, ma dal popolo semi-nomade dei Manciù, che  si era reso indipendente, acquisendo coscienza di sé per la prima volta, nell'attuale Cina nord-orientale, all’inizio del XVII secolo, dopo essere stato a lungo vassallo dei Ming. Il capostipite della dinastia Qing era stato un abile capotribù di nome Nurhaci, che si affrancò dalla soggezione ai Ming, riunendo sotto il suo vessillo le varie tribù mancesi. Il figlio Huang Taiji, rinforzato l’esercito incorporando unità cinesi, riuscì a sottomettere Corea e Mongolia, impadronendosi anche, dopo la morte dell’ultimo Gran Khan, del sigillo degli Yuan, gli antichi imperatori della Cina; a Huang Taji si deve il nome che dette al suo stato e quindi alla dinastia, Qing, ovvero “puro”. 

La Cina in quel periodo era sconvolta da instabilità politica e ribellioni popolari, un capo di ribelli Lizicheng giunse ad occupare e saccheggiare Pechino, l’ultimo imperatore Ming si impiccò ad un albero della città proibita (1644, fine della dinastia Ming); l’ultimo generale lealista Wu, per avere ragione degli insorti, dovette accettare l’aiuto manciù. Fu così  le forze militari dei Manciù, guidate da  un reggente vista la minore età dell’erede si riversarono  nella capitale dei Ming, Pechino, e  da lì, progressivamente, in 16 anni di duri scontri, soggiogarono tutto il territorio dell’impero. L’impero Qing fu uno dei più vasti di tutta la storia della Cina, coprendo una estensione di 15 milioni di kmq; con una popolazione di 440 milioni di abitanti era lo stato più popoloso del suo tempo.

 

 

Gli inizi furono positivi, anche se i Manciù vollero imporre ai cinesi anche le loro usanze, come il codino (odiatissimo dagli Han) e la fronte rasata; quindi, due connotati caratteristici, o che noi riteniamo tali, dei cinesi, furono in realtà imposti da dominatori stranieri.

Il primo imperatore Qing, Kangxi, salì al trono all’età di soli sette anni; nel suo lunghissimo  regno (1662 – 1722), riuscì a condurre in porto la pacificazione di tutto il territorio, sconfiggendo gli ultimi feudatari del periodo Ming ed estendendo la sua autorità anche sugli stati confinanti, come il Tibet e la Mongolia; nel 1683 l’impero Qing conquistò anche Taiwan. Di grande interesse storico, infine, è il trattato di Nercinsk del 1689, siglato tra la Russia di Pietro il Grande e la Cina di Kangxi; il trattato fissa il confine tra i due stati in Siberia ed apre agli scambi commerciali tra i due paesi. La rilevanza di questo accordo, concluso grazie all’intermediazione di gesuiti residenti in Cina, consiste nel fatto che per la prima volta l’impero cinese accetta di siglare un patto alla pari con una nazione straniera; ultima curiosità, il testo vincolante venne redatto in latino.

I successori di Kangxi riuscirono a mantenere più o meno integro l’impero ereditato dal grande fondatore, anche se la prosperità della Cina andava scemando ogni anno in primis per problemi interni, squilibrio sociale, corruzione, stagnazione economica, esplosione demografica; ma, in aggiunta a questi aspetti, ciò che travagliò maggiormente l’impero Qing agli inizi del XVIII secolo fu la difficoltà di stabilire corrette relazioni politiche e diplomatiche con le potenze straniere che si affacciavano ai suoi confini. Durante le guerre napoleoniche, la Gran Bretagna aveva inviato a Canton un’ambasciata, accompagnata da doni di ogni genere, con l’intento di stabilire relazioni e di amicizia e, possibilmente, di alleanza con l’impero. La risposta scritta ricevuta da Pechino fu assai deludente per i britannici; se il Re Giorgio III si fosse voluto recare a rendere omaggio all’imperatore, il suo gesto di sottomissione sarebbe stato ben accetto!! Gli inglesi la presero molto male, ma ciò che più conta è quanto la corte cinese non si rendesse conto di come erano cambiati gli equilibri nel mondo. Questa insensibilità condusse infine agli eventi che portano il nome, vergognoso per gli inglesi, ma anche per tutti noi occidentali, di “Guerre dell’oppio”.

L’oppio era stato introdotto in Cina dagli olandesi nel XVI secolo e successivamente bandito dagli imperatori cinesi, giustamente preoccupati per la salute dei loro sudditi.

 Il 1700 vede una rapida espansione dei commerci con la Cina, scambi che si svolgono però a senso unico, dato che in tutto l’occidente, Inghilterra in particolare, cresce la richiesta di prodotti cinesi, diremmo oggi, di lusso, come tè, seta, ceramiche (i servizi di porcellana, da tè o caffè, si chiamano ancora, in inglese, “China”), importazioni che non vengono compensate da acquisti di beni inglesi (la Cina era ed è autosufficiente), ma devono essere pagate in argento; nel 1793 un editto imperiale stabiliva ufficialmente che la Cina non aveva nessun bisogno di importare merci dall’Europa.

Sfuggiva completamente ai dignitari cinesi il fatto che, in epoca moderna, le guerre nascono anche e soprattutto da motivi commerciali. Per compensare questo squilibrio della bilancia commerciale, la Compagnia Britannica delle Indie Orientali non trova di meglio che aggirare i divieti in essere in merito al commercio dell’oppio, esportando in Cina l’oppio prodotto in India. Si realizza una sorta di triangolazione; gli inglesi si fanno pagare le loro esportazioni in India con l’oppio ivi prodotto e con questo pagano le importazioni dalla Cina.

L’imperatore, deciso a stroncare il triste commercio, invia a Canton, principale porto d’accesso, un funzionario onesto e coraggioso, il mandarino Lin Zexu, che, dopo aver scritto inutilmente alla regina Vittoria (che non si degna di rispondergli), fa sequestrare tutto l’oppio su cui riesce a mettere le mani e lo fa distruggere (1839).

Gli inglesi prendono questo affronto come “casus belli” e scatenano la prima guerra dell’oppio, che rivela tutta l’inadeguatezza delle forze armate cinesi a fronte dei cannoni e dei fucili occidentali. La guerra si conclude nel 1842 con il trattato di Nanchino; i cinesi devono riaprire agli inglesi il commercio dell’oppio in tutto l’impero, nonché i porti di Shangai e Canton, viene riconosciuto ai cittadini inglesi il diritto di extraterritorialità ed al commercio inglese il diritto di nazione più favorita. Viene ceduta agli inglesi l’isola di Hong Kong; inizia così il dominio inglese su questa zona, dominio che terminerà nel 1997.

Nel 1856 scoppia la seconda guerra dell’oppio, ancora a seguito di un ulteriore sequestro di questa merce: inglesi e francesi giungono fino a Pechino ed impongono condizioni ancora più gravose ed avvilenti, tra le quali la possibilità per le navi occidentali di risalire i grandi fiumi, per estendere i loro traffici.

Contemporaneamente scoppia in Cina  una devastante guerra civile, forse la più violenta mai vista nel paese, la rivolta Taiping; la rivolta occupa tutto il periodo che va dal 1851 al 1864 ed è fomentata da un personaggio straordinario Hong Xiquan, il quale, a seguito di una crisi mistica, si era proclamato “fratello minore di Gesù Cristo”; Hong Xiquan inizia, fin dal 1840, la predicazione della sua dottrina, frutto di uno straordinario sincretismo tra cristianesimo e tradizione cinese, fondando la setta Taiping (“Adoratori di Dio”). Il messaggio Taiping ispirato a monoteismo ed egualitarismo, oltre che alla volontà di ristabilire il prestigio della Cina, distrutto dalle guerre dell’oppio, attira un gran numero di seguaci che, ben presto, si organizzano militarmente e fondano nel 1851 uno stato indipendente con capitale a Nanchino (detta “Capitale Celeste”): in questo stato viene realizzata una profonda riforma agraria, viene abolita la proprietà privata, insieme a schiavitù e concubinaggio; si creano comunità agricole egualitarie, che danno origine ad un modello economico nuovo e consono alle esigenze del paese. I Taiping giungono a minacciare Shangai, ma poi si fa sentire la reazione dei manciù, che con l’aiuto inglese riescono a soffocare la rivolta nel 1864: Hong Xiquan muore insieme a milioni di suoi seguaci.

Il potere dei Qin, stretti tra l’arrogante invadenza degli stranieri ed i disordini popolari, conseguenza di una cattiva amministrazione, declina rapidamente; è evidente a tutti l’impotenza della Cina nei confronti dei barbari stranieri ed il malcontento aumenta di giorno in giorno, investendo chi è al governo.

In queste circostanze prende il potere in Cina Cixi, penultima regnante della dinastia Qin,  l’unica donna che abbia occupato il trono cinese per un periodo tanto lungo; detta  imperatrice madre o imperatrice concubina, regnò per 67 anni, dal 1861, all’indomani della seconda guerra dell’oppio, fino al 1908; era solo una concubina dell’imperatore, ma anche la madre dell’unico figlio maschio, del quale, alla morte dell’imperatore, assunse la tutela, per la sua minore età. Morto anche il figlio, prima di salire al trono, l’ex concubina divenne tutrice del nipote Guanxhou; quando questi raggiunse la maggiore età, Cixi lasciò il trono per pochi mesi; poi, traendo vantaggio dalla sconfitta subita nella guerra sino-giapponese (1894-95) e del malcontento per le riforme imposte dal nipote attuò un colpo di stato e fece imprigionare il nipote, restando sola al governo.

La guerra col Giappone aveva portato alla distruzione della flotta cinese, così Cixi impone, facendo leva sul sentimento nazionale, una tassa speciale al paese per finanziare la costruzione di una flotta capace di confrontarsi con le potenze straniere: poi, ottenuti i fondi, li impiega per scopi personali, si fa costruire una residenza estiva alle porte di Pechino (Palazzo d’estate).

 Qui, in un laghetto, si può ancora ammirare un vascello in marmo (nave del sollievo o della purezza), fatto costruire anch’esso dall’imperatrice con i fondi raccolti per la flotta, atroce sberleffo ai sacrifici del popolo cinese. Anche così cadono gli imperi.

Con Cixi l’impero cinese vive il suo ultimo travagliatissimo periodo, combattuto tra tentativi di modernizzazione, intrapresi e poi presto abbandonati, rivolte contadine e sommosse xenofobe, la più nota delle quali va sotto il nome di rivolta dei Boxer (1900).

Boxer era il nome dato dagli occidentali alle società cinesi che praticavano le arti marziali (“Società dei pugni celesti”), collegate tra di loro da oscuri contatti e tutte ferocemente xenofobe; il loro obiettivo era la cacciata degli stranieri, con  ogni mezzo. L’assassinio dell’ambasciatore tedesco e le misure repressive minacciate fanno esplodere la rivolta. Cixi, posta di fronte al rischio di essere detronizzata, si allea con i Boxer (a sinistra) che assediano il quartiere delle “Legazioni” a Pechino, difeso da uno sparuto manipolo di soldati inglesi e statunitensi (c’era anche qualche marinaio italiano); poi l’esercito Qin e la folla dei boxer devono fronteggiare la spedizione internazionale di otto nazioni (tra cui l’Italia) inviata in soccorso dei residenti stranieri (la vicenda ha ispirato il film “55 giorni a Pechino”).  I contingenti stranieri occupano Pechino, Cixi è costretta a fuggire vestita da contadina e deve accettare una pace umiliante, che estende la extraterritorialità delle “Legazioni” a vaste zone del paese, l’Italia ottiene, ad esempio, la città di Tientsin.

Cixi muore nel 1908; il nipote Guanzhou era morto, ancora prigioniero, poco prima delle morte dell’imperatrice, che può quindi designare al trono un nipote di Guanzhou, un bimbo di due anni, di nome PuYi.

Oramai la crisi del sistema imperiale era all’ultimo stadio: si era sviluppato, inizialmente tra i cinesi residenti all’estero, un nuovo movimento politico che proclamava tre principi fondamentali, “Indipendenza nazionale” ( cioè cacciata degli stranieri), “Potere del Popolo” (cioè democrazia), “Benessere del popolo” (cioè riforma agraria); il movimento si costituisce come partito nel 1911, col nome di “Kuonmintang”, Partito Nazionalista, e con un leader  il Dr Sun Ya Tse , che era stato fin dal principio l’ispiratore del movimento.

Nello stesso anno la rivoluzione Xinhai, iniziata a Wuhan dallo stesso Sun Ya Tse, rovescia il governo imperiale ed è lo stesso PuYi che firma l’instaurazione della Repubblica con presidente provvisorio Sun Ya Tse e capitale a Nanchino (1° gennaio 1912).

 

 Sun Ya Tsen, fondatore di una nuova Cina

(Continua)

 

Inserito il:02/02/2021 17:08:05
Ultimo aggiornamento:18/02/2021 12:14:21
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