Pompei - Villa dei Misteri - Affresco
Pompei, sotto la cenere la città del piacere (2)
di Vincenzo Rampolla
Nel I secolo dell’Impero, nella società romana e a Pompei la prostituzione è legittima e gli uomini sposati hanno relazioni senza vincoli di genere. L’omosessualità viene praticata con regolarità tra i ceti più elevati, vista spesso come un rito di passaggio e nessuno si scandalizza per una relazione omosessuale. Non esiste discriminazione tra omosessualità e eterosessualità, parole inesistenti nella linguaggio e nell’etica sociale del tempo; nell’amore è condannata la passività del coniuge e sopra ogni cosa ciò che tocca la sfera della reputazione pubblica e sociale.
L’imperatore Adriano, dedica un culto e una città alla morte dell’amante Antinio.
Che dire di Giulio Cesare, marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti? Tacito e Svetonio narrano di amori con giovinetti estesi a tutte le classi sociali e nei suoi versi Virgilio dà l’esempio dell’amor tra Eurialo e Niso. Socrate è noto essere assiduo frequentatore del gymnasium, la palestra per adolescenti.
Pompei a luglio di quest’anno ha ospitato il Gay Pride organizzato dal Coordinamento Campania Rainbow. Un vero successo. Non sono mancate le polemiche per uno striscione della Sezione locale di Casapound: Pompei non è Sodoma, chiara allusione alla città della Bibbia distrutta dal Signore per i suoi vizi, passati alla storia come sodomia.
Accanto ai prostituti per appagare i desideri del maschio pompeiano ci sono gli schiavi, sempre più ricercati e esigenti, colmati di doni e di denaro dal loro padrone-protettore; non sono tutti uguali, più favoriti e fortunati i giovani se dividono il letto con il padrone, finché questi non prende moglie.
Le cose allora cambiano e il rapporto va chiuso e se continua la moglie non deve saperlo, oppure deve far finta di nulla.
Nel giorno delle nozze del padrone il concubino è triste, di malavoglia adempie al rito della distribuzione delle noci, simbolo di fecondità.
Catullo beffeggia l’uomo: Si sa che eri dedito solo a leciti piaceri, ma a un marito non è più lecito neppure il lecito …
Riuscirà da ammogliato a rinunciare al concubino, agli altri giovinetti adocchiati, alle schiave di casa, riserva prediletta del padrone? In scena entrano i ragazzi liberi del luogo, ambito bottino da amare alla greca. La pederastia ellenica (amore del giovane) da parte dell’adulto è approvata e apprezzata in Grecia, non quella tra adulti, severamente condannata.
Che i ragazzi fossero amati dagli uomini prima di diventare adulti per essere poi amati dalle donne, è cosa che rientra nella norma. I tempi cambiano, per i ragazzi gli uomini sospirano fino al momento in cui spunta la barba.
All’apparire del primo pelo sul mento o sulle cosce, il ragazzo non piace più, si passa alla donna. Roma e Pompei scopiazzano Atene. Così è.
E per le donne? Inutile che pensino di soddisfare tutte le esigenze maschili, tanto vale che si rassegnino. Ricerche approfondite provano che circa sei donne su dieci, con nome documentato nei registri di Pompei, sono state prostitute o cameriere, vendutesi normalmente per arrotondare il salario.
Se al cittadino maschio costa molto poco trovare una lupa per soddisfare gli appetiti, anche se a basso prezzo lei può arrivare a guadagnare tre volte il salario di un semplice operaio, ma difficilmente può abbracciare la professione e arricchirsi. La maggior parte delle donne aspiranti sono schiave libere, obbligate a un alto tenore di vita per mantenere il più possibile l’aspetto giovanile e tenersi in buona salute.
Uomini o donne, i pompeiani non perdono le occasioni amorose, eppure tengono molto alla morale. Non è evidente. Per strada non camminano mano nella mano, non si baciano in pubblico e neppure da sposati si perdono in effusioni.
Da Marziale si scopre che spesso i coniugi fanno l’amore vestiti, al buio e in silenzio, senza passione, nelle posizioni che più facilitano la fecondazione.
Nel matrimonio è l’amore il grande assente. Vincolo sociale e civile il suo scopo è procreare e se nella coppia scarseggia l’erotismo, è certo che entrambi cercano il piacere in relazioni adultere. Quando freme nell’amplesso con l’amante, la moglie diviene femmina sensuale, sensibile ai piaceri e pronta a dominarlo, mentre in casa quella moglie deve baciare almeno una volta al giorno marito, padre e figlio e fino al secondo grado i membri della familias senza diritto di unirsi a lei in nozze. Con il bacio (osculum), dal suo alito si sente se ha bevuto vino e presa dall’ebrezza può essere adultera.
Con una legge risalente a Romolo, a matrone e vergini è perentoriamente vietato bere vino, pena il ripudio o l'uxoricidio. Sono le prostitute, le cameriere e le schiave che lo bevono.
Nei suoi Annali Fabio Pittore narra di una donna scoperta dal marito tra le botticelle della cantina e lasciata morire di fame. La fine più cruenta è quella della moglie di Ignazio Mecenio, sorpresa col bicchiere in mano e subito fatta fuori a suon di bastonate. Bere vino schietto è poi cosa grave e inammissibile, roba da depravati e barbari.
A Pompei chi va in cerca di una lupa non può sbagliare, segue il fallo scolpito sulle lastre di pietra dell’acciottolato e arriva al postribolo. In realtà esiste un unico grande spazio, il lupanare casa a due piani con 10 cellae e 20 ragazze, delle quali in città sono ben note le prodezze, come Panta, disponibile a tutto, Nica, la vincente, mai perso un colpo, Callidrome, amazzone esperta in galoppate, equitans nella posizione attiva o Timele, la gran culona (extaliosa) e regina della fellatio. Nei dintorni del lupanare e nelle strade vicine poco battute, molte ragazze offrono prestazioni sessuali nelle cellae di miriadi di postriboli che spuntano come funghi e si estendono dalle Terme al Teatro, alle viuzze del Foro e del porto e in molte case private, dove le famiglie fanno lavorare le proprie schiave.
All’esterno sono segnalati in modo ben visibile da una particolare lanterna e subito riconoscibili da un fallo scolpito nel muro (fascinum, il fallo di Pan, allontana i malefici e in forma di amuleto affascina).
All’interno una sola cella con letto in pietra e un desolante squallore in un ambiente lurido e impestato dal fumo di torce e lucerne.
La prostituzione a Pompei e nel mondo romano, anche se molto diffusa è comunque considerata infamante, come il mestiere di attore o di usuraio.
Eppure l'amore a pagamento è molto ricercato e apprezzato e non di rado qualche patrizio a caccia di lupa preferisce non farsi riconoscere e si infila una parrucca o gira mascherato.
Lo conferma a Roma Domiziano, l’imperatore che durante i festeggiamenti per la vittoria sui Germani, si ingrazia il popolo con manciate di gettoni distribuite per un salto al lupanare.
La più parte dei postriboli è molto frequentata dal popolino che approfitta del basso prezzo delle prestazioni sessuali, altri bordelli aspirano ad una clientela di livello più alto, con parrucchieri per rimediare ai danni nelle frequenti liti amorose o con gli acquarioli, i ragazzi all'ingresso con brocche d'acqua in attesa di lavare i piatti.
In un quartiere di Pompei ne è rimasta traccia di uno molto florido gestito da Africano e Vittore, due lenones di discutibile nomea.
I postriboli sono una sorta di piccole aziende che gravitano attorno al grande lupanare, una vera attività commerciale, con un padrone che fa prostituire due o tre schiave e intasca anche dall’affitto della cella meretricia a donne libere.
Non si contano quelli non censiti nei registri regionali e camuffati da osterie o situati in campagna dove i proprietari speculano senza timori.
In genere sono gestiti dal padrone aiutato da un magnaccia, uomo o donna, e da un villicus puellarum sorvegliante che assegna un nome alle ragazze, fissa i prezzi, incassa il denaro, procura abiti, soddisfa le richieste e di ognuna calcola il guadagno e le tasse.
Se il magnaccia ha il ruolo di agente, si limita a riscuotere l'affitto delle cellae e a rispondere ai bisogni delle ragazze.
Nelle Terme l'attività si svolge in genere al primo piano con non più di due o tre cellae e una schiera di lupae di alto bordo; di rado il proprietario dichiara l’attività per evitare sanzioni e obblighi fiscali e non essere pubblicamente bollato di infamia, perdendo il diritto di voto o la candidatura alle elezioni.
La prostituzione è un fenomeno così esteso che anche l'imperatore Caligola ha aperto nel suo palazzo un grande locus ad fornicandum riservato al ceto senatorio e ha introdotto una tassa sulle entrate delle prostitute per gonfiare l’erario, più che per motivi morali.
Oltre alla tassa, una nuova legge obbliga le lupae a registrarsi presso gli uffici annonari della magistratura edile. Prive del diritto di tenere il nome di famiglia, dichiarano il proprio vero nome con età, luogo di nascita e nome di battaglia adottato.
Confermata la scelta della professione, la ragazza ottiene la licenza (licentia stupri), fissa il prezzo delle sue prestazioni e viene iscritta a vita nella lista delle professioniste; da quel momento non può più cancellarsi né cambiare mestiere.
Secondo il luogo e le modalità con cui svolgono l’attività, le prostitute si ripartiscono in gruppi. Se il maschio cerca l’approccio con i baci, deve andarci piano con il bacio d’amore (basum), il bacio erotico (savium) o l’osculum della famiglia.
Meglio lasciarsi guidare e la scelta è molto varia.
Ci sono le tabernarie che esercitano nelle taverne, aperte a ogni tipo di avventori, le castides al sicuro nelle proprie abitazioni, le lupæ note per i loro ululati di gioia e di richiamo, le bustuarie affezionate ai cimiteri, le blitidæ donne da osteria, dal nome di una brodaglia da quattro soldi, le delicatae e le famosae ragazze colte per i clienti più raffinati, le noctiluces lucciole amanti del buio della notte, le ambulatrici passeggiatrici che indossano la toga, veste maschile che lascia scoperte le ginocchia, con parrucca o capelli tinti in rosso, le gallinae infide e ladruncole, le forariae piazzate ai bivi di campagna, le fornices (da fornix, incrocio delle volte, da cui fornicare) maniache dell’oscurità sotto le volte di colonnati, archi e ponti, le quadrantariae quelle da un quarto di asse per il servizio, le diobolariae infine, ultimo gradino della scala sociale delle meretrici, donne che si accontentano dell’elemosina di due oboli (⅛ di asse) nei quartieri dal forte degrado e dalla totale miseria.
Le lupae che esercitano nei postriboli devono perennemente far fronte alla crescente concorrenza di esponenti del patriziato femminile che amano camuffarsi per poi prostituirsi dove capita.
Sono lupae di alto rango che possono permettersi vestiti raffinati, spesso leggeri e trasparenti, molto colorati, per mostrare l’intimità e fanno uso di trucco, parrucche e profumi.
A tutte è vietato indossare la stola lunga, propria della matrona (la mater familias, moglie e domina per la servitù), testimoniare in tribunale e accettare eredità; solamente con il matrimonio possono elevarsi al rango di matrone.
Per le donne libere, prostitute o maritate, resta il peso della gravidanza indesiderata; indistintamente è frequente il loro ricorso all’aborto e per il controllo delle nascite usano metodi primitivi, inefficaci e rischiosi, legati a tradizioni popolari.
Prima del rapporto sia raccomanda di inserire nella vagina un panno di lana imbevuto di succo di limone, metodo dall’effetto spermicida; dopo il rapporto il pepe nero, applicato al collo dell’utero è usato contro il concepimento. Molte, non solo prostitute, praticano l’infanticidio e il dilagare della pratica ha imposto l’intervento del legislatore.
Con la Lex Cornelia, in vigore da due secoli, alla donna colpevole del crimen di aborto volontario sono confiscati i beni e viene deportata in una località isolata, oltre alla beffa che il delatore riceve un premio.
Per lei resta l’alternativa di abbandonare il neonato o di tentare, per una legge di Augusto, almeno tre gravidanze, così non perde il diritto all’eredità e non cade nelle mani di un tutore.
La matrona che vuole abortire in segreto può usare a suo rischio pozioni abortive, ma spetta al futuro padre la decisione finale e lui può ripudiarla per sottrazione del partum.
Emerge il grave problema della notevole diffusione di malattie veneree, legato alla pratica di una smodata sessualità.
Non si conoscono norme sanitarie di controllo della salute delle iscritte nel registro delle professioniste, è solo noto che dopo i rapporti le prostitute curano l’igiene intima con acqua, pratica inutile contro la diffusione di gonorrea, condilomi, herpes genitalis e candidosi, malattie che non frenano il maschio e la femmina dall’impulsivo richiamo per il sesso mercenario.
Forte è la presenza attiva alle feste religiose, in particolare in aprile.
Il primo del mese le prostitute onorano la Fortuna virilis, giorno dedicato a Venere e decantato da Ovidio per la loro unione con le donne sposate.
Il 27 aprile si svolge la floralia, sagra in onore della dea Flora con un ballo erotico e un plateale spogliarello collettivo, secondo i dettami della tradizione erotica.
Racconta Lattanzio: Oltre alla libertà di parola che sgorga come oscenità, incitate dalla plebe le prostitute iniziano a denudarsi, mimi in piena vista della folla e tutto continua fino alla completa sazietà degli spettatori e senza alcuna vergogna.