Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Uzza, Menat e Lat

 

La bellezza nel mondo arabo-musulmano

di Vincenzo Rampolla

 

Quel mondo è sia arabo che musulmano, include i popoli di fede islamica di lingua araba e di altre lingue e bellezza e piacere estetico sono concetti maturati nell’humus dei poeti preislamici. Sono i cantori di gesta delle tribù e di eroi di cui vanno fieri, il loro compito fluisce dalla parola e dalla bellezza del verso, mandato a mente, trasmesso oralmente come dai poeti greci e dagli scribi.

Il Corano, non è forse segnato da voglie estetiche, concepito in prosa rimata, voluto per essere decantato e perla di ritmo e musicalità? L'epoca preislamica, ancora sotto il giogo di un multiforme politeismo e di un’embrionale tradizione, cede il suo patrimonio poetico alla nascente comunità dei credenti islamici, eredità destinata anche a chi non parla l’arabo.

Non è questa una prova di amore per la lingua del paese natale di Maometto, idioma scelto da Dio per ispirare la sua creatura?

Nell'Islam l’estetica è figlia della Rivelazione, riferimento e vincolo per tutto. E ci sono la bellezza creata da Dio e quella costruita dall'uomo e il canone estetico è vincolato dal giudizio, religioso o profano. Dio è bello e ama la bellezza, dice un hadith (detto del Profeta). La bellezza del creato sgorga naturalmente dall'amore che Dio nutre per esso e l'idea di bellezza è formale, se diretta all’occhio e all'intelletto, con perfezione e proporzione in ogni parte di ciò che è bello.

Può anche avere un attributo morale e varie sono le parole arabe per le molte forme della bellezza. C’è la bellezza morale e quella di tipo esteriore, e il loro valore emerge da ciò che Dio esige dall'uomo: belle azioni e anima bella e pura, che al credente valgono il viatico in Paradiso. C’è un’altra bellezza, legata al meraviglioso, a ciò che stupisce, uscita dall'uomo, di un'arte nuova e particolare, la calligrafia. Ed è bello, che cosa? Chi è bello? Dio è bello.

Quando lo si invoca, sono i suoi Nomi a descriverne la bellezza: Dio possiede i nomi più belli. Nel Corano Dio è detto Buono, Dolce, Indulgente, non bello in senso formale. Non può essere. 100 sono i suoi Nomi e Allah designa l'Essenza Divina, qualificata dall'insieme dei suoi attributi. Ad Allah appartengono i nomi più belli: invocatelo con quelliColui che resuscita, il Giusto, il Giudice… simboli dei concetti di Unità e molteplicità di Dio tramite l'uomo: i piani dell'Essere.

Ogni Nome va invocato, ma è Allah, che attrae. E la bellezza di Dio, non può e non deve essere formale, prorompe dalla propria bellezza intrinseca e dall’opera creatrice; la sua immagine è ricondotta a quella dell'Artista supremo, dipende dall'amore che Dio ha nei suoi confronti, assoggettata all’amore, al perdono e alla giustizia.

La formula: Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso, citata di continuo dal credente, il nome Dio è visto nella dimensione della misericordia, universale e di intensità assoluta, con un legame fra la divina compassione per le creature (cum-patere, con-dividere, aprirsi) e la cura filiale.

Il tema del divino amore nella poesia mistica musulmana, darà vita a una visione in cui la bellezza non verrà più ricercata nell’armonia delle cose, ma in chi ama il divino, a partire dall'esperienza individuale.

L'Islam è dottrina religiosa, nasce da una società in cui la poesia vanta un ruolo privilegiato. Eppure nelle impervie condizioni che avevano tarpato la nascita e lo sviluppo dell'architettura e delle arti plastiche, gli Arabi nella poesia avevano infuso sensibilità, emozioni e ideali collettivi nelle arti del linguaggio. Ed è nella poesia araba pagana che viene celebrata e definita la bellezza femminile, con la donna che godeva d'indipendenza nella vita sociale e sessuale.

L’ideale femminile divinizzato è di quel periodo, con le dee e gli dei padroni del pantheon, che tutelano la collettività e le imprese e con tre divinità femminili preislamiche, Al-Lat, al-Manat e al- 'Uzza, così importanti da esser citate nel Corano. L’avvento dell'Islam ribalta quell’indipendenza, sancisce una gerarchia tra i sessi e il mondo della donna precipita subalterno a quello dell’uomo. Resta inossidabile la distinzione tra maschile e femminile, eredità preislamica, e a lei spetta la sfera del privato, a lui quella del pubblico; la promiscuità sessuale diventa minaccia per l'ordine prestabilito e la donna è fonte di seduzione: adesca, eccita, irretisce. Non a caso è indicata con la parola fitna, (disordine, dissenso, anarchia).

Nell’impossibilità di creare barriere fisiche che isolino il mondo maschile da quello femminile, si ricorre al velo. Basta un simbolo per dividere lo spazio tra i due sessi, persino nella moschea e nella casa si delimita l’area destinata alle donne per impedire incontri casuali. Ancora oggi, nelle case tradizionali di alcuni paesi di rigida osservanza, ci sono due batacchi all'ingresso principale e chi è in casa deduce dal suono il sesso dell'ospite e si prepara. In una casa con zone separate, spetta all'uomo far visita alla moglie che, a sua volta, riceve solo gli uomini legittimati a incontrarla, familiari e marito.

È il modus vivendi derivato dall’involuzione politica delle fazioni musulmane alla morte del Profeta e dal nuovo monoteismo imperante: un Dio maschile che nega l'identità femminile. Prime smagliature nella comunità islamica nascente, primissimi germi della nebbia integralista che serpeggia, cresce e incombe.

E la bellezza esteriore non va esibita. Con precetti ben precisi per l'abbigliamento, il pudore vale per entrambi i sessi, e alle donne è chiesto che non mostrino troppo le loro parti belle, eccetto quel che di fuori appare e che coprano i seni d'un velo e il corpo con un mantello, con cura avvolto alla gola e lasciato scoperto solo ciò che può apparire sul viso e sulle mani, il trucco scuro per occhi e anelli e braccialetti.  La cura del corpo creazione divina, ha un risvolto igienico, oltre ad essere d’obbligo per la purezza rituale voluta dalla preghiera. Questo si tramanda: L’Inviato di Dio maledisse le donne che fanno i tatuaggi e che se li fanno fare e che si depilano le sopracciglia e quelle che per bellezza allargano lo spazio tra gli incisivi e modificano quel che Dio ha creato.

Il Corano mette in guardia contro la sguaiata bellezza della vita terrena e alcuni hadit condannano severamente i regnanti che hanno emanato leggi per regolare l'ostentazione del lusso, facendo largo uso di gioielli e ricche vesti. In privato, è ammesso l'uso di abiti variopinti, decorati con ricami o bande; l’esibizione in pubblico, dipende tuttora dalle regole degli Stati.

E la bellezza femminile, trova una rara eco nelle arti e nella letteratura e assume una propria forma, pur sempre vincolata alle norme locali. Strumenti di misura divengono la modestia e le qualità morali. Anche il rito del matrimonio dipende dalle abitudini locali. La futura sposa viene lavata dalle donne di casa, depilata e profumata; mani e piedi decorati con disegni, truccata e abbigliata con cura e adornata con gioielli come una bambola (sposa in arabo significa anche bambola). È la donna che entra nella casa del marito, accompagnata da un corteo guidato dai parenti di lui e la festa nuziale è celebrata da uomini e donne isolatamente, con un banchetto e musica e danze bellissime. Come la sposa, come gli sposi.

Fin dalla gestazione dell'Islam, alcuni accesi seguaci avevano sentito il richiamo mistico della meditazione con la recita costante del Corano, interiorizzandolo, trascinati dagli elementi ascetici contenuti. Come frammenti della sua energia spirituale, vengono inseriti i testi sulla vocazione e la vita ascetica, sulla separazione del bene dal male, sulla ricerca della vita interiore, sulla resurrezione e alimentano l’uso dei simboli della fede: il fuoco e la luminosità di Dio, i veli di oscurità  e di luce sul cuore, l'uccello, simbolo di resurrezione e dell'immortalità dell'anima, la coppa, il vino, il saluto, l'albero per il destino umano, tutti segni viventi nella cerimonia di chiamata degli eletti al Paradiso. Riti particolari, fanatiche allegorie dei mistici o esaltazioni del culto?

E recitare o sentir salmodiare il Corano è estasi, godimento immediato, accessibile a tutti, e la poesia è la forma d’arte più adatta a suscitare tale piacere. Bellezza della parola. La parola educa, al contempo dà piacere, dal “dogma” dell'inimitabilità del Corano, considerato dai musulmani testo letterario miracoloso per forma e contenuti, arricchita spesso da rime e assonanze, ma slegata dalla metrica della poesia, il canto d'amore si stacca libero dagli schemi dell'ode tradizionale. Più della bellezza si esaltano qui rettitudine e qualità morali della donna.

E le sedute di lettura del Corano, si aprono sempre con la recitazione collettiva di brani lunghi o la salmodia di brani più brevi, un solista intona fonemi, emette suoni e articola petto, gola, lingua, labbro e naso, atti dettati dalle scienze coraniche. Si recitano anche preghiere composte dai maestri sufi del passato, ricche di ispirazioni e di grandi lettere decorate all'inizio delle sure.

E la parola si trasforma in un puro alito, estasi che rincorre il divino, crea l'atmosfera, chi canta e chi suona è unico e sovra-umano. Su un ritmo sempre più frenetico esplode la danza, pari a quella del derviscio rotante della confraternita della Mawlawiyya, del poeta persiano Jalal al-din Rumi. Percezione del bello trascendente, il bello totale.

E dall'amore che Dio le porta, deriva la bellezza della creazione. Scaturisce dalla precisione e dall'armonia delle proporzioni di ogni cosa creata, concetto insito nella radice creare, ma anche dar forma a qualcosa con le esatte proporzioni. Nella creazione dell'uomo viene detto: Poi lo plasmò armoniosamente. Bellezza è armonia, ma l’idea di opera d'arte non è applicabile alle arti islamiche. L'unicità assoluta di Dio non ammette un’associazione a checchessia e dopo aver eliminato gli idoli dai santuari, l'opera dello scultore o del pittore è rigettata. L'uomo non deve osare entrare in gara con Dio sul piano della creazione. Per questo, una cultura universale come quella islamica effettua un'opera di conversione e di equilibrio, con l’unico e più alto strumento a disposizione: la Parola di Dio, la calligrafia usata per scrivere il Corano.

Già nel VII sec. si formò la calligrafia coranica detta cufica, dalla città di Kufa (Iraq), cuneiforme, dai contorni chiari, all’apparenza eccessiva anche nei piccoli formati e diffusa in tutta l'area islamica in 6 stili, modello per i calligrafi a inizio del X sec. Per imporsi è essenziale la carta, scesa dalla Cina nell'VIII sec. attraverso l'Asia centrale e le copie su pergamena si moltiplicano. Con decorazioni attinte a motivi geometrici e al mondo vegetale, la scrittura dà bellezza al libro e il suo valore cresce con una ricca rilegatura. E il Corano diviene il testo per eccellenza da copiare o far ricopiare e miniare.

Opera religiosa di merito, si accende la creatività del miniaturista. Il divieto di rappresentare la figura umana è applicato solo al sacro e al riconoscimento di Allah quale unico e vero Dio, apre la porta a un'arte non rivolta ai fenomeni naturali, creatrice di realtà astratte e assolute, specchio di quella metafisica, incapace di tradurre l'imperfetta materialità del reale. Dov’è nella pittura islamica il ritratto o l’animale, l’oggetto o la natura morta? L'Assoluto, ideale perfetto, è l’unica fonte di ispirazione. Il primo esempio risale al giardino, figurazione del Paradiso, simbolo realizzato e adornato secondo il fondamento dell’idea di bellezza assoluta: astratta rappresentazione di motivi derivati dalla natura, di cui l’uomo è unico spettatore e attore.

È recente la tendenza della Sunna a recuperare giuridicamente l’illegittimità (harām) di ciò che per la donna è proibito, sconveniente e troppo provocante: il bacio. A figli e familiari, soprattutto, per portarlo nell’area della legittimità del diritto (halāl), sulla via dell’armonia e della bellezza, emanazione della divinità. Diversi himam ne parlano e concordano, anzi invitano con calore gli uomini alla tenerezza dell’amore. E la cosa prende piede, e ciò che il duro giudice teologo nega di giorno alla luce del codice, scivola nelle notti là ove il femminile incontra il maschile e la bellezza abbatte la passione. Bacio e bacio e ancora baci.

(consultazione:   corano; c.castellano – una dottrina dolce; storia delle donne – a.m. martelli, firenze; diritti e doveri della donna nell’islam - fatima naseef)

 

Inserito il:28/10/2021 19:56:00
Ultimo aggiornamento:28/10/2021 20:07:10
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