Immagine realizzata con strumenti di Intelligenza Artificiale
DALLA POLTRONA (7) - Alla larga da Venezia!
Presentazione di libri, film, eventi.
di Giacomo D. Ghidelli
Contrariamente a quello che potrebbe sembrare, “Alla larga da Venezia” non è l’intimazione desolata di uno dei pochi veneziani rimasti a Venezia suscitata dalla distruttiva piaga dell’overtourism. No. Questo è il titolo di un bel libro pubblicato da Feltrinelli e benissimo scritto dalla coppia Franco Gilberto (giornalista veneziano) e Giuliano Piovan (capitano di lungo corso), autori che sulla scorta di documenti originali hanno ricostruito, come recita il sottotitolo, “L'incredibile viaggio di Pietro Querini oltre il circolo polare artico nel '400”.
Si tratta di un libro affascinante per molti motivi.
Innanzitutto per il racconto del viaggio in sé. Il Capitano parte dall’isola di Creta con un equipaggio di 68 uomini verso le Fiandre, dove conta di vendere una marea (è proprio il caso di dirlo) di prodotti: vino, spezie, olio etc. Il viaggio però inizia male. Capitan Quirino (non è un refuso ma una variante del nome annotato sui documenti) ha appena perso il figlio malato di tisi e ha voluto partire al più presto. La nave – costruita a Creta utilizzando legno di cipresso anziché quello utilizzato di solito a Venezia – suscita dubbi nell’osservatore mandato dalla Repubblica, il quale esprime perplessità anche sulla qualità della costruzione, in particolare sul timone. Inoltre, per la fretta di partire, non viene osservata la stagionatura in acqua che di solito veniva riservata ai navigli di nuova costruzione. Ma tutto doveva essere fatto in fretta per allontanarsi dal luogo del lutto.
Iniziato sotto cattivi auspici, il viaggio prosegue in modo disastroso: bonacce, vento contrario, guasti del timone e altre quisquilie portano da subito la nave fuori rotta: superato lo stretto di Gibilterra invece di andare verso nord il veliero viene portato a sud. Raggiunte le Canarie sembra che il viaggio possa riprendere senza problemi. Ma questa volta intervengono numerose tempeste durante le quali la nave perde definitivamente il timone e va alla deriva. Nel frattempo le malattie decimano l’equipaggio. Alla fine il Capitano decide di abbandonare la nave per cercare di raggiungere terra a bordo di due scialuppe di salvataggio. Dopo altri giorni di navigazione l’intento riesce e gli undici superstiti approdano finalmente in una sperduta isola della Norvegia, oltre il circolo polare artico, dove trovano rifugio in una specie di stalla abbandonata in mezzo al nulla.
E qui avviene qualcosa di inspiegabile (ricordiamo che si tratta di fatti realmente accaduti, per quanto romanzati). Se ci spostiamo nel vicino villaggio di Røst, troviamo infatti il figlio del capo-villaggio che fa uno strano sogno: nei pressi della stalla ci sono le vacche che avevano perso nell’estate precedente. E il sogno è così netto che il ragazzo convince il padre ad andare a vedere. Per i nostri naufraghi è la salvezza: portati al villaggio trovano ampia ospitalità nelle varie famiglie, dove si sistemano quasi fossero topolini nel formaggio. Qui scoprono anche qualcosa che non conoscevano: lo stoccafisso: il merluzzo, pescato e fatto seccare all’aperto durante tutto l’inverno, è la principale risorsa del villaggio: ogni anno a primavera ne riempiono le barche e vanno a venderlo in una città che dista qualche ora di navigazione. E sembra che proprio ai naufraghi si debba l’introduzione dello stoccafisso a Venezia: anche se i nostri lì stanno bene, infatti, il richiamo di casa si fa sentire in maniera violenta e tutti approfittano della spedizione primaverile per iniziare il viaggio di ritorno: alcuni andranno direttamente a Venezia, il capitano con altri, raggiunta la città, troveranno una nave per un passaggio a Londra, dove Capitan Quirino potrà chiedere ai banchieri di quella città suoi corrispondenti quel sostegno economico che gli consentirà di ripianare le perdite del naufragio allestendo una nuova spedizione. Il progetto va a buon fine, ma qui abbandoniamo il plot del romanzo sin qui sintetizzato all’osso per non svelare il finale di questo libro, libro che si presenta come un complessissimo intreccio di storie.
Queste pagine ci accompagnano infatti in una ricca serie di racconti laterali che raccontano le vite dei vari comprimari del nostro capitano. C’è quella di Aloìsius Mòsele, ingiustamente accusato di vietati rapporti sessuali con una delle due ragazze a cui faceva da istitutore nella nobile famiglia Grimani, fatto che poteva portarlo a una condanna a morte. C’è quella del terribile Pece, soprannome che questa specie di gigante si era guadagnato intingendo nella pece bollente le mani dei suoi nemici. C’è quella del promesso sposo che non vede l’ora di tornare a Venezia per impalmare la sua bella la quale però, credendolo morto, era convolata a nozze con un altro pretendente. E così via.
Un racconto complesso che percorre gli oltre venti mesi in cui si snoda la storia, ritmato da straordinari inserti in dialetto veneziano (al fondo del volume c’è un indispensabile glossario per chi non sia esperto della parlata lagunare), come quello del magnifico elenco delle merci caricate sulla nave al momento della partenza. Ma anche dai testi delle lettere che venivano scritte per effettuare resoconti tecnici, in ogni caso ricche di grazia e di particolari che oggi giudicheremmo inessenziali, abituati come siamo alle mail sinteticamente aride che intasano i nostri computer e i nostri cellulari.
Scritte con linguaggio rispettoso della realtà dei fatti ma anche divertito e divertente, le pagine sono anche intercalate da numerosi documenti originali di piacevolissima lettura.
A questo punto credo però che sia legittimo chiedersi le ragioni del titolo di questo volume. Ma considero ancor più legittimo non spiegare alcunché e lasciare al lettore il piacere – o il dispiacere – della scoperta.