Ottavio Vannini (Firenze, 1585 – 1643 ca) – Michelangelo mostra a Lorenzo la testa di un Fauno
Le grandi famiglie: I Medici - 11 - Ascesa e splendore di Casa Medici
di Mauro Lanzi
11. Lorenzo “il Magnifico”, dopo la congiura, il tramonto e la fine
La “Congiura dei Pazzi”, come, forse impropriamente, è stata denominata, fu uno degli eventi più tragici e sanguinosi del quattrocento italiano; il bagno di sangue che segui il fallimento della congiura a Firenze avrebbe dovuto segnare la fine della vicenda.
Se così non fu è perché dietro il paravento dei Pazzi si erano mosse ben altre forze.
Saputo del fallimento della congiura, il Papa, Sisto IV montò su tutte le furie: presa come pretesto l’impiccagione del Salviati, ordinò la confisca di tutti beni dei Medici a Roma scagliò l’anatema su Firenze, la Signoria, tutta la Toscana, con particolare riguardo a Lorenzo, definito ”figlio dell’impurità e prediletto della perdizione”, anche se la sua principale colpa era stata quella di non farsi ammazzare. Dell’assassinio di Giuliano, nella bolla papale, non si fa menzione: i morti altrui non contano.
Firenze non era intenzionata a piegarsi e con essa tutto il clero della Toscana che rifiutò l’applicazione della bolla papale ed invocò la convocazione di un Concilio per deporre il papa: sembra la prova generale di quanto accadrà da lì a poco, con la Riforma Luterana.
Ma questo non fermò il Pontefice; non contento della scomunica, il Papa decise di affiancare alle armi spirituali, più concreti mezzi coercitivi, dichiarando guerra a Firenze e coinvolgendo nel conflitto il re di Napoli Ferrante, altre città della Toscana, come Siena e Lucca, che si ribellarono prontamente a Firenze, e Federico da Montefeltro duca di Urbino; gli sciacalli non mancano mai quando una ghiotta preda appare alla portata dei loro appetiti. Nessuno stato italiano si mosse in soccorso di Firenze: anche l’aiuto del fidato alleato milanese venne a mancare, viste le difficoltà incontrate da Bona di Savoia nella gestione del suo ducato. Un’offerta di aiuto arrivò invece da parte di Luigi XI, re di Francia, ma Lorenzo, pur nel dramma che viveva la sua città, ebbe la saggezza di declinare la proposta; scriveva ad un amico:
“Dio non voglia che il Signore di Francia abbia ad apprendere le vie d’Italia …”
Parole profetiche come si vedrà tra breve: ma la situazione di Firenze, assalita da forze preponderanti, diveniva di giorno in giorno sempre più tragica. Gli eserciti fiorentini passavano di sconfitta in sconfitta, nel novembre del 1479 il duca di Calabria, figlio del re di Napoli, che si era stabilito a Siena, era giunto a conquistare Colle Val d’Elsa, alle porte della città.
Fu allora che Lorenzo prese una decisione disperata e coraggiosa ad un tempo; imbarcatosi da solo a Porto Pisano, fece vela verso Napoli, mettendosi così nelle mani del suo nemico più pericoloso ed infido Ferdinando I o Ferrante d’Aragona.
Ferdinando era figlio naturale del primo aragonese sul trono di Napoli, Alfonso il Magnanimo: aveva faticato non poco per imporsi su sudditi riottosi, sobillati anche dalla tentata riscossa degli Angiò, aveva soffocato nel sangue numerose rivolte, con la violenza e l’inganno; l’ultima congiura di baroni era stata risolta da una promessa di perdono del Re: ma poi Ferdinando, invitati i baroni ad un banchetto di rappacificazione, li aveva fatti trucidare od imprigionare tutti. Questo è l’uomo a cui Lorenzo affida la sua vita e le sorti della sua città.
Cosa si dissero i due nelle settimane di permanenza di Lorenzo a Napoli non è dato sapere; Ferrante doveva essere combattuto tra la sua naturale ingordigia e la saggezza della visione politica di Lorenzo che prospettava al re i pericoli che avrebbero minacciato l’Italia ed il suo stesso regno per l’instabilità che sarebbe seguita alla caduta di Firenze; del Papa non c’era da fidarsi (poi i papi cambiano), Venezia perseguiva i suoi obiettivi d’oltremare, Milano era finita nelle mani di un personaggio ambiguo ed infido.
Forse una mano a Lorenzo la dettero anche i turchi che minacciavano le coste del regno, nel 1480 arriveranno ad occupare Otranto: fatto sta che, all’improvviso, Ferrante si decise a firmare la pace, richiamò le sue truppe, restituì ai Fiorentini le terre conquistate. Immediatamente la lega antifiorentina si dissolse, Lorenzo poté tornare nella sua città impazzita dalla gioia, accolto come un eroe.
Nel 1480 poi si firmò la pace anche col papa, complice la conquista di Otranto da parte dei turchi, Sisto poi morirà di un ictus nel 1484, per rendere conto ad altri delle sue colpe.
Il “nipote”, Girolamo Riario, che era stato all’origine di tanti misfatti, tentò ancora di fare assassinare Lorenzo, ma i suoi intrighi vennero scoperti per tempo; allora si scelse altri obiettivi, occupò Faenza, cercando poi di ampliare il suo dominio in Romagna a spese degli Estensi (guerra del sale): infine le sue ribalderie provocarono la rivolta di Faenza e l’assassinio dello stesso Riario (1488). La vedova, Caterina Riario Sforza, che pure l’odiava, dovette vendicare la sua morte; nei torbidi che seguirono, fu lei stessa fatta prigioniera con i suoi due figli.
Riuscì a liberarsi con uno strattagemma, che merita raccontare: promise ai suoi carcerieri di convincere alla resa una roccaforte a lei fedele, che ancora resisteva, se le avessero consentito di raggiungerla, ma giunta tra i suoi fece tutto il contrario: rianimò i difensori, assoldò nuove truppe, al punto che i suoi nemici, esasperati, condussero sotto gli spalti i due figli, minacciando di metterli a morte se non si fosse arresa.
- racconta che Caterina, per tutta risposta, si sollevasse le gonne: “Come volete, ho qui di che farne degli altri!”. Leggenda? Forse, ma descrive assai bene il carattere di questa donna.
La congiura dei Pazzi segnò la fine della gioventù di Lorenzo, che non scorderà mai la morte del fratello, ma rafforzò anche la posizione politica del Medici a Firenze; Lorenzo avrebbe potuto facilmente impadronirsi del potere assoluto, ma non volle farlo: fu costituto però un nuovo organismo, il Consiglio dei Settanta, cui spettava la nomina diretta dei Priori, senza l’antico metodo dell’estrazione a sorte, il che ovviamente rafforzò la presa del Medici sulla politica cittadina: in pratica, con una ventina di uomini di sua scelta, Lorenzo governava la città.
Gli anni che seguirono furono i più prosperi e felici per lo stato fiorentino: la minaccia turca costrinse il duca di Calabria a sgomberare in gran fretta anche Siena, che quindi tornò sotto il dominio di Firenze, che fu infine liberata da ogni pericolo ai confini. Si inaugurò un periodo di pace che non poté che giovare all’economia e ai traffici della città, favoriti anche dall’accesso al mare offerto dall’ampliamento di Porto Pisano: una saggia gestione dello strumento fiscale, inoltre, risanò il bilancio statale, senza pesare sulle condizioni dei meno abbienti, preoccupazione sempre presente nella politica di Lorenzo.
Al successo economico della città non faceva però riscontro una situazione altrettanto florida della banca Medici: Lorenzo non aveva il fiuto per gli affari del padre o del nonno, gli mancavano la cura e l’attenzione ai dettagli, la capacità di scegliersi i dipendenti giusti. Si affidò a collaboratori viscidi od inetti, come il Sassetti. Su suo consiglio si decise di finanziare Edoardo IV, in Inghilterra, nella Guerra delle Due Rose, il che portò alla chiusura della filiale di Londra, quando la fazione yorkista (rosa bianca) venne sconfitta a Bosworth da Enrico Tudor; seguirono la chiusura di Milano, dopo l’avvento di Ludovico il Moro, e di Lione, in conseguenza dell’ingente prestito concesso a Carlo il Temerario, duca di Borgogna; quando questi venne ucciso nel 1477 a Nancy dagli svizzeri, si aprì per l’Europa la dannata questione dell’eredità borgognona, origine di duecento anni di guerre, ma per i Medici si aprì un’altra voragine finanziaria.
In generale, Lorenzo non fu così meticoloso ed attento nella gestione delle fortune familiari, come erano stati il padre ed il nonno, e come richiesto dai tempi; con lui la banca di famiglia si avviò al declino.
Il futuro dei Medici sarà quindi legato principalmente alla politica; già fin d’allora Lorenzo era principalmente impegnato nelle vicende della situazione italiana, forte della considerazione e la stima di cui godeva in tutte le corti; entrò in tutte le contese tra gli stati, a partire dalla cosiddetta guerra del sale, scoppiata nel 1482 tra Venezia e Ferrara, in cui si erano infilati tutti gli stati italiani, a partire dal papa, che sperava sempre di ampliare i possedimenti di Girolamo Riario a spese dei vicini: quando Sisto IV seppe della pace di Bagnolo, sottoscritta da tutti i contendenti, grazie all’accorta mediazione di Lorenzo, crepò letteralmente di rabbia.
Il suo successore fu un altro ligure, Innocenzo VIII, al secolo Giovanni Battista Cybo, corrotto e nepotista quanto il suo predecessore, ma almeno non fautore di contese e disordini nella penisola; aveva ben sette figli, avuti da diverse amanti, due dei quali riconosciuti, in particolare il prediletto Franceschetto, avido di denari oltre ogni limite. Sentite cosa dice di loro il Burckardt, grande storico del Rinascimento:
[...] Innocenzo VIII e suo figlio eressero addirittura una banca di grazie temporali, nella quale, dietro il pagamento di tasse alquanto elevate, poteva ottenersi l'impunità per qualsiasi assassinio o delitto. Di ogni ammenda [riscossa], centocinquanta ducati ricadevano alla Camera papale, il di più a Franceschetto. E così Roma, negli ultimi anni specialmente di questo pontificato, formicolava da ogni parte d'assassini protetti e non protetti. Le fazioni, la cui repressione era stata la prima opera di Sisto IV, rifiorirono in pieno rigoglio; ma il Papa, chiuso e ben custodito nel Vaticano, non si preoccupava d'altro, che di porre qua e là qualche agguato, per farvi cader dentro malfattori che avessero mezzi di ben pagare. Per Franceschetto poi, non era che un solo problema fondamentale: questione principale [era] sapere come avrebbe potuto svignarsela con quanti più tesori poteva, nel caso che il Papa venisse a morire. Egli si tradì una volta nell'occasione che di questa morte, ormai aspettata, corse una falsa notizia (1490); addirittura egli voleva portare con sé tutto il danaro esistente nelle casse — il tesoro della chiesa — ma quelli stessi che lo circondavano, glielo impedirono.
Fortunatamente per i fiorentini, Innocenzo aveva grande considerazione di Lorenzo, che, da parte sua cercò in ogni modo di coltivare le buone relazioni col papato, fino al punto di concedere nel 1488 in sposa la figlia Maddalena di 16 anni al dissoluto Franceschetto.
La tranquillità ottenuta ai confini consentì a Lorenzo di coltivare negli ultimi anni della sua vita le sue grandi passioni, la cultura e l’arte; ai Medici, in generale, e a Lorenzo in particolare tutta Europa deve eterna gratitudine per quella che è stata definita “la resurrezione della sapienza”.
Infinito è il numero di manoscritti greci che Lorenzo fece acquistare in Grecia, salvandoli da una certa distruzione, dopo la caduta di Costantinopoli; nel 1472 fondò, con suoi personali contributi l’Università di Pisa, dove si insegnava in latino, mentre della coeva università di Firenze fece il maggior centro europeo per lo studio e l’insegnamento del greco, richiamando studenti da tutte le nazioni. Raccoglieva intorno a sé le migliori menti del suo tempo, da Marsilio Ficino, a Angelo Poliziano, a Pico conte della Mirandola, noto in tutta Europa per la sua straordinaria cultura (conosceva 24 lingue!!): conobbe e protesse tutti i maggiori artisti del suo tempo, da Botticelli, che era il pittore di casa, al Pollaiolo, al Ghirlandaio, al Verrocchio, alunno prediletto di Donatello, al giovanissimo Michelangelo ; aiutò tutti a fare fortuna anche all’estero, anzi fece della diffusione dell’arte di Firenze uno strumento della sua diplomazia; inviò a Roma il Botticelli ed il Ghirlandaio per affrescare la cappella Sistina, malgrado l’acredine che Sisto gli aveva dimostrato; inviò Leonardo a Milano, dove rimase 15 anni, i più proficui della sua vita artistica, ed il Verrocchio a Venezia dove realizzerà la splendida statua equestre di Bartolomeo Colleoni.
Gli ultimi anni di Lorenzo furono afflitti dal progredire del male di famiglia, la gotta, che lo porterà a morire giovane, solo 43 anni, ma anche dal crescente seguito che iniziava ad avere in Firenze un frate domenicano, nato a Ferrara, ma poi trasferitosi a Firenze nel convento di San Marco su invito dello stesso Lorenzo, Girolamo Savonarola: Girolamo si era convertito alla vocazione monastica a seguito di una delusione amorosa, ma si era rapidamente distinto per le sue qualità di predicatore. Giunto a Firenze, il Savonarola soggiogò letteralmente la cittadinanza con la veemenza dei suoi sermoni, che si scagliavano contro la mondanità, la lussuria, la sodomia, la disposizione ai divertimenti ed ai piaceri mondani di una città che certamente non si era fatta mancare nulla sotto questo aspetto: si diceva ispirato da Dio (“è Dio che parla attraverso di me”), minacciava castighi tremendi, e non ultraterreni, ma immediati e molto concreti, si vantava di avere il dono della preveggenza, previde la morte del re di Napoli, Ferrante, del papa, dello stesso Lorenzo, anche se ci sembrano, visti da oggi, fatti abbastanza scontati. Il suo ascendente sul popolo cresceva ogni giorno e, chiaramente, uno dei suoi bersagli preferiti, incarnazione del male, della mondanità era il Signore di Firenze; Lorenzo aveva sempre tollerato le critiche a lui rivolte, ma qui cercò di arginare l’irruenza del frate, con pressioni e messaggi espliciti: gli fu risposto di pentirsi.
Lorenzo era allo stremo, non aveva più l’energia per reagire, la fine si avvicinava: forse ricordava in questi momenti la gioia di vivere dei suoi primi anni
“Ciascun suoni, balli o canti! Arda di dolcezza il core, non fatica, non dolore….”
Ma il corpo di Lorenzo faticava ad ignorare il dolore, lo spirito della gioventù era scomparso.
Quant’è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia,
I suoi versi più famosi ispirano una profonda malinconia, sembrano presagire la fine, la fine di tutto: alle preoccupazioni per la sua vita si dovevano mescolare i timori per la situazione politica:
“di doman non v’è certezza”
“….che il Signore di Francia non abbia ad apprendere le vie d’Italia”
In punto di morte Lorenzo volle accanto a sé il suo grande accusatore: cosa si siano detti, in articulo mortis, frate Girolamo ed il Magnifico non lo sappiamo: un racconto o una leggenda vuole che il Savonarola ponesse tre condizioni per concedere l’assoluzione. Le prime due riguardavano la restituzione del maltolto ad alcune famiglie e ad alcune istituzioni. Il Magnifico acconsentì. La terza, che il Medici restituisse la libertà a Firenze: Lorenzo, allora, si girò verso il muro e si lasciò morire.
Il 1492 fu un anno fatidico per l’Italia, l’Europa ed il mondo; l’anno inizia con la conquista di Granada, 2 gennaio 1492, che pone fine alla lunga vicenda della “Reconquista” della Spagna dagli arabi e sancisce la comparsa prepotente sulle scene europee di un nuovo grande protagonista, il regno spagnolo.
Verso la fine dell’anno, il 12 ottobre 1492, un marinaio genovese, scopre, per errore o per caso, un nuovo continente e nulla sarà più come prima.
Tra i due eventi mondiali, altri due accadimenti destinati a toccare da vicino il nostro paese: il 26 agosto 1492 sale al soglio pontificio il cardinale Rodrigo Borgia, col nome di Alessandro VI, un papa la cui carnalità, la cui lussuria, la cui avidità di dominio e di potere getteranno infamia sulla Chiesa e sciagure sull’Italia.
Poco prima, il 9 aprile 1492 era morto Lorenzo il Magnifico: con lui scompariva non solo il cittadino più grande di Firenze, ma anche l’abile tessitore, l’uomo che con il suo solo prestigio, la sua sola intelligenza, altre armi non aveva, era riuscito a far grande Firenze, ma anche a tener lontano dall’Italia le sciagure che da lì a poco la colpiranno.
Si spegnevano le luci sulla grande bellezza che aveva abbagliato il mondo, si apprestavano, per l’Italia, i secoli bui.