Aggiornato al 12/05/2025

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L'Olivetti delle Telecomunicazioni: Una Storia Industriale da Rivalutare

di Achille De Tommaso

 

Scrivo questo articolo a seguito di un commento espresso dal mio amico Gianni Di Quattro, durante l’incontro di ieri, 8 maggio c.a., che mi spinge a chiarire quelli che ritengo aspetti semplificati o travisati della nostra storia industriale.

Di fronte alla mia osservazione sull’evoluzione, a mio parere, innovativa di Olivetti, passata con lungimiranza dall’informatica alle telecomunicazioni, Gianni ha sostenuto che tale passaggio fu in realtà dettato per lo più dalla mancanza di risorse finanziarie e da un imminente fallimento. Una tesi, questa, che mi trova in disaccordo, sia per motivi storici, sia per esperienze dirette, maturate in quel periodo. Propongo qui una lettura più articolata, e vissuta dall’interno, per restituire un po’ di dignità a una stagione irripetibile dell’innovazione italiana.

***

Nel panorama tecnologico-industriale italiano, pochi capitoli risultano tanto densi di visione, quanto fraintesi, quanto quello dell'Olivetti nelle telecomunicazioni.

Talvolta relegato a nota di sopravvivenza post-informatica, questo slancio industriale fu in realtà, a mio parere, parte di una visione che cercava di connettere il mondo dell'informatica con quello delle reti, anticipando ciò che oggi chiamiamo "convergenza digitale". Erano quelli gli anni in cui si parlava di “telematica” (termine rubato ai francesi), senza capire bene cosa fosse.

Il sottoscritto ha avuto un ruolo diretto in questa fase, come fondatore e CEO di Infostrada, primo vero sfidante infrastrutturale del monopolio Telecom Italia, e come Amministratore Delegato di Sixtel, joint venture 50/50 tra Olivetti e Northern Telecom. È quindi con una certa cognizione che posso affermare che Olivetti non si dedicò alle telecomunicazioni semplicemente perché "stava per fallire", ma perché comprese – per prima in Italia – che l'informazione era destinata a fluire su reti convergenti, unendo calcolo, comunicazione e contenuti. Convengo sul fatto che, per Olivetti, quelli fossero anni complessi, segnati da forti turbolenze finanziarie e dalla crisi strutturale, ma globale, del comparto informatico. È vero che l’ingresso di Olivetti nel settore delle telecomunicazioni avvenne anche grazie al sostegno di partner strategici, alcuni dei quali svolsero un ruolo rilevante come co-finanziatori o facilitatori di accesso a nuovi mercati. In questo senso, si potrebbe interpretare tale passaggio come una manovra per evitare il collasso. 

Tuttavia, questa lettura – pur legittima in termini economico-contabili – non esaurisce la portata dell’iniziativa. Senza una visione industriale lucida, coerente e anticipatrice, l’operazione si sarebbe risolta in un nulla di fatto. La volontà di sopravvivenza, da sola, non genera innovazione. Fu solo grazie a una strategia che integrava competenze tecnologiche, relazioni internazionali, capacità ingegneristica e una chiara comprensione dell’evoluzione digitale, che Olivetti riuscì non solo a resistere, ma a contribuire attivamente alla nascita di uno dei più ambiziosi progetti tecnologici, europei, dell’epoca.

La nascita di Omnitel: la rivoluzione mobile italiana

Nel tessuto di questa evoluzione strategica, Omnitel rappresentò una delle scommesse più audaci e vincenti. Fondata nel 1994 (quindi prima della deregulation dei servizi voce) come consorzio guidato da Olivetti e Mannesmann, Omnitel Pronto Italia nacque con l'obiettivo di spezzare il monopolio di Telecom Italia Mobile (TIM) nel settore della telefonia cellulare.

La visione alla base di Omnitel era rivoluzionaria per il contesto italiano di metà anni ’90: costruire da zero una rete GSM completamente digitale e conforme agli standard europei, in un momento in cui l’operatore incumbent, Telecom Italia Mobile, aveva una rete GSM sperimentale e non completamente operativa, e continuava a offrire servizi di telefonia mobile su tecnologia analogica TACS. (la stessa storia travagliata del GSM meriterebbe un articolo…)

Questa condizione offrì a Omnitel un vantaggio strategico cruciale: non dovendo convivere con sistemi legacy, poté progettare e implementare una rete moderna, efficiente e scalabile, basata fin dall’inizio sulla commutazione digitale, la cifratura delle comunicazioni, la gestione avanzata del roaming e l’integrazione dei servizi a valore aggiunto.

Ma l’innovazione andò ben oltre l’infrastruttura tecnica. Omnitel portò in Italia un modello di servizio centrato sul cliente, con un linguaggio commerciale diretto, contratti trasparenti, soluzioni prepagate innovative e una comunicazione giovane e dinamica.
In breve, non fu solo un concorrente tecnologico, ma un nuovo paradigma culturale e industriale, che contribuì in modo determinante ad accelerare la transizione dell’intero settore mobile italiano verso la piena digitalizzazione.

La sfida era immensa, considerando il vantaggio competitivo di cui godeva TIM in termini di infrastruttura, base clienti e notorietà.  (TIM aveva già 700.000 clienti TACS e 150.000 in fase “volontaria” di passaggio a GSM). Nel dicembre 1995, Omnitel lancia ufficialmente il suo servizio commerciale, diventando il secondo operatore mobile italiano. L'ingresso nel mercato fu caratterizzato da una strategia di differenziazione netta: mentre TIM era percepita come un servizio d'élite, costoso e istituzionale, Omnitel si posizionò come alternativa dinamica, innovativa e più accessibile. Giovane!

La rivoluzione Omnitel non si limitò all'aspetto commerciale. Dal punto di vista tecnologico, l'azienda implementò soluzioni all'avanguardia per l'epoca, investendo massicciamente nella copertura del territorio e nella qualità della connessione. Inoltre, Omnitel introdusse per prima in Italia concetti come la ricaricabile (con il servizio "Libero" nel 1997), che democratizzò l'accesso alla telefonia mobile. Il successo fu rapidissimo: in meno di tre anni, Omnitel superò i 3 milioni di clienti, dimostrando che il mercato italiano era maturo per una competizione reale anche in un settore considerato strategico. Questa crescita esplosiva confermò la validità dell'intuizione originaria del gruppo Olivetti: le telecomunicazioni non erano solo un'opportunità di business, ma il terreno fondamentale su cui si sarebbe giocata la partita della digitalizzazione.

Olivetti e la rete: tecnologia, visione, alleanze

Il progetto Sixtel, frutto dell'alleanza con Northern Telecom, non fu un ripiego, ma un'avanguardia. Integrando le centrali digitali con i sistemi ISDN, Sixtel rappresentava già una delle più sofisticate implementazioni di telecomunicazioni digitali in Italia. Operava soprattutto in ambito privato, ma aspirava a fornire centrali all’incumbent.

Con Infostrada, la scommessa divenne industriale: costruire una rete alternativa, fissa, nazionale, con backbone proprietario, interconnessioni locali, numerazione propria e servizi evoluti, sfidando non solo la tecnologia, ma l'inerzia politica, normativa e regolatoria. Sottolineo, fosse necessario, a quel tempo il “nuovo operatore”, per iniziare a dare il servizio, non poteva usare la rete dell’incumbent, come si fa ora.

La strategia di Olivetti nelle telecomunicazioni si articolava quindi su fronti complementari:

  • Omnitel nel mobile, come operatore completamente alternativo
  • Infostrada nella rete fissa, come sfidante infrastrutturale
  • Sixtel nell’hardware
  • C’era anche e-Via, nella costruzione di reti in fibra ottica, che fu fondata nel 1999.

Questo quartetto rappresentava un disegno industriale coerente, che ambiva a costruire un ecosistema integrato capace di competere ad armi pari con l'ex monopolista, portando innovazione in un mercato tradizionalmente statico.

Carlo De Benedetti: imprenditore, azionista, stratega

Nel tessuto di questa vicenda, Carlo De Benedetti – figura indiscutibilmente incisiva – fu l'architetto finanziario e strategico di molte delle operazioni che portarono Olivetti nel cuore delle telecomunicazioni italiane.

Sotto la sua guida, e quella di Elserino Piol, Olivetti:

  • si alleò con AT&T, Northern Telecom, France Télécom,
  • acquisì partecipazioni in operatori, infrastrutture, società di software e servizi,
  • si dotò di un'intelligenze manageriali capaci di operare sia nell'hardware che nella rete.

De Benedetti intuì il potenziale di crescita del settore delle telecomunicazioni in un'Italia che stava faticosamente uscendo dal modello monopolistico. Con l'avvio di Omnitel, dimostrò che era possibile rompere barriere considerate insormontabili, attraendo capitali internazionali significativi in un periodo in cui gli investimenti esteri in Italia erano tutt'altro che scontati.

Ma De Benedetti fu anche l'uomo che trasformò la vocazione industriale in operazione di leva finanziaria, culminata nella scalata a Telecom Italia, realizzata nel 1999 attraverso Olivetti – divenuta, paradossalmente, un veicolo finanziario più che una tech company operativa.

Un'occasione persa, una lezione aperta

L'esperienza congiunta di Olivetti, Omnitel, Sixtel, Infostrada (ed e.Via) rappresenta, secondo me, l'ultimo grande tentativo italiano di costruire un ecosistema tecnologico integrato, competitivo e autonomo. Il successo di Omnitel, in particolare, dimostrò che un approccio industriale innovativo poteva non solo sopravvivere ma prosperare nel difficile contesto italiano. Non a caso, l'azienda continuò la sua crescita anche dopo essere stata acquisita da Vodafone nel 2000, mantenendo per anni una cultura aziendale distintiva improntata all'innovazione.

La successiva parabola di Telecom Italia, invece, segna il trionfo (e la caduta) del modello finanziario su quello industriale: una realtà di eccellenza trasformata in vettore di debito, in nome di una crescita apparente e di una centralità svanita.

In sintesi, ridurre l'ingresso di Olivetti nelle telecomunicazioni a una fuga dal fallimento fa commettere un doppio errore: si ignora l'audacia industriale, e la visione, di quell'esperienza, e si sottovaluta l'impatto trasformativo che essa ebbe sul sistema italiano.

La storia di Omnitel, in particolare, dimostra come un'idea industriale solida, sostenuta da investimenti adeguati e da una visione chiara, possa cambiare radicalmente un mercato, anche in condizioni di partenza apparentemente proibitive. Per inciso, chi dovesse magari raccontare la privatizzazione e la finanziarizzazione di Telecom come inevitabili tappe della modernità, dimentica che la tecnologia senza visione è solo debito connesso a un cavo. La lezione oggi è questa: senza una strategia industriale, l'innovazione diventa effimera, e il patrimonio tecnologico nazionale si dissolve nei bilanci di chi non sa gestire, per incompetenza, il presente e il futuro delle telecomunicazioni.

E l’ultimo commento generale che mi sento quindi di fare è che, purtroppo, non intravvedo, oggi, una strategia industriale delle telecomunicazioni, in Europa. E tanto meno in Italia.

 

Inserito il:10/05/2025 18:19:19
Ultimo aggiornamento:11/05/2025 19:06:48
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