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Voltaire

‘Cristo Pantocratore - Russia - Scuola di Palech - fondo oro - fine del XVIII sec. - cm 27,2 x 23

 

Le Sacre Icone, fonte di ispirazione per Malevich e le Avanguardie

di Giovanni Boschetti

 

Molti, forse tutti, gli artisti russi dell’inizio del XX secolo hanno subìto l’influenza dell’iconografia russa.

Natalia Gontcharova, Michail Larionov, Pavel Filonov, Kazimir Malevich, Vladimir Tatlin, per citare i più famosi.

Malevich sosteneva che: “Attraverso l’arte dell’Icona, ho capito, come mai prima, il carattere emozionale dell’arte contadina, della quale non avevo compreso l’importanza e che avevo scoperto solo dopo lo studio delle Sacre Icone”.

I pittori di quell’arte, avendo raggiunto grande maestria, avevano trasmesso un intero contenuto in una verità al di fuori della prospettiva. Il colore e lo sfondo venivano elaborati da loro in una percezione puramente emozionale del tema.

L’Icona ha dunque svolto un ruolo di prim’ordine nella rivoluzione estetica operata dalle Avanguardie russe dal 1907 al 1927 ca.

Natalia Gontcharova suscitò scandalo nel 1912 mostrando a Mosca, durante l’esposizione ‘La coda d’asino’, un quadro che rappresentava i quattro Evangelisti, simili alle Icone della serie apostolica dell’iconostasi. La censura di allora non sopportò che opere su soggetti sacri, nell’esposizione c’era anche un quadro intitolato Dio, facessero parte di una mostra dal nome tanto bizzarro e offensivo al tempo stesso. Le opere di Natalia Gontcharova non erano Icone, si trattava di quadri religiosi. L’artista dipinse anche ‘vere’ Icone, senza mai raggiungere la perfezione spirituale e artistica dell’antica pittura Sacra.

L’Icona diede un impulso decisivo per la comprensione del quadro come tale. Fu così che Natalia Gontcharova, nella sua serie di opere dedicate ai lavori nei campi, alle attività della vita contadina, inserì elementi figurativi provenienti dall’arte iconografica: occhi a mandorla, strabismo mistico, colori simbolici.

Larionov diede alla sua Venere ‘occhi da Icona’. Il volto umano subì, negli artisti della scuola russa del XX secolo, l’influenza dei volti iconici: i ritratti frontali, gli occhi aperti su un’altra realtà, lo sguardo che attraversa il visibile senza soffermarsi su di esso, l’aspetto ieratico e meditativo.

Alexej Jawlensky fu profondamente influenzato dall’estetica bizantino-russa attraverso la rappresentazione dei volti umani ai quali conferì tutte le sfumature mistiche grazie a una gamma di colori sontuosa, raffinata, a un equilibrio fra il forte potere emozionale dei colori e l’ascesa espressiva che giungerà alla quasi-astrazione delle ultime meditazioni negli anni Trenta.

Jawlensky e Malevich, ognuno con la propria pittura e la propria visione iconologica, presero il volto umano come paradigma metonimico del Volto del Mondo.

È dall’Icona, come pure dai lubok, dall’arte arcaica o dai nabi, che viene la ieraticità delle forme in Larionov, in Gontcharova, Tatlin e Malevich.

Filonov, nel suo progetto coraggioso di fare della superficie del quadro il luogo della nuova creazione del mondo nella sua totalità, prese in prestito procedimenti formali e tematici dalla pittura d’Icone. Quanto a Tatlin, si formò alla tecnica delle Icone e l’applicò ai suoi dipinti dal 1911 al 1913. Il levkas, quella mescolanza di gesso e di colla animale che forma il primo sfondo luminescente bianco della tavola dell’Icona, sarà uno degli ingredienti dei suoi contro rilievi fra il 1914-1915. Il procedimento, che consiste nel mettere un personaggio in piedi per tutta l’altezza del quadro, personaggio che domina con la sua statura gli altri eventi figurativi rappresentati in piccolo, proviene chiaramente dalla struttura delle Icone con un Santo al centro circondato da compartimenti (kleima) che narrano gli episodi della sua vita.

L’insegnamento della prospettiva ‘rovesciata’ presente nell’arte iconografica fu di grande importanza per gli artisti russi di inizio XX secolo nel loro rifiuto di tener conto solo della prospettiva scientifica ereditata dal passato.

Alla fine degli anni Venti, Malevich prenderà gli archetipi del Cristo Acheiropoiètos e del Pantocrator per creare i propri quadri-icone. Malevich non imita una singola Icona per poi trasformarla a suo modo, ma costruisce un’immagine a partire dagli elementi della pittura d’Icone, che ripensa e dei quali si appropria per le necessità del suo quadro.

Il legame fra l’arte iconografica e le Avanguardie russe si manifestò in modo deciso durante l’Ultima esposizione futurista di quadri 0,10’ a Petrograd alla fine del 1915, dove Malevich istallò il suo Suprematismo della pittura, come l‘Angolo Rosso’ delle case ortodosse russe, con il Quadrangolo, il famoso Quadrato nero su fondo bianco che definisce ‘l’icona del nostro tempo’. Questo gesto non significa che si tratta di una Icona ortodossa nella sua funzione culturale, ma dell’espressione di un’immagine essenziale, priva di elementi figurativi superflui, che si oppone all’effige resa all’Unico.

Malevich non fu influenzato dal lato formale dell’Icona; egli colse pure, con un’intuizione geniale, l’aspetto filosofico-teologico dell’Icona, ossia che la presenza reale non è nell’immagine simbolica rappresentata, ma nella relazione di quest’ultima con il modello assente: L’invisibilità dell’immagine è la fonte della visibilità dell’icona.

Il Quadrangolo oscilla fra iconoclasmo e iconicità, fra la cancellazione della realtà carnale e la manifestazione del solo mondo autentico, il senza-oggetto. Si osserva un’inflessione esicastica nel Suprematismo di Malevich, il cui opus magnum si chiama ‘Il Mondo come senza-oggetto o il riposo eterno’ e che traduce sulle sue tele il silenzio, l’ascesa minimalista e l’armonia dell’assenza di oggetti.

‘Quadrato nero’ 1915 - olio su lino - cm 79,5 x 79,5 - Galleria Tre’tjakov - Mosca

 

 

Inserito il:24/09/2021 11:44:09
Ultimo aggiornamento:24/09/2021 11:51:35
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