Adriano Olivetti - Documentario “in me non c’è che futuro”
Centri Comunitari e I-Rur
di Giuseppe Silmo
Il Movimento Comunità viene fondato da Adriano Olivetti a Ivrea nel giugno 1947, la fondazione era stata preceduta dalla nascita a Roma della rivista “Comunità” nel marzo 1946.[1] Rivista e Movimento hanno la loro fonte programmatica e ideologica nel “Ordine politico della Comunità”, la cui prima edizione apparve nel settembre 1945. L’opera costituiva, il punto di arrivo di una sistematica riflessione avviata nella seconda metà del 1942 e condotta a termine da Adriano durante l’esilio elvetico.[2] La realizzazione del programma del Movimento, che ha come obiettivo la Comunità come base dell’organizzazione politica, passa attraverso la realizzazione dei Centri Comunitari.
Centri Comunitari
I Centri Comunitari nel Canavese
La realizzazione del suo ideale di Comunità, Adriano lo inizia nella terra del Canavese, che, con la sua fabbrica al centro, è il suo punto di riferimento, il suo modello di ispirazione, sia per la dimensione, sia per le sue caratteristiche peculiari di tipo agricolo-industriale. Scrive infatti Adriano sulla grandezza delle Comunità: “La loro popolazione potrà oscillare tra i settantacinquemila e i centocinquantamila abitanti”,[3] che è la dimensione del Canavese. Sulle caratteristiche scrive: “La nostra Comunità deve essere concreta, visibile, tangibile, una Comunità né troppo grande, né troppo piccola, territorialmente definita, …”.[4] In un altro passo specifica: “E bisognava cominciare dal piccolo e dal basso. Non diversamente da come sarà lo Stato delle Comunità, organizzato partendo dai Comuni, dai Centri Comunitari, …” e ancora: “Nello schema della Comunità, i Centri Comunitari - che sono le cellule democratiche – la cultura organizzata, le forze del lavoro creano insieme, le Comunità: le Comunità daranno luogo allo Stato”.[5]
L’istituzione dei primi Centri Comunitari o della “Comunità” nel Canavese sono, nelle intenzioni di Adriano, un iniziale passo verso tale ordine. I Centri diventano non solo un luogo d’incontro aperto e indipendente per le persone del luogo, ma anche uno spazio per l’espressione libera delle loro idee e per l’organizzazione delle attività, per la formazione culturale e politica aperto a tutti. Proprio per questo non furono mai delle sezioni di partito, come molto bene chiarisce Pino Ferlito, segretario del Centro Comunitario di Cuorgnè dal 1954 al 1956 in un suo recente discorso commemorativo: “I Centri comunitari del Canavese sono un argomento trascurato dagli storici anche se molto, dalla cultura alla politica all’economia dei centri periferici, ha avuto origine dalla loro attività: questa scarsa attenzione proviene probabilmente dall’averli considerati semplicemente alla stregua delle sedi di partito, centri di dibattito interno e di propaganda. In realtà, il ventaglio di attività praticate, a partire dal settore culturale, comprendeva, oltre all’analisi della politica locale e nazionale, corsi di lingua straniera, professionali (taglio e cucito, steno-dattilografia, ecc.), proiezioni di filmati e audizioni di musica, dibattiti su temi a richiesta introdotti da esperti della materia”.[6]
L’attività culturale è il primo impegno dei Centri perciò, come scrive Adriano: “Il primo piano del lavoro sociale intrapreso dai Centri Comunitari fu l’istituzione di biblioteche e la notevole circolazioni di riviste tecniche e culturali”.[7] In media ogni centro arriva ad avere almeno un centinaio di libri, anche con titoli in francese, inglese e spagnolo. Ci sono anche biblioteche specializzate per ragazzi e teatrali. Nella diffusione della cultura nei Centri Comunitari, spiccano in particolare due personalità, che troveremo attive anche nella vicenda I-Rur, Vico Avalle e Ugo Aluffi.[8]
Un altro filone di attività è costituito dall’organizzazione di corsi specializzati. Per i giovani: corsi di avviamento e perfezionamento professionale, corsi di disegno tecnico industriale. Per uomini e donne: corsi di cultura generale, di taglio, ricamo e cucito (anche con le “macchine da cucire”, fornite per l’occasione dalla Necchi, come nel caso di Cuorgnè), e ancora di igiene e pronto soccorso o di economia domestica.
Centro Comunitario di Cuorgnè, 8 maggio 1955, festa della Donna e cerimonia di festeggiamento per la fine del corso di cucito su macchine per cucire Necchi. (Foto gentilmente concessa da Pino Ferlito, già segretario del Centro)
Ẻ presente anche una forma di assistenza “per l’avvio di pratiche previdenziali, curata da due assistenti sociali [dipendenti Olivetti] come Natuska Dallolio ed Elena Gabutti che si avvicendavano nelle sedi comunitarie sparse nel Canavese”.[9]
Importante in questo contesto il ruolo della televisione, di cui ogni centro è dotato, per il suo ruolo aggregativo tra le persone che animano il centro e, in quegli anni, anche per il suo ruolo di “scuola”. Non mancano la proiezione di filmati, proiettati e commentati localmente da operatori volontari del Centro Culturale Olivetti. In questa attività è particolarmente attivo Adriano Bellotto, critico televisivo e cinematografico di grande spessore e notorietà; il suo primo lavoro importante lo completa proprio durante gli anni di Comunità, si tratta ormai di un classico della cultura televisiva: “La televisione inutile”, del 1962.[10] Adriano Bellotto, allora neolaureato entusiasta, gira i Centri Comunitari su una Vespa con un piccolo rimorchio sul quale trasporta proiettore e “pizze” dei film da proiettare e discutere.[11]
Anche lo sport e le attività ricreative rientrano tra gli impegni dei Centri, comprese feste danzanti, gioco delle carte e gite.
Infine, la discussione sui temi dei problemi locali dell’amministrazione comunale e delle relative soluzioni anche in termini politici, nonché sui temi della politica nazionale e internazionale è presente e si rifà agli ideali e ai fini del Movimento. Confronto democratico che porta alla creazione della Comunità.
La democrazia di ogni centro si esprime attraverso un’assemblea generale dei soci che elegge un Consiglio direttivo, che a sua volta elegge il Presidente, il Collegio dei Sindaci e i Probiviri. Ogni Centro ha un suo Segretario proposto dal Segretario Generale del Movimento Comunità, Massimo Fichera, in accordo con i membri del Centro. Il Segretario rappresenta innanzitutto il Movimento Comunità nel Centro dove svolge la sua attività.
Ogni Centro, per la sua fondazione e gestione economica, si avvale del sostegno del Comitato Centrale della Comunità oltre che delle quote sociali e della generosità di privati o alle volte del Comune stesso per le spese delle varie sedi.
Secondo un recente studio, che si è avvalso della documentazione originale, non sempre coincidente perfettamente con quanto scritto da Adriano in Il Cammino della Comunità)[12], due anni dopo la nascita del Movimento comunitario, fondato a Ivrea il 3 giugno 1947, nel 1949 nascono i primi Centri Comunitari. Sono quelli di Chiaverano (abitanti: 1730)[13], Palazzo Canavese (880) e Tavagnasco (850). Gradualmente, come una macchia d’olio, i centri si espandono. Nascono, tra il ’50 e il ’51, quelli di Alice Superiore (600), Andrate (620), Caluso (3.700), Castellamonte (8.200), Pavone (2.000), Calea (400), Carema (1.100), Loranzé Piano (770), Rivarolo (7.900), Borgofranco (2.900), Piverone (1.381), San Giorgio (2.200), Vico (1.300), Azeglio (550), Caravino (923) e tanti altri negli anni successivi. Un insieme di grossi centri e minuscole realtà paesane, a dimostrazione di uno spirito associativo e comunitario già ampiamente diffuso nel Canavese, che aveva visto la nascita di società operaie e di cooperative poi spazzate via dal fascismo. Nel 1952, si possono contare 22 centri, nel 1954, già 33, che divengono 62 nel 1956 e, nel successivo periodo di massima espansione, che raggiunge l’apice con le elezioni politiche del 1958, il totale dei Centri Comunitari ammonta a 89. Tuttavia, non tutti i Centri erano ugualmente efficienti; secondo Pino Ferlito, quelli veramente efficienti erano una cinquantina. Ogni Centro aveva un suo percorso di fondazione e di sviluppo, una propria storia locale.
Dopo il deludente risultato elettorale del Movimento Comunità alle elezioni politiche del 1958, la nascita di nuovi Centri si arresta, molti di quelli già esistenti presentano un numero decrescente di aderenti e per alcuni inizia il declino, fino a portare alla chiusura. Dopo il 1958, gradualmente i centri si riducono a 58 e nel momento della chiusura finale, tra il 1963 e il 1964 (ben dopo la morte di Adriano, a significare il profondo radicamento agli ideali comunitari), se ne contavano attivi solo 24.[14]
Faranno eccezione il Centro di Cuorgnè, che era stato molto attivo ed efficiente e che chiude solo nel 1965, quello di Carema, che continua la sua attività fino al 1970 e quello di Palazzo Canavese, che ha consegnato un lascito storico.
La chiusura definitiva, tuttavia, è soprattutto dovuta alla cessazione del supporto economico del Comitato Centrale della Comunità di Ivrea.[15] Comitato che era finanziato dal Movimento Comunità, ossia, secondo Pino Ferlito, da Adriano Olivetti, per mezzo dell’Amministratore Mario Caglieris, e non già dalla Società Olivetti.[16] Caglieris, il 10 giugno 1958, riceve da Adriano la disposizione della “smobilitazione” del suo ufficio e della “liquidazione di tutte le pendenze in corso”.[17] Liquidazione che prenderà ancora tempo, perché il 14 luglio e il 22 luglio 1960 ci sono ancora due lettere a Roberto Olivetti sull’argomento.[18]
Il Centro Comunitario di Palazzo Canavese
Il Centro Comunitario di Palazzo nasce dall’amicizia tra Adriano e Genesio Berghino, maturata fin dalla metà degli anni ’20, nella fabbrica di Camillo, sul modello di quelli che Adriano stava progettando di creare in tutto il Canavese. Questa Comunità si autoalimenta della sua storia, che tuttora la mantiene viva e funzionate: il termine “comunità” è quello intorno a cui tutto ruota; si diceva, e ancora si dice, “vado in comunità”, anziché “vado al Centro”. È l’ultimo rimasto funzionante in Canavese, proprio perché è ritenuto dalla popolazione e dall’Amministrazione Comunale un patrimonio e un punto di aggregazione irrinunciabile.
Così scrive Adriano sulle origini di questo Centro Comunitario: “Non posso dimenticare che a dar vita alla prima Comunità del Canavese furono dei semplici e modesti operai. Primo fra tutti Genesio Berghino di Palazzo, piccolo, ridente paese di settecento abitanti, disteso fra faticati vigneti nelle colline della Serra. Il suo Centro Comunitario è un Centro modello, costruito in mezzo al paese, senza fasti retorici, in uno stile modesto e accogliente che si accompagna alle case di ognuno. Palazzo diventa nella storia del nostro Movimento un episodio significativo e importante. Primo, perché è nato da un sacrificio individuale: Genesio Berghino ha preso tutti i suoi risparmi e ha donato alla sua Comunità e denari e terreno. Secondo, i comunitari di Palazzo hanno lavorato tutti i giorni di festa per due interi anni, per costruirlo pietra su pietra, mattone su mattone.”[19]
Tuttavia questo brano di Adriano deve essere completato e integrato nella realtà del paese.
Adriano scrive queste parole in omaggio alla grande amicizia che lo lega a Genesio e nel contesto della nascita e sviluppo del movimento comunitario. In realtà, a Palazzo è successo qualcosa che ha superato le appartenenze ideologiche o aziendali: un paese intero ha voluto realizzare quest’opera. Operai e contadini, al di là delle tessere di partito o di essere iscritti o meno al Movimento di Comunità, si sono riconosciuti in un’unica volontà, quella di dotare il paese di una struttura di aggregazione e di servizio. Quel “comunitari” di Adriano è da intendersi, perciò, non già come gli iscritti al Movimento, ma nel senso più alto e più completo di ciò che lui stesso intendeva per comunità.[20]
Genesio Berghino ci mette il terreno e i suoi risparmi. Il paese tutto fornisce gratuitamente la manodopera, eccetto i ragazzini, a cinque lire l’uno, scrostano e ripuliscono i mattoni recuperati da un muro che circonda il terreno su cui sorgerà il Centro. Adriano, come Azienda, ci mette soldi, materiali e progetto, che viene realizzato da uno dei più prestigiosi architetti olivettiani, Eduardo Vittoria, a cui permette di derogare dallo stile razionalista, squadrato e con il tetto piatto, usato nelle architetture olivettiane, per uno stile “modesto e accogliente che si accompagna alle case di ognuno”;[21] nel Centro Comunitario porta la sua idealità di concreta cellula democratica e di convivenza civile, che può solo nascere dal basso e dal territorio, concetti che sono alla base del Movimento Comunità, perciò il suo simbolo, la “campana”, domina la piazza, che dopo la sua morte verrà a lui intitolata.[22] Scriveva, infatti, Adriano: “La fitta rete di Centri Comunitari radicati ormai in quasi tutti i Comuni del nostro circondario, costituisce non solo il primo luogo d’incontro fraterno dei comunitari, ma un’opera del tutto nuova di educazione e partecipazione democratica.”[23] E a proposito di quello di Palazzo, così scriveva: “La piccola comunità di Palazzo aveva acceso una sua fiamma e la grande Comunità del Canavese si offerse di alimentarla dei mezzi tratti dalla sua esperienza; così ebbero vita il servizio sociale, il servizio sanitario, il servizio culturale e le altre forme di organizzazione della Comunità”.[24] L’edificio viene realizzato tra il 1952 e il 1955, è costituito da due corpi di fabbrica che, collegati fra loro da un corridoio, racchiudono una piazzetta, luogo d’incontro e di socializzazione prima di accedere all’interno. Conoscendo il profondo amore di Adriano e dei suoi collaboratori per la cultura greca, da cui hanno tratto i nomi dei prodotti, delle Società, nonché il simbolo stesso dell’Olivetti disegnato da Nizzoli, la famosa “greca”, viene da pensare a una sorta di agorà, la piazza della polis (la città), dove il popolo s’incontrava per discutere sui destini della comunità.
Il Centro Comunitario di Palazzo oggi, con la Campana ancora come allora.
Il corpo principale è costituito da un salone con un magnifico soffitto in legno di pino dell’Alto Adige. Serviva principalmente da grande sala riunioni, ma anche da palestra, teatro, sala da ballo e luogo dove tutto il paese andava alla sera a vedere la televisione e dove si facevano anche corsi di taglio, di cucito, di economia domestica, si organizzavano conferenze e venivano proiettati filmati, gli stessi proposti a Ivrea presso la mensa Olivetti. L’altro corpo di fabbrica ospita l'ambulatorio medico, organizzato secondo i criteri dell’infermeria Olivetti; la biblioteca, anche qui con la stessa organizzazione di quella aziendale e, soprattutto, con la selezione degli stessi libri, giornali e riviste; e infine gli spogliatoi per la squadra di calcio e piccoli locali per uffici.
E oggi? Tutto si è conservato per l’amore degli abitanti di Palazzo verso questo luogo. La proprietà ora è del Comune, ma i locali sono ancora adibiti alle stesse funzioni; l’ambulatorio medico funziona regolarmente. Impressionante è la visita alla biblioteca, sembra di trovarsi esattamente in una delle biblioteche Olivetti, o in un ufficio dell’Azienda: le stesse scrivanie, gli stessi scaffali, i libri perfettamente classificati e ordinati, la maggior parte ancora con la scritta Olivetti sul dorso. Tutto come allora e tutto perfettamente ancor oggi efficiente.[25]
I Centri Comunitari nel Mezzogiorno
Coerentemente con il suo impegno verso il Mezzogiorno, iniziato con il lavoro di analisi sociologica e urbanistica dei Sassi di Matera (1948), che aveva portato alla realizzazione del borgo La Martella 1952-1954) su progetto di Ludovico Quaroni, e il successivo impegno industriale a Pozzuoli (1955), Adriano pensa di costruire la Comunità Concreta, attraverso i Centri Comunitari, anche al Sud.
L’azione dei Centri Comunitari promossi dal Movimento Comunità non si delimita quindi solo nel Canavese, bensì inizia a estendersi anche in altre località, con contesti socio-culturali e politici diversi. La loro nascita è dovuta all’importanza e all’impegno della rivista «Comunità», delle Edizioni di Comunità, del Movimento Comunità e soprattutto dall’entusiasmo degli stessi locali, in particolare da parte di giovani nutriti da speranza e desiderio di cambiamento, che condividono lo stesso impegno verso il processo di democratizzazione promesso da un luogo come il Centro Comunitario, promotore di diverse attività sociali e culturali. Come così conferma il giornalista e scrittore meridionalista, Leonardo Sacco,[26] tra gli ultimi depositari della memoria degli eventi che portarono, nell’immediato dopoguerra, al dibattito sul recupero dei rioni Sassi di Matera: “Gli ideali olivettiani c’erano perché noi eravamo un gruppetto che acquistava regolarmente tutti i numeri delle Edizioni di Comunità sin dal 1946”.[27]
La presenza di idee comunitarie nella regione lucana inizia a crescere dallo studio dell’inchiesta sociologica su Matera, che porterà alla realizzazione del borgo rurale La Martella. Emilio Renzi, infatti, annota: “La creazione e diffusione di Centri del Movimento Comunità nel Sud Italia si intreccia con la storia delle iniziative sul piano urbanistico:”[28]
Così, a iniziare dal 1951, sorgono dei Centri di Comunità maggiori a Matera e a Potenza e altri minori nelle zone di Matera-Piccianello, Pisticci, Grassano, Rotondella, Nuova Siri, Guardia Perticara, Tursi, Bernalda, Pomarico, Grottole, Accentura, Stigliano, Montalbano, Montescaglioso, Irsina, a cui nel 1958 si aggiungono Muro Lucano, Trivigno e Tricarico. Nel 1951 nasce anche il Centro di Terracina (Latina). [29]
Tuttavia, i Centri del Mezzogiorno hanno le caratteristiche di Centri Culturali più che di Centri Comunitari come quelli Canavesani, che nascono dalla partecipazione degli abitanti del luogo: nel Canavese nessun incarico presso i Centri è retribuito, mentre nel Sud, nei casi dei due maggiori Centri di Matera e Terracina non esiste un Presidente eletto bensì un Direttore e addetti culturali regolarmente stipendiati dal Movimento.[30]
Il Centro Culturale di Matera viene creato da Giovan Battista Martoglio, dipendente Olivetti, mandato da Adriano inizialmente per coordinare una commissione di studi su Matera, dove accanto a nomi già noti, come Ludovico Quaroni e Friedrich Friedman, ci sono anche giovani entusiasti meridionali come i fratelli Albino e Leonardo Sacco, da cui nascerànno i piani per la creazione del villaggio La Martella.[31] Martoglio porta al Centro Culturale vari intellettuali, che avevano partecipato all’inchiesta. Il Centro dispone di una biblioteca a vista, dove la gente può prendere i libri; si svolgono dibattiti e attività culturali, anche in seno alla comunità contadina e corsi di alimentazione infantile e di educazione sanitaria.[32] L’incarico di Direttore verrà in seguito affidato a Leonardo Sacco.[33]
L’I-Rur: Istituto per il Rinnovamento Urbano e Rurale del Canavese
Adriano Olivetti, nell’ambito del piano del Movimento Comunità per realizzare una “comunità concreta”, oltre alla creazione dei Centri Comunitari, che assumono specificatamente attività culturali, sociali e politiche, crea nel 1954 l’I-Rur[34] per lo sviluppo economico del Canavese. Lo scopo è quello di promuovere nei paesi del territorio nuove attività industriali e agricole, con l’obiettivo, da una parte, di combattere la disoccupazione nell’area canavesana e, dall’altra, di scongiurare l’inurbamento di quelle popolazioni a Ivrea. In quegli anni, il Canavese, infatti, nonostante la presenza in continua espansione della Olivetti, vive un momento di pesante crisi del settore tessile con la chiusura di parecchi stabilimenti.[35]
Il nome dell’Istituto, come ricorda l’architetto Eduardo Vittoria, fa riferimento al termine anglosassone: “Town and country planning” per legarsi alla cultura urbanistica della trasformazione, non soltanto della città, ma dell’ambiente in senso più ampio.[36]
Scrive Giuseppe Berta: “Con la costruzione dell’I-Rur del Canavese Olivetti aveva sperato di fornire un’esemplificazione pratica di ciò che intendeva per pianificazione decentrata basata sull’integrazione di industria e agricoltura, e di offrire una soluzione organizzata che fosse trasferibile anche in realtà sociali assai difformi dalla situazione canavesana”.[37] L’Istituto aveva anche lo scopo, come scrive Emilio Renzi, che: “la Grande fabbrica per quanto centrale non risucchi ogni altra energia innovatrice; non depauperi il mondo circostante; non laceri il tessuto storico”.[38]
In un testo sulle Architetture Olivettiane, tra cui quelle I-Rur, così si legge: “In campo economico, molteplici problemi hanno suggerito di dar vita ad un organismo tecnico, sufficientemente autonomo, che fosse in grado di esercitare un’azione di incitamento e di consulenza in favore di piccoli proprietari agricoli, degli artigiani e piccoli imprenditori, e che avesse i mezzi necessari per realizzare nuove attività industriali nelle zone dove maggiore era la disoccupazione. È nato così l’I-Rur Canavese”.[39]
L’I-Rur ha, infatti, per statuto, il compito di delineare programmi per il miglioramento delle condizioni sociali, di creare imprese artigianali, industriali o agricole e di mettere a disposizione delle amministrazioni comunali la sua organizzazione e le sue competenze, anche attraverso una consulenza tecnica, sociale ed economica. L’Istituto non ha scopi di lucro.[40] La stessa fonte aggiunge: “L’ing. Adriano Olivetti ne ha assunto la presidenza, mentre l’industria che a lui fa capo contribuisce allo sviluppo dell’Istituto, appoggiandolo finanziariamente e delegando i suoi tecnici a sostenere, in seno ad esso, incarichi direttivi”.
Giuseppe Berta, da economista chiarisce meglio l’aspetto finanziario scrivendo che l’I-Rur è stato ideato “come una società di credito, dotata di una struttura di assistenza e di consulenza tecnica”.[41] Ugo Aluffi, voce autorevole perché responsabile del Servizio Agricolo dell’Istituto, precisa in particolare per le cooperative agricole: “I fondi erano costituiti dai contributi dei soci e dalle sovvenzioni, a titolo di prestito, versate dalla società Olivetti che figurava, fin dall’inizio, come socio aderente”.[42]
Per poter operare nei vari campi l’Istituto viene strutturato in tre settori autonomi: edile, industriale e agricolo.
Il settore edile, dopo che per anni si è limitato a consulenze da parte di professionisti legati al Movimento di Comunità o alla Olivetti, nel 1958 dà vita alla “Cooperativa Muratori Canavesani”, che partendo dall’iniziale manutenzione dei fabbricati Olivetti poi estende la sua attività a importanti lavori edili, come condominii e ampliamenti civili e industriali. Tuttavia, già dopo nemmeno sei anni, nel 1964, viene messa in liquidazione coatta. Ugo Aluffi sostiene che ciò fu dovuto al disinteresse nella gestione da parte dei soci “che si comportarono più come dipendenti che come cointeressati”.[43]
Il settore agricolo ha una storia ed esiti ben diversi. Qui hanno svolto un ruolo di preparazione i Centri Comunitari con conferenze e corsi di formazione soprattutto ai contadini sulla storia della cooperazione e i problemi della vita cooperativa. Lavoro che, ancora prima della nascita formale dell’I-Rur, dà vita alla Cantina Sociale di Piverone, oggi conosciuta come Cantina della Serra, per la produzione di vini locali, situata sul versante sud della collina morenica della Serra e fondata nel 1953 da un centinaio di Soci di Piverone e paesi limitrofi. Così è scritto nella storia della Cantina: “Adriano Olivetti era consapevole dell’importanza dell’agricoltura come risorsa del territorio e ancor di più come strumento per la conservazione del paesaggio e per questo non doveva in nessun modo spopolarsi. Occorreva un piano per mantenerla efficiente e remunerativa. Ed ecco che in questo progetto prese vita la Cantina della Serra”.[44] La Cantina è tuttora operante e con ambizioni di ulteriore miglioramento.
L’I-Rur riesce a sostenere la nascita di varie iniziative, alcune delle quali, oltre a quella di Piverone, ancor oggi in attività.
Il Consorzio Produttori del vino di Carema né è un esempio. Qui si manifesta tutta la validità della preparazione del lento lavoro culturale svolto nel piccolo Centro Comunitario, che aveva portato alla creazione di una Università Popolare dove Vico Avalle, comunitario convinto, attivo anche in altri centri comunitari, “insegnava a contadini - che a volte non avevano conseguito neppure la licenza elementare - nozioni di chimica e di enologia di livello universitario”.[45] Le elezioni del 1956 sono vinte a Carema dal Movimento Comunità, che esprime un proprio Sindaco. Nel programma elettorale primeggia il rilancio del “Nebbiolo di Carema”, i cui vitigni erano stati falcidiati dalla filossera negli anni Venti. Avalle, su questo progetto, trova l’entusiastico supporto economico di Adriano Olivetti oltre a quello tecnico, altrettanto determinante, di Ugo Aluffi. Il supporto del’I-Rur, utilizzando i pubblicitari Olivetti, si estende anche all’immagine, così Egidio Bonfante disegna il marchio (un grappolo stilizzato racchiuso in un C) e a Walter Balmer la prima etichetta. [46]
Il Consorzio Volontario Irriguo “Adriano Olivetti” di Cossano è un’altra realizzazione significativa e di grande impatto. Questa è una storia che va raccontata. Cossano si trova in collina e non ha nessuna possibilità di irrigazione, gravissimo handicap per un’economia basata sull’agricoltura. I tecnici I-Rur, dopo una indagine presso tutti i proprietari terrieri, ottenuteni i pareri favorevoli da quasi tutti, danno l’incarico a due ditte di proporre i relativi progetti. Il piano era di pompare l’acqua dal Lago di Viverone e portarla a 180 metri più in alto. Si trattava, come è stato poi dimostrato, di prelevare pochi millimetri d’acqua dal lago. Nel novembre 1956 viene stipulato l’atto costitutivo del Consorzio. A questo punto si scatenano le opposizioni feroci, pilotate dai partiti politici, appoggiati da sindacati e anche religiosi, tutti avversi al Movimento di Comunità.[47] Dice Aluffi: “opposizioni di una capziosità addirittura grottesca”.[48]
Il progetto è seguito dallo stesso Adriano Olivetti, che non manca di visitare Cossano e cercare varianti che superino le opposizioni. I lavori, alla fine, iniziano come da progetto.
Nel 1960 sopraggiunge la morte improvvisa di Adriano. Il costo complessivo dell’impianto ultimato è di 220 milioni di lire di cui poco più della metà pagati. Rimangono ancora in sospeso un centinaio di milioni. L’I-Rur, in fase di ridimensionamento ne blocca il finanziamento, suggerendo di stipulare un mutuo fondiario. Il presidente del Consorzio, Leonardo Avetta, tenta varie strade senza risultato, ma prima di arrendersi decide di esporre la situazione alla sorella di Adriano, Silvia, la quale ascolta con attenzione la situazione finanziaria del Consorzio, esamina i dati tecnici e le piantine e dice: “Ho capito! Tranquillizzi gli abitanti di Cossano, ci penserò io alla pari della buon’anima di mio fratello Adriano”.[49]
Finalmente, scrive Avetta: “Nel 1962 potemmo per la prima volta esperimentare l’irrigazione a pioggia”.
Oggi, il Consorzio Irriguo di Cossano rappresenta ben di più del sistema iniziale di irrigazione, si è passati, infatti, a sistemi sofisticati di polverizzazione localizzata e alla computerizzazione.
Il Consorzio ha cambiato completamente la vita del paese, da un’economia basata sulla coltivazione dei vigneti e sull’allevamento di un po’ di bestiame si è passati a colture pregiate di frutta, tra cui primeggiano per importanza le pesche e i kiwi, portando alla creazione della Cooperativa Cossano Frutta. Leonardo Avetta, da allora, tutti gli anni, fin che le forze lo hanno sostenuto, nel giorno del ricordo che le Spille d’Oro ogni anno tributano ad Adriano attorno al semplice tumulo nel cimitero di Ivrea, non ha mancato di esprimere la propria riconoscenza a lui e alla sua opera con la presenza e l’omaggio floreale a nome del Consorzio Irriguo Adriano Olivetti.
Stazione di pompaggio al lago di Viverone
I Vivai Canavesani di Colleretto Parella sono un altro esempio riuscito degli interventi I-Rur, essendo tuttora operanti sotto il nome di Hortilus-Vivai Canavesani.
Questa volta l’intervento dell’I-Rur è diretto, senza costituzione di una cooperativa.[50]
Inizialmente erano nati per soddisfare le crescenti necessità di alberi, cespugli e piante ornamentali per la Olivetti, per poi porsi sul mercato acquisendo lavori di esecuzione e manutenzione di giardini privati e pubblici, anche fuori dal Canavese, e, proseguendo, vendendo i prodotti dei loro vivai.
La Cooperativa Agricola di Montalenghe è la realizzazione più aderente all’idea comunitaria di Adriano. Un progetto audace di conduzione collettiva di piccola proprietà. Proprio per questa caratteristica di prossimità alla collettivizzazione, la Cooperativa attira l’ostilità della Democrazia Cristiana e di molti parroci.[51] Non è tuttavia solo una questione ideologica, ma anche di potere, perché “la DC attraverso la Coltivatori Diretti e il controllo dei Consorzi Agrari esercitava un controllo quasi assoluto sul mondo contadino”. Quindi qualsiasi “iniziativa che minacciasse di scalfire il monopolio era da ostacolare in tutti modi”..[52]
L’ambiente contadino del luogo è tuttavia del tutto particolare, alcuni di loro hanno girato il mondo, formandosi nuove idee, e hanno “un ricordo romantico delle comunità anarchiche” di inizio secolo. In paese sono ascoltati come vecchi saggi. Ed è proprio parlando con loro, che ci racconta Aluffi, incomincia a formarsi l’idea della messa in comune dei terreni frammentati per realizzare una cooperativa a gestione collettiva. Così, nel dicembre 1956,[53] 79 piccolissimi proprietari accettano di mettere insieme, per la conduzione comune, i loro terreni (1500 appezzamenti), per una superficie totale di circa 120 ettari. Insieme sottoscrivono il capitale sociale e il prestito necessario per la costruzione della stalla sociale e dei magazzini.[54]
L’incarico per il progetto della stalla viene conferito direttamente da Adriano a Giorgio Raineri, confermando così la sua volontà di controllo della qualità progettuale anche sugli edifici dei programmi Comunitari. Il risultato è stato un edificio ben inserito nel paesaggio, di notevole valore architettonico, che ha meritato di essere inserito nella accurata pubblicazione sulle Architetture Olivettiane di Ivrea. [55]
La mitica Cooperativa, definito “il più interessante esperimento cooperativistico che mai sia stato realizzato in Italia”,[56] a causa dell’invecchiamento dei soci non compensato dal ricambio dei giovani, nel 1969 chiude dignitosamente restituendo i terreni ai legittimi proprietari.[57]
La Cooperativa Avicola Canavesana, realizzazione del settore agricolo dell’I-Rur (praticamente mai citata, anche perché finita con la liquidazione stessa dell’Istituto iniziata nel 1965)[58], nasce nel 1955 dall’esigenza di un gruppo di pollicultori di trovare smercio ai loro polli, sottraendosi alle condizioni dei commercianti di pollame. Viene così creato nell’ex Centro Agrario della Olivetti, che durante la guerra aveva rifornito la mensa aziendale dove andavano anche i familiari, un laboratorio per la macellazione dei polli e anche un negozio per la vendita diretta, oltre al rifornimento pianificato ad alberghi e ristoranti che nel frattempo era stato avviato. Qui tuttavia è venuto a mancare quello spirito cooperativistico delle altre iniziative, perché gli allevatori molto sovente, anziché conferire i loro polli, li vendono ai migliori offerenti, determinando così la crisi della Cooperativa.[59]
Il settore industriale, partito nel 1955 con notevole slancio e con il motto “una fabbrica in ogni valle”[60], ha lasciato operativa ad oggi una sola realtà: la ICAS (Industria Canavesana Attrezzature Speciali) di Ivrea, di cui nelle varie pubblicazioni poco si parla, normalmente ci si limita a segnalarla. Fondata nel 1956, oggi è una realtà importante, operante su molti mercati internazionali.[61]
Qui l’intervento dell’I-Rur è stato in compartecipazione con una impresa privata alla ricerca di finanziamenti per creare una nuova azienda che producesse in maniera totalmente automatica, grazie a una macchina di propria invenzione, le gabbiette metalliche per la chiusura di bottiglie per vini e spumanti.[62] Oggi la ICAS ha il 75% del mercato mondiale delle gabbiette metalliche.[63]
Nel 2018, la ICAS vince insieme ad altre sei Aziende del Canavese il premio indetto dall’Associazione Spille d’Oro Olivetti, il premio Camillo e Adriano Olivetti all’impresa innovativa e responsabile, dedicato a quelle imprese in cui siano rimasti presenti quei valori imprenditoriali e umani che hanno caratterizzato la Olivetti di Camillo e Adriano.[64]
Un’altra realtà industriale a partecipazione mista è la Motori Baltea di Borgofranco, creata anch’essa nel 1956 per la produzione di motori Diesel per uso agricolo e industriale; non ha fatto in tempo a decollare, venduta nel 1962 a un gruppo privato, chiude definitivamente due anni dopo.[65]
Tutte le altre iniziative industriali vengono create a conduzione diretta da parte dell’I-Rur.
La Olivia Revel, a Colleretto Parella, per la confezioni di abiti per bambine, fondata nel 1955, vede per alcuni anni l’impegno diretto di Grazia Galletti, moglie di Adriano.[66] Proprio l’interesse della signora Olivetti è la ragione dell’apertura di quest’attività così distante dalla meccanica. La fabbrica arriva a occupare 150 dipendenti con commercializzazione sull’intero mercato nazionale. Nel 1966 viene, però, ceduta a terzi, cambia più volte di proprietà e viene definitivamente chiusa nel 1973.[67]
Il Laboratorio di Vidracco in Valchiusella, fondato nel 1955 per produrre le valigette per le macchine per scrivere portatili Olivetti e in un secondo tempo mobili destinati ad alloggiare apparecchi radio, giradischi e televisori, risulta essere stata la maggiore tra le attività dell’I-Rur. Nel 1964 impiega 210 persone contro le 150 del 1962. Tenendo conto delle buone opportunità di sviluppo, lo stabilimento viene più volte ampliato su progetto dell’Architetto Eduardo Vittoria.[68] Messa in liquidazione l’I-Rur nel 1965, subentra la gestione diretta della Olivetti.[69] Nel 1988, al culmine di un lungo periodo di declino, tutte le attività produttive vengono definitivamente trasferite altrove e i locali vengono trasformati in un magazzino di prodotti obsoleti [ricordo personale] e infine abbandonati; amaro il commento del Comune di Vidracco: “In totale assenza della pur minima manutenzione e nel totale disinteresse di una proprietà miseramente priva dei valori etici di Adriano Olivetti e incapace di comprendere il valore della storia”.[70]
La Manifattura Valle dell’Orco, fondata nel 1956, anch’essa secondo un criterio di decentramento produttivo, nasce per i rulli in gomma delle macchine per scrivere Olivetti, per poi parzialmente orientarsi ad altre produzioni in plastica. Alla liquidazione dell’I-Rur viene assorbita nel Gruppo Olivetti dove risulta nel Bilancio consolidato del 1986 posseduta al 100%,[71] ma nel 1988 la partecipazione Olivetti risulta già solo al 36,99%.[72] Nel 1991, acquistata completamente da un privato, continua la produzione per alcuni anni.[73]
La Distilleria Amaro Bairo, produttrice dell’omonimo amaro risalente a un’antica ricetta, nel 1958 è in piena decadenza è viene rilevata direttamente e totalmente dall’I-Rur. Vengono rinnovati gli impianti e, in collaborazione con il Sevizio Agricolo dell’Istituto, commercializza anche il vino della Cantina Produttori di Carema. Con la messa in liquidazione dell’I-Rur, la distilleria viene ceduta a privati nel 1966 e nel 1970 è acquistata da una nota marca del settore, la Button.
Conclusione
Sembra del tutto evidente che la storia dei Centri Comunitari e dell’I-Rur e il suo esito sia legata alla vicenda imprenditoriale politica e umana di Adriano Olivetti e alla successiva evoluzione dell’Azienda.
A seguito della sconfitta elettorale del 1958, Mario Caglieris, Amministratore del Movimento Comunità, riceve da Adriano la disposizione della “smobilitazione” del suo ufficio e della “liquidazione di tutte le pendenze in corso”.[74]
Il 1958 diventa per i Centri Comunitari un punto di svolta, anche se alcuni di essi sopravvivono per alcuni anni, grazie al forte impegno e motivazione dei comunitari, in particolare Carema fino al 1970 e Palazzo, tuttora operativo come Centro gestito dal Comune. Le attività culturali, formative, sociali e assistenziali hanno fatto crescere una consapevolezza nuova che ha permesso di costruire localmente una società più moderna e innovativa.
Nel 1960, dopo la morte di Adriano, con l’avvento di una dirigenza in gran parte contraria all’attenzione al territorio, i prestiti dell’I-Rur vengono bloccati, anche quelli già deliberati, come ci insegna la vicenda del Consorzio Irriguo di Cossano, attraverso la straordinaria testimonianza del suo Presidente, Leonardo Avetta.[75]
Nel 1964 si ha l’ingresso del Gruppo di Intervento, con la nomina del Presidente Bruno Visentini e dell’Amministratore Delegato, Aurelio Pecei della Fiat. La Ing. C. Olivetti esige i crediti che vanta nei riguardi dell’I-Rur, cosa che porta, a partire dal 30 settembre 1965, alla sua messa in liquidazione.[76]
Le successive politiche aziendali porteranno le aziende di I-Rur entrate nel capitale Olivetti al 100%, ovvero Vidracco e Manifattura Valle Orco, a seguire le sorti aziendali.
Tuttavia, nonostante qualche autore abbia scritto a proposito della sopravvivenza di queste attività: “Nessuna di esse sopravvivrà per molto alla scomparsa di Adriano”,[77] il lascito sul territorio è ancora importante: quattro attività agricole su sei sono tutt’ora operanti (Cantina della Serra, Cantina dei Produttori di Carema, Consorzio Idrico Volontario di Cossano, Hortilus Vivai Canavesani) e un’attività industriale è tuttora presente, la ICAS, che ha raggiunto livelli di eccellenza a livello internazionale. Realtà economiche che testimoniano ancora una delle più felici intuizioni di Adriano Olivetti.
Bibliografia
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Emeroteca
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G. Silmo, La Comunità di Palazzo Canavese ricorda e celebra Adriano Olivetti, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», n. 3 – settembre 2016.
G. Silmo, L’I-RUR di Adriano Olivetti vive ancora e guarda al futuro, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», n.4 – dicembre 2016.
Sitografia
Cantina della Serra
https://www.cantinadellaserra.com/
ICAS
https://verastoriadellagabbietta.wordpress.com/tag/irur/
Comune di Vidracco
[1] E. Renzi, Comunità Concreta, le opere e il pensiero di Adriano Olivetti, Casoria - Napoli 2018, p.87.
[2] A. Olivetti, L’ordine politico delle Comunità, Roma/Ivrea 2014, p.13.
[3] Ibidem, p.36.
[4] A. Olivetti, Il cammino della Comunità, op. cit., p. 33.
[5] A. Olivetti, Il cammino della Comunità, Roma/Ivrea 2013, p. 39.
[6] P. Ferlito, Palazzo Canavese 10 giugno 2016 “Dai Centri comunitari all’IRUR”, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», n. 3 – settembre 2016.
[7] A. Olivetti, Il mondo che nasce, Roma/Ivrea 2013, p. 66.
[8] P. Ferlito, L’Uomo che parlava alle stelle, Inedito, p. 26.
[9] P. Ferlito, Palazzo Canavese 10 giugno 2016 “Dai Centri comunitari all’IRUR”, op. cit.
[10] G. Silmo, Adriano Bellotto ci guida alla scoperta di un film inedito sull’Olivetti, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», n. 4 – settembre 2007.
[11] P. Ferlito, L’Uomo che parlava alle stelle, op. cit., p. 26.
[12] J. Grewal, Comunità di territorio. Il ruolo dei Centri Comunitari olivettiani nel periodo post-bellico italiano, Tesi di Master of Science in Economics and management in arts, culture, media and entertainment (Università commerciale Luigi Bocconi, A.A. 2016/2017, p.31. Tesi fornitami gentilmente dall’amico Pino Ferlito.
[13] I numeri degli abitanti dovrebbero riferirsi all’epoca della nascita dei Centri Comunitari.
[14] J. Grewal, Comunità di territorio. Il ruolo dei Centri Comunitari olivettiani nel periodo post-bellico italiano, op. cit. p. 53.
[15] Ibidem, pp. 27, 54.
[16] P. Ferlito, L’Uomo che parlava alle stelle, Inedito, p.14.
[17] A. Olivetti, Lettera a Mario Caglieris del 10 giugno 1958, presso l’autore.
[18] M. Caglieris, Lettere a Roberto Olivetti del 14 e 22 luglio 1960, presso l’autore.
[19] A. Olivetti, Saggi Comunitari. Il Cammino della Comunità, in Città dell’uomo, Torino 2001, p. 37.
[20] G. Silmo, Adriano e il territorio: il Centro Comunitario di Palazzo. L’ultimo rimasto in Canavese, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», n.3 – settembre 2015, p. 1.
[21]A. Olivetti, Saggi Comunitari. Il Cammino della Comunità, in Città dell’uomo, op. cit., p. 37.
[22] G. Silmo, Adriano e il territorio: il Centro Comunitario di Palazzo. L’ultimo rimasto in Canavese, op. cit., p. 1; G. Silmo, Genesio Berghino e il Centro Comunitario di Palazzo, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», n. 3 – Giugno 2009, p. 2
[23] A. Olivetti, Saggi Comunitari. Il Cammino della Comunità, in Città dell’uomo, Torino 2001, p.32.
[24] Ibidem, p. 38.
[25] G. Silmo, Adriano e il territorio: il Centro Comunitario di Palazzo. L’ultimo rimasto in Canavese, op.cit., p.2.
[26] Leonardo Sacco è mancato nel giugno 2018. Redazione On line, Addio a Leonardo Sacco giornalista e scrittore con Matera nel cuore, «La Gazzetta del mezzogiorno.it» 22 Giugno 2018.
[27] F. Bilò, E. Vadini, Matera e Adriano Olivetti, Roma/Ivrea 2016, p. 56.
[28] E. Renzi, Comunità Concreta, le opere e il pensiero di Adriano Olivetti, op. cit., p.102.
[29] J. Grewal, Comunità di territorio. Il ruolo dei Centri Comunitari olivettiani nel periodo post-bellico italiano, op. cit. pp.47, 49.
[30] Ibidem, p. 56.
[31] V. Occhetto, Adriano Olivetti, Roma/Ivrea 2013, p. 190.
[32]. J. Grewal, Comunità di territorio. Il ruolo dei Centri Comunitari olivettiani nel periodo post-bellico italiano, op. cit., p. 51.
[33] Ibidem, p. 50.
[34] Lo statuto dell’associazione è del 21 dicembre 1954. D. Boltri, G. Maggia, E. Papa, P. P. Vidari, Architetture olivettiane a Ivrea, Tivoli – Roma 1998, p. 142.
[35] G. Silmo, L’I-RUR di Adriano Olivetti vive ancora e guarda al futuro, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», n.4 – dicembre 2016, p. 3.
[36] J. Grewal, Comunità di territorio. Il ruolo dei Centri Comunitari olivettiani nel periodo post-bellico italiano, op. cit.
, p. 12.
[37] G. Berta, Le idee al Potere, Roma/Ivrea 2015, p. 227.
[38] E. Renzi, Comunità Concreta, le opere e il pensiero di Adriano Olivetti, op. cit., p. 120.
[39] D. Boltri, G. Maggia, E. Papa, P. P. Vidari, Architetture olivettiane a Ivrea, op. cit., p. 142.
[40] Ibidem, p.144.
[41] G. Berta, Le idee al Potere, op.cit., p. 231.
[42] V. Avalle, U. Aluffi, P. Ferlito, Il nostro Adriano, Ivrea 1995. p. 151.
[43] Ibidem, p.152.
[45] P. Ferlito, L’Uomo che parlava alle stelle, Inedito, p. 26.
[46] Ibidem; V. Avalle, U. Aluffi, P. Ferlito, Il nostro Adriano, op. cit., p.165.
[47] L. Avetta, Consorzio Volontario Irriguo “Adriano Olivetti” di Cossano e paesi limitrofi, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», n. 4 – dicembre 2016, p. 3.
[48] V. Avalle, U. Aluffi, P. Ferlito, Il nostro Adriano, op. cit., p. 180.
[49] L. Avetta, Consorzio Volontario Irriguo “Adriano Olivetti” di Cossano e paesi limitrofi, op. cit., pp. 3-4.
[50] D. Boltri, G. Maggia, E. Papa, P. P. Vidari, Architetture olivettiane a Ivrea, op. cit., p. 142.
[51] V. Avalle, U. Aluffi, P. Ferlito, Il nostro Adriano, op. cit., pp. 174-175
[52] Ibidem, p. 175.
[53] G. Berta, Le idee al Potere, op.cit., p. 234.
[54] V. Avalle, U. Aluffi, P. Ferlito, Il nostro Adriano, op. cit., pp. 176-177.
[55] D. Boltri, G. Maggia, E. Papa, P. P. Vidari, Architetture olivettiane a Ivrea, op. cit., p. 159.
[56] Ibidem
[57] V. Avalle, U. Aluffi, P. Ferlito, Il nostro Adriano, op. cit., p. 178.
[58] Ibidem, p. 183.
[59] Ibidem, p. 161-162.
[60] B. Segre, Adriano Olivetti, Un umanesimo dei tempi moderni. Impegni, proposte per un mondo più umano, più civile, più giusto, Reggio Emilia 2015, p. 149.
[61] Associazione Spille d’Oro Olivetti, Il Quaderno del Premio Camillo a Adriano Olivetti all’impresa innovativa e responsabile, Ivrea 2019, p. 38
[62] D. Boltri, G. Maggia, E. Papa, P. P. Vidari, Architetture olivettiane a Ivrea, op. cit., pp. 142,145. https://verastoriadellagabbietta.wordpress.com/tag/irur/
[63] [63] Associazione Spille d’Oro Olivetti, Il Quaderno del Premio Camillo a Adriano Olivetti, op. cit., p.38.
[64] Associazione Spille d’Oro Olivetti, Il Quaderno del Premio Camillo a Adriano Olivetti, op. cit., p.35; P. Ferlito, Il Premio Camillo e Adriano Olivetti al Bioparco quando Genio e Umanità fanno l’Impresa, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», n. 4 – dicembre 2018, pp. 1-2.
[65] V. Avalle, U. Aluffi, P. Ferlito, Il nostro Adriano, op. cit., p.155.
[66] B. de’ Liguori Carino, Addio Grazia Galletti vedova di Adriano, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», n. 1 – febbraio 2015.
[67] V. Avalle, U. Aluffi, P. Ferlito, Il nostro Adriano, op. cit., p. 155.
[68] D. Boltri, G. Maggia, E. Papa, P. P. Vidari, Architetture olivettiane a Ivrea, op. cit., p. 146.
[69] V. Avalle, U. Aluffi, P. Ferlito, Il nostro Adriano, op. cit.,154.
[70] Comune di Vidracco https://www.comune.vidracco.to.it/it-it/download/irur-di-vidracco-133-64-1193-fcc46071b6a0cc1af22aa968ccab3af4
[71] Gruppo Olivetti, Bilancio Consolidato 1986, Ivrea 1987, p. 97.
[72] Olivetti Group, 1988 Consolidated Financial Statements, Ivrea 1989, p. 104.
[73] Informazione gentilmente concessa dal Comune di Sparone.
[74] A. Olivetti, Lettera a Mario Caglieris del 10 giugno 1958, presso l’autore.
[75] L. Avetta, Consorzio Volontario Irriguo “Adriano Olivetti” di Cossano e paesi limitrofi, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», n. 4 – dicembre 2016.
[76] V. Avalle, U. Aluffi, P. Ferlito, Il nostro Adriano, op. cit., 183.
[77] E. Renzi, Comunità Concreta, le opere e il pensiero di Adriano Olivetti, op. cit., p. 120.