Jean-Etienne Liotard (Ginevra, CH, 1702 – 1789) – The Chocolate Girl
Al bicerin
di Cesare Verlucca & Giorgio Cortese
Cari amici,
e se prima di contarcela soave andassimo a gustarci un bicerin?
Per uno che abita Torino, la cosa potrebbe anche essere normale, ma per uno che venga da fuori è più facile che per lui sia una succulenta scoperta e una fascinosa gustazione. Ne ha parlato persino Umberto Eco, nel romanzo Il Cimitero di Praga, di cui vi consigliamo la lettura.
“…Mi ero spinto sino a uno dei luoghi leggendari della Torino d’allora. Vestito da gesuita, e godendo con malizia dello stupore che suscitavo, mi recavo al Caffè Al Bicerin, vicino alla Consolata, a prendere quel bicchiere, odoroso di latte, cacao, caffè e altri aromi. Non sapevo ancora che del bicerin avrebbe scritto persino Alexandre Dumas, uno dei miei eroi, qualche anno dopo, ma nel corso di due o tre scorribande in quel luogo magico avevo appreso tutto su quel nettare… ”
Che Torino sia la capitale italiana del cioccolato è un fatto, possiamo dirlo, assodato. Girando per le vie della città tra caffè storici e nuove cioccolaterie, il capoluogo piemontese è un trionfo di cioccolatini, dai mitici gianduiotti ai deliziosi cremini; dalle cioccolate calde, ai dolci ricoperti o ripieni di quello che Linneo definì “il cibo degli dèi”.
L’amore ricambiato tra Torino e il cioccolato risale a diversi secoli fa. Nel 1560, Emanuele Filiberto di Savoia servì ai cittadini torinesi una tazza fumante di cioccolata calda per festeggiare il trasferimento della capitale ducale da Chambéry a Torino. Fu amore a prima vista, anzi a primo sorso. Alla Corte erano ghiotti di questa novità e già dal 1600 iniziò il rito della Merenda Reale, per spezzare la fame tra il pranzo e la cena, ma anche durante la serata, che diventò ben presto una consuetudine. Praticamente Torino era più avanti del “te alle cinque” dell’Inghilterra vittoriana con la Merenda presumibilmente inventata intorno al 1840 da Anna Russel, Duchessa di Bedford, amica e dama di corte della Regina Vittoria.
E qui, la nostra passione per la lingua italiana ci ha portato a esaminare come si scriva nel nostro amato linguaggio, il nome della diffusissima bevanda, vedendolo riportato nelle seguenti variazioni: te, tè, thè, tea. Pur consultando dizionari e appellandoci all’Accademia della Crusca per fare chiarezza, non siamo riusciti ad accertare ls grafia corretta di questo brevissimo lemma. L’unica cosa che possiamo dirvi, e che voi sicuramente già sapete, è che la diffusa bevanda produce benefici ed è ottenuta dalle foglie di Camellia sinensis (della famiglia delle Theaceae); che è originaria della Cina, seppur ormai amata in tutto il mondo, e tutti sappiamo come si pronuncia anche se abbiamo dei dubbi su come la si scriva. Secondo alcuni, citando la fonte Treccani, la grafia in italiano thè deriva dal francese, a sua volta mutuato da un dialetto cinese di Amoy o forse attraverso il malese.
Ma torniamo alla Corte sabauda del ‘700; dove per calmare l’appetito dei nobili nel tempo che trascorreva sia tra il pranzo e la cena che nel dopo cena, la merenda reale poteva essere servita tra le 14.00 e le 22.00. Protagonista assoluto di questo goloso momento è ovviamente il cioccolato (a Torino, d’altronde, non poteva essere altrimenti…), servito insieme ad altre deliziose bontà della tradizione piemontese.
Così, la citata Duchessa di Betfors, amica della Regina, prese l'abitudine di farsi servire come spuntino del thè (noi abbiamo scelto questa versione del lemma) accompagnato da pane, burro e dolci. La Merenda Reale del ‘700 era composta da una cioccolata calda fatta con acqua e cioccolato fondente in cui si intingevano dei biscotti secchi tradizionali, detti “Bagnati”, e che si gustava con altri cioccolatini, tra cui i diablottini che furono i primi ad apparire a Corte.
Si racconta che questi deliziosi cioccolatini, preparati con cioccolato fondente, zucchero e vaniglia, fossero diventati famosi in tutte le altre Corti d’Europa. I nobili europei ne apprezzavano la bontà e la praticità, per il fatto di poter essere gustati non solo durante la merenda, ma a qualsiasi ora e in qualsiasi posto. La leggenda narra anche che Giuseppe Pietri, compositore italiano e autore di “Addio Giovinezza”, ambientata proprio a Torino, abbia concepito il duetto del cioccolato “Cioccolatini cioccolatin” proprio ispirandosi ai diablottini. Da allora, essi non hanno mai lasciato la città e ancora oggi sono il simbolo delle migliori cioccolaterie di Torino, insieme ad altri prodotti di eccellenza.
La Merenda Reale dell’Ottocento fu rivoluzionata dall’entrata in scena di una bevanda che poi con il tempo è diventata uno dei simboli di Torino. Stiamo parlando del Bicerin, accompagnato in questa Merenda Reale dai tradizionali “Bagnati” e da altri cioccolatini come i mitici cri-cri, i gianduiotti e i nocciolini di Chivasso. Nel periodo estivo, la Merenda Reale sabauda prevedeva invece il bisquit freddo, sempre accompagnato da raffinate specialità rigorosamente da intingere: torcetti, lingue di gatto e canestrelli.
L'antenato del Bicerin è la Bavareisa, bevanda settecentesca allora di gran moda che veniva servita in grossi bicchieri ed aveva come ingredienti caffè, cioccolato e crema di latte dolcificata con sciroppo. Anticamente gli ingredienti venivano serviti separati poiché davano vita a tre diverse eventuali combinazioni, chiamate in lingua piemontese:
• “pur e fior”, simile all'attuale cappuccino;
• “pur e barba”, caffè e cioccolato;
• “en pòch ad tut”, un po' di tutto.
L'ultima scelta fu quella che ebbe maggior successo e che tuttora viene servita nei locali di Torino.
Nel 1763, quando l’acquacedratario Giuseppe Dentis, che svolgeva l’antico mestiere di strada del tempo, apre la sua piccola bottega nell’edificio di fronte all’ingresso del Santuario della Consolata, non sa di avere aperto il primo caffè di concezione moderna in Europa. Nel 1843 un tale di nome Calosso, contradaiolo della Dora Grossa (l'attuale Via Garibaldi), ebbe l'idea di applicare un manico a ogni bicchiere di formato più piccolo, che venne poi utilizzato per la bevanda e da quì il termine "Bicerin".
E’ per lo meno ameno che Ernest Hemingway lo abbia inserito tra le cento cose del mondo che avrebbe salvato; e tra gli estimatori, oltre a lui, ci fossero Picasso, Alexander Dumas, il già citato Umberto Eco e sopra tutti il Conte Camillo Benso di Cavour.
A partire da oggi, nella lista degli estimatori, ci scriviamo altresì noi due, che nell’incipit del brano figuriamo come autori. Ma la lista è aperta a tutti coloro che amino semplicemente il bicerin.