Benozzo Gozzoli (Scandicci, 1420 - Pistoia, 1497) - Cappella dei Magi, particolare - Cosimo de' Medici
Le grandi famiglie: I Medici - 5 - Ascesa e splendore di Casa Medici
di Mauro Lanzi
5 - Cosimo, gioventù e ingresso in politica
Con Cosimo, succeduto all’età di 40 anni al padre, le vicende di casa Medici subiscono una svolta repentina, segnando l’ingresso in politica e, di fatto, al governo della città della famiglia, cosa che Giovanni di Bicci aveva sempre evitato e sconsigliato ai figli. Cosimo sarà portato o costretto a questo azzardo dagli eventi che narreremo in seguito, ma questa sua decisione, comunque, farà grande Firenze.
Prima di illustrare le circostanze che motivarono questo passo e le sue conseguenze, vale però la pena soffermarci brevemente sulla discendenza di Giovanni e, quindi, sull’albero genealogico della famiglia Medici. Giovanni di Bicci aveva avuto due figli maschi (sopravvissuti), dai quali discendono i due rami principali di casa Medici, che avranno ruoli e destini diversi.
Nello schema sono evidenziati i due rami in cui si divide la famiglia; da Cosimo, che sarà detto “il Vecchio”, discende il ramo “politico” della famiglia, che reggerà Firenze fino alla fine del secolo; a Cosimo faranno seguito Piero detto “il Gottoso”, Lorenzo (“il Magnifico”) e Giuliano, Piero detto “lo Sfortunato”, ed infine i due papi, Leone X e Clemente VII.
Ultimo germoglio di questo ramo sarà Caterina, regina di Francia.
L’altro ramo, che fa capo a Lorenzo, detto anche lui “il Vecchio”, vivrà appartato, senza interferire con le vicende politiche dei più illustri congiunti: anzi, quando questi saranno scacciati da Firenze, i rappresentanti di questo secondo ramo si schiereranno dalla parte della rinata repubblica, meritando così l’appellativo di “Popolani”: proprio dal ramo dei Popolani, per un singolare caso del destino, nascerà però la stirpe dei Granduchi di Toscana, attraverso il matrimonio di Giovanni “il Popolano” con Caterina Riario Sforza, ed il loro figlio Giovanni, detto “dalle Bande Nere”, padre del primo Granduca, Cosimo I.
A Cosimo “il Vecchio” si deve, come detto, il radicale cambiamento nell’atteggiamento della famiglia nei confronti della politica; abbandonato il prudente riserbo, sempre raccomandato dal padre, Cosimo sarà portato, o anche costretto, dalle drammatiche vicende che narreremo, a gettarsi in pieno nelle vicende politiche della città, assumendone il controllo che poi lascerà ai discendenti.
Cosimo era nato nel 1389 nel giorno dei Santi Cosma e Damiano e da questa coincidenza può derivare il suo nome; educato ad una raffinata cultura umanistica presso il monastero dei Camaldolesi, conosceva lingue antiche e moderne, latino, arabo, greco, francese, ed aveva maturato una robusta esperienza in campo finanziario e politico; aveva ricoperto incarichi importanti come ambasciatore a Milano, Venezia, Roma , aveva vissuto da vicino la drammatica vicenda a Basilea dell’antipapa Giovanni XXIII, era stato responsabile di filiale a Ginevra e Costanza, era quindi, alla morte del padre, al culmine della maturità avendo accumulato un’esperienza vasta e completa in tutti i campi. Aveva poi sposato, ancora giovane, la discendente di una grande famiglia fiorentina, Contessina dei Bardi. I Bardi erano stati una delle principali e più ricche famiglie fiorentine nella prima metà del trecento, gestivano una banca di primaria importanza a Firenze; uno dei loro antenati aveva sposato Beatrice Portinari, la “Beatrice” dantesca! La cappella Bardi in Santa Croce, affrescata da Giotto, testimonia della grandezza e della munificenza di questa famiglia.
Assieme ai Peruzzi, i Bardi si erano però lanciati in una serie di spregiudicate operazioni finanziarie in tutta Europa, lasciandosi coinvolgere nelle convulse vicende politiche in atto: la banca aveva finanziato non solo il re inglese Edoardo III nella Guerra dei Cento Anni con somme assai ingenti, ma anche i suoi avversari francesi, oltre al Re di Napoli: quando i contraenti non erano stati in grado, contemporaneamente, di far fronte ai propri impegni la banca era fallita (1345), per una cifra pari a un milione e mezzo di fiorini, più di quattro tonnellate d’oro (“ci si sarebbe acquistato un regno”, commenta il Villani), trascinando nel baratro le fortune di tante famiglie fiorentine.
I Bardi non si erano più riavuti da questo rovescio, al punto che, per aiutare i parenti acquisiti, Cosimo era arrivato ad acquistare da loro Palazzo Bardi, in cui abiterà per alcuni anni insieme alla famiglia: già due anni dopo la morte del padre, però, Cosimo, abbandonata la saggia modestia che aveva caratterizzato Giovanni, ritenne che l’importanza ed il rango ormai raggiunto dalle attività dei Medici esigessero una sistemazione diversa; diede quindi mano al progetto cui pensava da tempo, la costruzione di un nuovo palazzo che potesse ospitare adeguatamente tutta la famiglia.
Aveva acquistato un terreno in Via Larga, una posizione eccellente, vicina al centro ed alla chiesa di San Lorenzo, ed aveva consultato i maggiori architetti dell’epoca, tra cui, in primis, Brunelleschi, già legato ai Medici da precedenti commesse; il progetto del Brunelleschi gli era parso eccessivo e si era quindi rivolto, su suggerimento dell’amico Donatello, ad un architetto più giovane e meno conosciuto, il Michelozzo, che diventerà poi il suo architetto di fiducia. Malgrado questo scrupolo e malgrado la severa sobrietà del progetto del Michelozzo, che vedremo, proprio la costruzione di questo palazzo sarà l’origine delle sventure che si abbatterono su Cosimo e su casa Medici.
Già da tempo il partito dei nobili tentava di tutto per intralciare o distruggere le fortune di una famiglia che di fatto ostacolava le mire di restaurazione del potere nobiliare: ricordiamo lo scontro, sotto traccia, con Giovanni di Bicci. L’ascesa, dopo la morte di Giovanni, di Cosimo, assai più giovane, determinato ed energico, indusse il capo della fazione nobiliare, Rinaldo degli Albizi alla conclusione che non c’era più tempo da perdere.
Così nel 1432, dopo aver manovrato per far eleggere una Signoria aperta all’influenza del partito nobiliare, con a capo il Gonfaloniere di Giustizia Bernardo Guadagni, i cui debiti erano stati saldati dallo stesso Rinaldo (ricordiamo che a Firenze i cittadini indebitati non erano eleggibili), gli Albizi accusano Cosimo, davanti alla Signoria, di volersi esaltare sopra il ceto di comune cittadino (crimine capitale a Firenze!!) e portano proprio la costruzione del nuovo palazzo a riprova delle ambizioni di potere del Medici.
Cosimo, attirato a Palazzo della Signoria dalle rassicurazioni del Guadagni, viene immediatamente arrestato e rinchiuso in una cella, posta nella torre di Arnolfo, detta dai fiorentini “L’Alberghetto o L’ Alberghettino” (la cella esiste ancora, subito sotto la camera campanaria, ed è visitabile).
Qui Cosimo trascorre i momenti più drammatici di tutta la sua vita; gli Albizi cercano dapprima di farlo avvelenare, poi, fallito il tentativo per l’opposizione del capo delle carceri, che aveva preso a consumare i pasti con Cosimo, tentano di ottenere dalla Signoria una condanna a morte. Il timore di una violenta reazione popolare (i Medici godevano di grande considerazione tra i ceti più umili) induce la Signoria a desistere e a commutare la pena nell’esilio di tutta la famiglia, Cosimo a Padova, Lorenzo a Venezia, un loro cugino a Napoli
Cosimo scampa alla morte per un pelo, ma la stessa pena dell’esilio era una misura capace di distruggere le fortune di qualsiasi impresa!
Non fu così per i Medici e ciò prova la portata internazionale e la forza della struttura finanziaria creata da Giovanni. Si verificò anzi che le controparti estere della compagnia cominciarono ad esercitare discrete pressioni per un rientro dei Medici; inoltre il governo degli Albizi era divenuto via via sempre più impopolare, a causa anche di rovesci militari subiti, soprattutto la battaglia di Imola contro i Milanesi. Infine, una sollevazione popolare a Firenze convince la Signoria a cancellare il decreto di esilio, richiamando Cosimo che ritorna in trionfo, dopo meno di un anno di assenza.
L’Albizi aveva tentato in extremis un colpo di mano, appoggiato da un gruppo di armati, ed era per questo passibile della pena di morte, ma è Cosimo stesso, saggiamente, ad opporsi, chiedendo che la pena fosse commutata nell’esilio a vita: poi, poiché la moderazione non deve essere scambiata per debolezza, fa estendere questa misura anche a molte famiglie del partito nobiliare, le più vicine agli Albizi, come gli Strozzi, infliggendo un duro colpo al partito dei “Grandi”.
Cosimo al rientro dall’esilio aveva 45anni ed era fin d’allora riconosciuto da tutti come il cittadino più autorevole della Repubblica, ma questo non gli poteva più bastare: le drammatiche vicende trascorse lo avevano reso edotto circa la volubilità dei suoi concittadini, i giochi perversi delle fazioni, le gelosie capaci di distruggere qualsiasi posizione; soprattutto Cosimo aveva compreso che una posizione preminente sotto il profilo economico non poteva sopravvivere senza una adeguata copertura politica.
Per garantire a sé ed ai suoi discendenti la posizione di sicurezza e prestigio che riteneva spettasse loro, Cosimo deve trovare gli strumenti che gli consentano di controllare la politica, deve “scendere in campo” (anche lui!!), pur senza apparire in prima persona e, soprattutto, senza modificare gli Statuti cittadini, cui i fiorentini erano molto legati.
Cosimo individua tre strade, che ci spiegano come una famiglia, priva di una qualsiasi investitura ufficiale o di una struttura militare di supporto, sia riuscita a governare per oltre mezzo secolo una città così difficile e riottosa come Firenze, senza neppure ricoprire incarichi pubblici, e, soprattutto, senza far ricorso a violenza alcuna e senza spargimento di sangue,
La prima strada era legata ai peculiari meccanismi elettorali di Firenze, già illustrati in precedenza; Cosimo, per controllare la vita politica della città, utilizza strumenti di bassa lega, come la manipolazione delle liste degli eleggibili. Il metodo era già noto e impiegato da altri, ma i Medici lo utilizzeranno sistematicamente e senza ritegno, manovrando soprattutto figure di secondo piano, come gli accoppiatori, che erano teoricamente gli incaricati di “imborsare” i nomi degli “eleggibili”, ma che in realtà finivano per eseguirne un’attenta cernita, favorendo i seguaci dei Medici e scartando gli avversari.
Cosimo, poi, disponeva di un altro strumento efficacissimo, la sua stessa banca: allora, come oggi, chiunque volesse intraprendere o sviluppare un’attività d’impresa aveva bisogno del credito, dell’appoggio delle banche; Banca Medici era il perno del sistema creditizio fiorentino, per Cosimo era uno scherzo concedere credito ai suoi sostenitori e negarlo agli avversari (Banca Etruria è venuta dopo!).
Cosimo, infine, non esitava ad esiliare o a rovinare finanziariamente i suoi oppositori, usando in modo spregiudicato lo strumento fiscale; mentre sui suoi sostenitori piovevano esenzioni e benefici, gli oppositori si vedevano gravati da pesanti balzelli. Non potendo far ricorso al credito, per quanto spiegato, accadeva che importanti casate fossero costrette a disfarsi di tutti i loro beni, svendendoli, per far fronte all’imposizione fiscale piovuta loro addosso: bastavano a volte semplici maldicenze o critiche troppo corrosive per decretare la rovina di una famiglia.
I metodi sopra esposti non mettono certamente in buona luce la figura di Cosimo, non ce lo fanno apparire lo statista che ci è stato tramandato: per comprendere i motivi della sua grandezza e della sua fama bisogna allora guardare alle altre due strade da lui praticate, proprio per coprire o far dimenticare i mezzi persino brutali impiegati nella prima, ed ai benefici che esse portarono a Firenze.