Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Shi Guoliang (China, 1956 -   ) - Marco Polo Bridge Incident On 1937

 

Storia del Giappone (4) - Tra le due guerre

(seguito)

di Mauro Lanzi

 

In conseguenza della “Restaurazione Meji”, anche la politica estera del Giappone cambia totalmente rispetto a quella perseguita dallo shogunato: al posto dell'isolamento internazionale, il nuovo governo decide di attuare, oltre all'apertura con l'Occidente, una aggressiva politica imperialista, che avrebbe dovuto portare il Paese sullo stesso livello delle potenze europee, in particolare assumendo una posizione predominante nel sud-est asiatico. Grazie all'istituzione di un forte esercito e di una marina da guerra efficiente, il Giappone incominciò la sua espansione nell'area: inizialmente si trattò di spedizioni navali contro Formosa e contro la Corea. Poi si passò a operazioni militari di maggiore portata;  due furono le guerre significative che segnarono l'inizio dell'espansionismo giapponese: una contro la Cina (1894-1895, prima guerra sino-giapponese); la Cina imperiale venne sconfitta e fu costretta a cedere, tra l'altro, Formosa, le Pescadores e a riconoscere l'indipendenza della Corea, oltre che a pagare ingentissime riparazioni. L'altra guerra, più significativa ed importante, contro l'Impero Russo (1904-1905), guerra russo-giapponese.

La seconda guerra è conseguenza della prima: la Cina, fortemente indebolita ed anche indebitata per il precedente conflitto, non è più in grado di resistere agli appetiti delle potenze occidentali; la Francia ottiene la correzione, a proprio vantaggio, dei confini del Vietnam, la Germania, che aveva interessi nello Shandong, ottiene vaste concessioni minerarie e l’affitto per 99 anni del porto di Tsingtao, la Gran Bretagna, anch’essa, l’affitto per 99 anni dei “Nuovi Territori” ad Hong Kong.

La Russia, dal canto suo, non sta a guardare: negozia un trattato con la Cina, che le consente di costruire un collegamento ferroviario in Manciuria, fino a Port Arthur, di cui ottiene l’affitto per 25 anni; è il coronamento del sogno zarista di un accesso ai mari caldi, visto che il porto di Vladivostock è bloccato dai ghiacci per 8 mesi l’anno.     

La serie di umiliazioni subite dagli imperatori Qin determina una forte reazione xenofoba in Cina, che esplode nella cosiddetta rivoluzione dei “Boxers” (1900): l’assassinio dell’ambasciatore tedesco e le minacce ai residenti occidentali provocano una spedizione internazionale di otto nazioni (la vicenda è stata oggetto del film “55 giorni a Pechino”) che schianta l’esercito Qin: in particolare i russi, che avevano inviato contingenti per quasi 100.000 uomini, occupano militarmente la Manciuria ed iniziano a fortificare Port Arthur.

Questa iniziativa mette i russi in rotta di collisione con i giapponesi, che avevano anch’essi ambizioni su questo porto e le zone circostanti; hanno inizio lunghe e complesse trattative a San Pietroburgo; i giapponesi sono disposti a chiudere un occhio sulla Manciuria, purché la Russia riconosca la Corea come zona d’influenza giapponese.

La rotta della flotta russa per Tsushima - Limes

 

 

 

 

Il fallimento dei negoziati, i russi non vogliono cedere la Corea, porta alla guerra: i giapponesi attaccano Port Arthur, senza dichiarazione di guerra e la cingono d’assedio, interrompendo la linea ferroviaria con la Manciuria. La flotta del Pacifico russa, intrappolata nel porto, viene bersagliata e distrutta dalle artiglierie giapponesi ed infine il 2 gennaio 1905 Port Arthur si arrende.

Scosso da questa disfatta, lo Zar tenta una mossa disperata, invia nel Mar della Cina la flotta russa del Baltico; i russi però sono costretti a compiere il periplo del continente africano, gli inglesi negano il passaggio per il canale di Suez, e giungono all’oceano indiano esausti, con le navi in pessime condizioni: un mancato rifornimento delle navi russe in Madagascar provoca un ulteriore ritardo di due mesi, ritardo che si dimostrerà decisivo perché consente ai giapponesi di riattrezzare le loro navi dopo i duri scontri a Port Arthur. L’ammiraglio giapponese Togo è al corrente dei piani russi, conosce addirittura della data esatta del loro arrivo; tende una trappola nello stretto di Corea, di fronte all’isola di Tsushima ed annienta la flotta russa (27 maggio 1905); a destra, Togo a Tsushima.

I generali dello Zar vorrebbero proseguire la guerra, inviando nuovi contingenti sulla Transiberiana, ma la rivolta di San Pietroburgo (l’episodio della corazzata Potiemkin è collegato a questi eventi) preclude ogni possibilità di prosecuzione del conflitto. Con la mediazione del presidente americano Theodore Roosevelt si sigla il Trattato di Portsmouth , con cui il Giappone ottiene dalla Russia la parte meridionale dell'isola di Sachalin e il protettorato sulla Manciuria e sulla Corea, che poi verrà annessa formalmente nel 1910 malgrado le proteste di tutte le altre nazioni. Per la prima volta una nazione asiatica sconfigge una grande potenza occidentale, per la prima volta una nazione asiatica si afferma come potenza imperialista.

In questo stesso periodo, il governo nipponico revisiona (o per meglio dire annulla) con le potenze occidentali i "trattati ineguali" imposti dal 1858, eliminando il diritto di extraterritorialità e le tariffe preferenziali.

Incredibilmente, nel giro di un cinquantennio, il Giappone si era trasformato da un Paese feudale, immerso nel Medioevo, in una moderna economia industriale, animata da una politica imperialista: quanto segue, fino a Pearl Harbour è la logica conseguenza di queste premesse.

Il Giappone partecipa alla I Guerra Mondiale come alleato dell’Intesa, ma il suo ruolo nelle operazioni belliche si limita ad attacchi alla marina ed alle colonie tedesche in Asia; il governo giapponese cerca anche di approfittare delle difficoltà della Cina, travagliata dal difficile passaggio dal regime imperiale alla repubblica, dilaniata dallo scontro con i “Signori della Guerra”, per imporre al governo cinese le “Ventuno richieste”, che, se accettate, avrebbero trasformato la Cina in un protettorato cinese; il fermo diniego cinese, appoggiato da tutte le potenze occidentali, in prima linea gli Stati Uniti, convinse i giapponesi a ritirarle: la via, però, era segnata.

Il Giappone partecipò al Conferenza di Pace di Parigi, sedendo a lato dei Quattro Grandi; non ottenne il riconoscimento, come richiesto, del principio di parità razziale, ma ebbe Shandong, ex colonia tedesca, più il protettorato su una serie di isole, anch’esse tolte alla Germania. Inoltre gli fu assegnato un seggio permanente alla Società delle Nazioni.

Dalla prima guerra mondiale il Giappone ottiene un altro risultato, il prepotente sviluppo dell’industria bellica, alimentato dalle forniture militari richieste dagli alleati. Il dopoguerra, però, in Giappone non fu facile, come peraltro in tutte le altre nazioni belligeranti; nel 1926 salì al trono, dopo il breve regno del padre Taisho, l’imperatore Hirohito, che con i suoi 63 anni di regno sarà il sovrano più longevo della storia nipponica (morto nel1989); ma anche quello che conobbe le maggiori difficoltà ed i più tremendi disastri, il regnante su cui ricade una parte non secondaria delle responsabilità dei drammi che seguirono.

I problemi che si manifestarono in Giappone fin dal primo dopoguerra  furono del tutto simili a quelli sperimentati dalle altre economie occidentali: crisi economica, disordini sociali, conseguenza della riduzione dei salari e dell’aumento del costo delle derrate alimentari, dell’esproprio dei contadini incapaci di far fronte ai propri debiti: come in Italia ed in Germania, i tumulti e gli scioperi fomentati dai sindacati portarono ad un progressivo irrigidimento autoritario del governo, che cadde sempre più in mano ai grandi capitalisti ed ai militari. Il momento peggiore si verificò con la crisi del ’29 che si manifestò in Giappone in forma particolarmente acuta; la produzione industriale si ridusse di un terzo, le esportazioni di due terzi: uno dei principali mercati di esportazione per l’industria nipponica era la Cina  dove però la concorrenza degli Stati Uniti e della Gran Bretagna sottraeva progressivamente quote di mercato al Giappone; a questo punto, l’oligarchia al governo non vede altra via d’uscita se non l’opzione militare e l’obiettivo non poteva essere che la Cina.

Un Giappone coeso, industrialmente e militarmente progredito, sotto la guida di una forte oligarchia militare, si trova a fronteggiare una Cina, per territorio e popolazione sovrastante i giapponesi, ma appena uscita dal periodo imperiale, che scontava a caro prezzo la propria arretratezza economica e militare e le divisioni politiche interne.

Tra i due, le potenze occidentali, gli Stati Uniti in prima fila, che non intendono avallare i piani di espansione giapponese; sarà proprio il controllo della Cina il “casus belli” che innescherà la guerra nel Pacifico.        

Già nel ’27 i militari al governo in Giappone avevano tentato di espandere con la forza la zona di occupazione nello Shandong, ma la decisa reazione di Unione Sovietica e Stati Uniti li avevano costretti a far marcia indietro; nel 1931 si cambia obiettivo, la Manciuria, che era già un protettorato giapponese, viene occupata militarmente a seguito dell’incidente di Mukden, inscenato ad arte da militari giapponesi, e trasformata nel trampolino di lancio per il controllo della Cina. Al fine di dare all’operazione un crisma di legalità i giapponesi instaurano nella regione lo stato fantoccio del Manciukuò, cui pongono a capo Pu Yi che era stato l’ultimo imperatore Qin, un manciù, quindi, almeno in teoria, rappresentativo della popolazione locale.

La condanna da parte della Società delle Nazioni non ferma il Giappone, che ne esce nel 1933, mentre prosegue la pressione sui confini della Cina, dilaniata dalla contesa tra il nascente partito comunista di Mao Tse Tung ed il Kuonmintang di Chiang. Si susseguono incidenti e provocazioni da parte giapponese, con lo scopo di intimidire la contro parte, imponendo la demilitarizzazione di importanti città, fino all’evento decisivo, l’incidente, anche questo creato ad arte, detto “del Ponte di Marco Polo”, non lontano da Pechino, dove si scontrano la guarnigione del ponte con reparti giapponesi in addestramento (7 luglio 1937). Questo incidente segna l’inizio delle ostilità, il Giappone sbarca ingenti rinforzi e muove alla conquista della Cina. Il 27 luglio 1940 il premier giapponese annuncia pubblicamente davanti alla Dieta di Tokyo gli obiettivi che il suo governo intendeva raggiungere per creare un Nuovo Ordine in Asia Orientale; è il primo annuncio pubblico relativo all’idea di una “Sfera di co-prosperità” che diventerà la dottrina ufficiale giapponese durante la seconda guerra mondiale. Erano previste tre fasi o sfere concentriche;

  • Sfera Interna. Doveva costituire la sfera vitale dell'impero, e comprendere Giappone, Manciuria, Cina settentrionale, area del basso Yangtze, area Marittima della Russia e la penisola coreana.
  • Piccola Sfera di Coprosperità. Costituiva la piccola Sfera autosufficiente dell'Asia orientale e doveva comprendere la Sfera interna più la Siberia orientale, la Cina, l'Indocina, il Pacifico meridionale.
  • Grande Sfera di Coprosperità. Definiva la maggiore Sfera autosufficiente dell'Asia orientale e doveva comprendere la piccola sfera di coprosperità oltre all'Australia, all'India ed ai gruppi di isole del Pacifico.

Era, come si vede, un programma molto ambizioso, quasi delirante, espressione del convincimento giapponese della superiorità della razza Yamato su tutte le altre razze della regione. Il fatto stesso che fosse stato annunciato pubblicamente è prova della sicumera e dell’arroganza dei giapponesi: ancora più sorprendente è che l’annuncio non sia stato seguito da alcuna concreta reazione da parte degli occidentali.

Il piano, ovviamente, andava realizzato per fasi, ma la prima, irrinunciabile, era la sottomissione della Cina: non ci fu una dichiarazione di guerra, per i giapponesi fedeli alla loro interpretazione dell’incidente del Ponte di Marco Polo, si doveva trattare di una spedizione punitiva ben altri erano gli intenti, ben altro quello che seguì.  

Nella seconda guerra sino giapponese si possono distinguere tre fasi:

Prima fase: 7 luglio 1937 (battaglia del Ponte di Marco Polo) - 25 ottobre 1938 (caduta di Hankou). In questo periodo il concetto chiave della difesa cinese è spazio in cambio di tempo: in pratica l'esercito cinese può solo limitarsi a rallentare l'avanzata giapponese verso le città industriali del nord-est in modo da permettere di smontare le poche industrie militari esistenti per ritirarle verso Chongqing ove ricostruire una base produttiva. L’esercito del KMT è costretto a cedere Pechino, Tientsin e, infine, dopo una sanguinosa battaglia anche Shangai. Infine pure Nanchino, capitale del KMT, viene occupata e diviene teatro di un orrendo massacro a spese della popolazione civile; a Nanchino i giapponesi instaurano uno governo fantoccio.

Seconda fase: 25 ottobre 1939 - luglio 1944. Stallo delle operazioni. In questa lunga fase della guerra la strategia cinese fu quella di colpire l'avversario attraverso azioni improvvise miranti a tagliare le linee di rifornimento giapponesi, bloccando così nuove eventuali manovre offensive; a queste operazioni partecipa anche l’Esercito Popolare di Mao Tse Tung, dopo la tregua concordata con Chiang. L’avanzata giapponese viene contenuta, ma questi sono anche gli anni in cui le atrocità giapponesi raggiungono il culmine, massacri di civili, esperimenti scientifici su cavie umane ed altro-

      Terza fase: luglio 1944 - 15 agosto 1945. A questo periodo corrisponde il contrattacco generale mirante alla completa liberazione del territorio cinese.

I piani giapponesi originali non prevedevano l’occupazione di tutta la Cina, non ne avrebbero avuto le risorse; si pensava di portare sotto il controllo diretto del Giappone tutta la zona costiera, più Pechino ed il bacino dello Yangtse: tutto il resto sarebbe stato organizzato in stati satelliti, nominalmente indipendenti; quello che i generali giapponesi non avevano previsto è che il conflitto con la Cina li avrebbe gettati nel più vasto scenario della seconda guerra mondiale.

(Continua)

 

Inserito il:16/12/2021 11:08:31
Ultimo aggiornamento:30/12/2021 16:55:23
Condividi su
ARCHIVIO ARTICOLI
nel futuro, archivio
Torna alla home
nel futuro, web magazine di informazione e cultura
Ho letto e accetto le condizioni sulla privacy *
(*obbligatorio)


Questo sito non ti chiede di esprimere il consenso dei cookie perché usiamo solo cookie tecnici e servizi di Google a scopo statistico

Cookie policy | Privacy policy

Associazione Culturale Nel Futuro – Corso Brianza 10/B – 22066 Mariano Comense CO – C.F. 90037120137

yost.technology | 04451716445