Amaan Ahmad (Hyderabad, Telangana, India) - Memento Mori
Digital Death, vita nova (1)
di Vincenzo Rampolla
La Morte. Indegno e scorretto nominarla in pubblico, brutto e ripugnante. Fuori posto se non di cattivo gusto. Quanti i giri di parole per evitare quella parola. Rimozione sociale e culturale dallo spazio pubblico che trascina a credere che la morte non sia parte della vita, ma un Male (la Nera Signora, l’Oscura, l’Angelo sterminatore, la Nera Mietitrice…) che ci prende da ogni lato, con onere di sconfiggerla con ogni arma, complici medicina e tecnologia. Che dire di stroncato da un male incurabile,contorsione per spiegare che una persona è morta di tumore? Un tale immaginario sociale e culturale, che attribuisce valore morale negativo alla mortalità e affida le fantasie di immortalità alla medicina, genera una caotica serie di logiche negative, da tempo evidenziate dalla Death Education, settore agli albori, in germinazione.
Un’emergenza sanitaria ha messo in moto il digitale: può sopperire a alcune carenze nella dimensione del fine vita, dai funerali in streaming, ai tablet in terapie intensive, agli hospice di cure palliative. Per capire il valore e i limiti del digitale bisogna averne toccato i vantaggi, e rieccoli daccapo, oscuri e complessi, utili a provarne il fine e l’esistenza: potere e denaro. Nella tradizione italiana di pensiero, con l’atavica incapacità di cogliere la distinzione tra reale e virtuale, a memoria d’uomo è la prima volta che i corpi dei defunti sono svaniti. Nel nulla. Si trattasse di naufragio o di catastrofe aerea... Eppure il corpo custodisce gelosamente una funzione simbolica chiave per elaborare il lutto, e la sua assenza può provocare effetti imprevisti e gravi traumi.
Esiliata dal contesto pubblico, grazie al digitale la morte si è riavvicinata: morte in solitudine nelle terapie intensive, senza l’abbraccio, il cordoglio, un gesto, un’ultima parola, deportando l’elaborazione del lutto. Rito svuotato dallo stesso streaming, non più provvisorio. Inventato in Irlanda per gli emigrati che non potevano tornare in Patria, resta l’unica opportunità per partecipare. Frodato del contatto visivo l’uomo spasima reso cieco, con il solo conforto di un pugno di cenere in mano. Gli viene in aiuto il web, con le tracce lasciate da chi non c’è più, destinato a chi rimane e ricorda. Dovere, conforto, calcolo, bisogno, lucida intenzione, caso?
È tempo di accogliere la morte, di evitare di fare i conti con la propria fragilità e caducità. Procedere per gradi, questo l’istinto. Agire di colpo svierebbe su modi improvvisati e insensati, dimenticando certi impulsi che le sono propri: il morente è figura fragile, obbliga l’assenza, un assurdo pit-stop nei comandamenti di una produzione continua e infinita. Non a caso il mantra si è corrotto: andratuttobene. Ma non è andato tutto bene. Per niente. Questa velatura sulla morte ha forse reso più difficile il nostro rapportarsi ad essa? Ben vengano le vie di fuga dal terrore del momento, ma evitare di guardare in faccia la realtà non basta. Le reazioni immediate e isteriche delle persone, capire il pericolo, guai a violare il lockdown, atto sovversivo… e dopo azioni irrazionali, prosciugamento dei supermercati, aggressiva caccia ai violatori…, hanno svelato la totale inadeguatezza psicologica e emotiva nell’affrontare le conseguenze di un’innata fragilità esistenziale. Una consapevolezza maggiore della propria mortalità avrebbe ridotto la paura? Forse. Ci avrebbe nutrito di maggiore lucidità di fronte al pericolo inatteso? Sì. Assolutamente sì. Dunque, educazione alla morte. Chi mai ne parla?
Modellare negli anni le nostre identità digitali all’interno dei social network ha chiaramente esaltato il fatto che non vi è vita senza morte. Lapalissiano. È il momento di scoprire che succede in casa Facebook e tirar fuori un studio dell'Università di Oxford documentatissimo lavoro che ne fotografa la situazione al 2018: entro 50 anni i profili degli utenti di Facebook deceduti potrebbero superare quelli dei vivi. E allora? Se anche Facebook congelasse lo status quo, restando al numero di utenti 2018, almeno 1,4 miliardi di utenti morirebbero entro il 2100: già dal 2070, sarebbe popolato più da morti che da vivi. Se invece continuasse a espandersi ai ritmi attuali, prima di fine secolo il numero di iscritti deceduti arriverebbe a 4,9 miliardi. A chi apparterrà questa mole di dati? Come saranno gestiti, per parenti e amici dei defunti? Con le loro reazioni positive, i social network diventano un solido punto di coscienza della nostra mortalità oltre al fatto che le identità digitali restano comunque in vita on line, come una massa dotata di eterna vita spettrale, così chiamata dai filosofi.
Ovvio. Con l’epidemia la morte sembra sia stata messa in un cantuccio. Sì. Assolutamente lasciata da sola. Che dire delle video-chiamate che hanno permesso ai malati, intubati nei reparti ospedalieri, di dare un ultimo saluto via schermo ai loro cari. Il contatto fisico resta insostituibile, è indubbio. Dunque, in circostanze estreme, i social e il web fanno fronte unito per sostenersi a vicenda, limitando i tipici ostacoli della realtà offline. Inoltre, ciascun essere, con le proprie storie personali, ha contribuito a creare un immmenso archivio digitale delle memorie della pandemia. Gli storici, non potranno che esultare. E i vituperati spettri digitali, diventano un’insperata modalità, perfetta e attuale: scrigno del ricordo dei morti. Gli spettri digitali incuterebbero paura se mirassero a sostituire i morti, raffigurano invece una cassaforte tecnologica di ogni persona e di 1/5 degli abitanti del pianeta. La pandemia, paradossalmente, ha dato vita a un’esistenza online senza quella offline, dovuta al congelamento in casa dei nostri corpi. Esperienza che ha creato problemi di natura lavorativa, psicologica, emotiva, ecc. e dovrebbe indurre la Scuola a educare alla digital death e alla logica che le è propria: evidenziare l’importanza della sua integrazione nella vita e aprire gli occhi ai rischi derivati da un atteggiamento inadatto. Come è avvenuto con il sesso. Taglio della lingua a chi ne parlava in pubblico e dalla cattedra e vent’anni dopo testi, lezioni, corsi e docenti entusiasti di parlare apertamente di sesso con gli allievi. Una decina di anni fa, in Educazione al suicidio, realtà metodi e drammi di ieri e di oggi, saggio filosofico e settoriale, presentai il tema in chiave pedagogica, iniziando dal suicidio, artificio logico… non è forse morte? È morte e di lei nessuno chiede: cos’è? Tutti lo sanno, nessuno ne parla né vuole parlarne: ha paura, paura di chi ti è ombra dalla nascita, ti segue e non la vedi, ti cerca quando non la pensi. Forse è questa l’angoscia dell’uomo, la sua incapacità di pensare il suicidio insieme alla morte: pensa due cose distinte. Sono invece uguali, gemelle: una ti cerca, l’altra la cerchi. Saper pensare la morte, saper capire quando è vicina, sapere agire al suo arrivo, qualunque sia la forma: essere educati alla morte, questo è il castigo. Si parla di morte e di suicidio solo davanti al parente defunto o al giovane che giace, non se ne parla a tavola o tra amici, come si parla di donne e di calcio. È vietato, è abietto e triviale. Se ne parla solo se c’è il cadavere, giovane o vecchio che sia. Manca il coraggio di aprire il dialogo. Quando l’uomo capirà che la sua diverrà una vita nova, il mondo di fatto inesistente, che distingue ancora il reale dal virtuale? Se lo conosci, il suicidio lo eviti. Se la segui, la morte digitale la cerchi. Dieci anni dopo qualcosa si sta muovendo…
Nell’impossibilità oggettiva di una dimensione unitaria, i social sono diventati l’arena privilegiata di commemorazione. Il ricordare pubblicamente queste morti sembra essere una necessità primaria. Il Gruppo Gedi si è fatto avanti. Ha attivato il portale memorie.it con lo scopo di creare un luogo digitale capace di conservare la memoria del nostro Paese, colpito pesantemente da un’emergenza. Nelle sue pagine confluiscono le storie raccontate dalle testate giornalistiche del gruppo ma è possibile a ognuno segnalare una scomparsa. L’iniziativa si inserisce in un mondo ben più ampio costituito da social network dedicati alla morte e alla memoria, da World Wide Cemetery (1995) a MyDeathSpace.
L’anima del caro estinto risorge agghindata a festa. L’industria ha sviluppato urne digitali, lapidi con QR code, griefbot con cui dialogare e ricostruzione tramite algoritmi della personalità del defunto, inclusa la voce. Prende vita il cimitero virtuale digitale.
28 aprile 1995 per iniziativa di Michael Kibbee, ingegnere informatico canadese, in un video si può visitare la sua tomba virtuale. Malato di cancro rendere possibile l’elaborazione e la condivisione del lutto ai suoi familiari e agli amici. Lo decide. Con codici QR Code applicati sulle tombe si accede a pagine web con fotografie, filmati e documenti sonori del defunto.
Le casseforti digitali prendono forma. Da una parte custodiscono l’accesso alla vita digitale, e dall’altra gestiscono quella stessa vita digitale dopo la morte reale. Curano ad esempio l’invio negli anni di auguri di compleanno a figli e nipoti oppure creano un avatar con aspetto, tratti e lineamenti di una persona, esattamente come se fosse viva. Un’immortalità postmoderna che sostiene l’idea che Internet possa realizzare qualcosa di assolutamente unico per la storia della umanità, a tutti i livelli: la volontà di mantenere in vita il morto. Molti social prevedono modalità in grado di distinguere i profili di persone decedute, come quelli commemorativi inventati da Facebook che supereranno quelli degli utenti ancora in vita. Si è detto che ci sono già social come MyDeathSpace progettati per ricordare le persone dececedute, ma identificare i defunti è solo una minima parte del disegno. Gli architetti ne conoscono perfettamente il progetto. Punto centrale è la priorità tra il diritto alla memoria dei sopravvissuti e quello alla privacy dei defunti, oggetto di analisi nel prossimo articolo.
(consultazione: it.vpnmentor.com, cronacheletterarie.com, agendadigitale.eu, sipuodiremorte.it, ecodibergamo, eterni.me,digitalinnovationdays.com, dataprotectionlaw, ninja marketing.it, avvenire.it agi.it, iltascabile.com, impactscoolmagazine, vivere il morire-d.sisto, affarinternazionali.it, carmillaonline.com, iusinitinere.it, il regno.it, onoranze funebri la pergola salerno, notaio carraffa, lo sguardo-rivista filosofia, www.statoechiese.it, cambio-rivista trasformazioni sociali, educazione al suicidio-v.rampolla, )