Aggiornato al 11/12/2024

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Voltaire

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Madonne Nere in Europa. La Madonna d’Oropa: un caso esemplare

di Giuseppe Silmo

 

La diffusione e la tradizione delle Madonne Nere

Le Madonne di molti celebri santuari mariani d’Europa sono ‘nere’ o ‘brune’. Alcuni tra i più famosi sono: Oropa, Crea e Loreto in Italia, Montserrat in Spagna, Czestochowa in Polonia, Einsiedeln in Svizzera e Rocamadour in Francia.

In ambito europeo le Madonne Nere costituiscono un comune patrimonio religioso, storico, culturale e artistico: in un censimento, aggiornato al 2010, sono state individuate 740 Madonne Nere distribuite in 21 paesi europei[1].

 

Madonne Nere in Europa[2]

Francia: 428

Italia: 126

Spagna: 107

Germania: 18

Belgio: 17

Malta: 8

Svizzera: 7

Austria: 5

Repubblica Ceca: 4

Romania: 3

Portogallo: 3

Polonia: 2

Croazia: 2

Lussemburgo: 2

Regno Unito: 2

Irlanda: 1

Kosovo: 1

Lettonia: 1

Lituania: 1

Montenegro: 1

Ungheria: 1

Turchia: 1

Totale 741

 

 

L’altissimo numero di Madonne Nere elencate in Francia è dovuto «da un lato, all’effettivo primato francese, dall’altro, al fatto che oltralpe la ricerca delle ‘Vierges noires’[3] è ormai giunta ad un livello molto avanzato»[4].

Le statue lignee delle Madonne sono quasi tutte medioevali, stilisticamente nella maggior parte si tratta di produzioni tardo romanico o gotiche.

Il colore dell’incarnato di queste immagini, siano esse icone o simulacri lignei, è da sempre un interrogativo che vede schierati talvolta su fronti opposti studiosi nelle varie discipline e istituzioni ecclesiastiche, in un confronto teso alla ricerca di una spiegazione, se mai c’è ne fosse una univoca, o di più spiegazioni concomitanti. L’interrogativo nasce dalla constatazione che una Madonna Nera è, sia da un punto di vista devozionale sia iconografico, una eccezione nel contesto europeo medioevale, ed è in contraddizione con la percezione del nero che si ha in particolare in quell’epoca. Lorenzo Rosoli afferma su «L’Avvenire», che «nell’immaginario medioevale il nero era il colore del negativo, del diabolico, delle tenebre»[5].

La diffusione in Occidente di immagini di Madonne Nere è spesso associata dalla tradizione a legami con l’Oriente, di qui il volto scuro.

Intorno alle Madonne Nere sono infatti cresciute tradizioni e leggende che le fanno risalire a tempi remoti. La Madonna Nera di Oropa sarebbe stata portata insieme a quella di Crea, da San Eusebio, il primo vescovo di Vercelli (morto tra il 371 e il 374), dalla Palestina, dove era stato esiliato dall’imperatore Costanzo perché antiariano. Secondo la tradizione le statue sarebbero opera dell’evangelista San Luca. La tradizione eusebiana, diffusa tra le popolazioni del Piemonte, non è tuttavia documentata, come scrive Angelo Stefano Bessone, da testimonianze scritte risalenti a prima del XV secolo[6].

In questo scritto cercheremo di chiarire il fenomeno devozionale, le ragioni e le giustificazioni a posteriori dell’incarnato scuro, esaminando innanzitutto il caso esemplare della Madonna d’Oropa.

 

La Madonna d’Oropa

Non c’è dubbio che l’aspetto della Madonna d’Oropa, che più di tutti gli altri colpisce il devoto, sia il suo incarnato scuro. Si tratta di un elemento che, estraneo, ancora oggi, al dibattito dei pellegrini e in genere dei fedeli, ha fatto però molto discutere gli studiosi nell’ultimo secolo, perché si riallaccia al dibattito sull’origine delle Madonne Nere, presenti, come abbiamo visto, in tutta Europa.

La sua statua rappresenta un esempio perfetto per avviare la discussione attraverso i due elementi di base: provenienza e datazione.

Le analisi stilistiche effettuate dalla storica dell’arte Elena Rossetti Brezzi, fanno risalire la provenienza della statua a una bottega di Aosta «il cui capomastro ha assunto il nome di comodo proprio di Maestro della Madonna d’Oropa»[7].

La datazione della statua ha portato a tre tipi di analisi: quella classica con il metodo del Carbonio 14, quella con il metodo della spettrografia molecolare e quella in base alle sue caratteristiche stilistiche.

Mario Coda, nel 1996, Amministratore del Santuario di Oropa, ha fatto eseguire una analisi del legno della statua con la spettrografia molecolare e l’esame ha dato una datazione al 1536[8].

Dieci anni più tardi il canonico e storico della chiesa biellese Delmo Lebole ha fatto rifare l’analisi, ma questa volta con il Carbonio 14, retrodatando la datazione al IX sec[9].

In seguito, a questi risultati divergenti, veniva da Coda interpellato il laboratorio di analisi molecolare che forniva due importanti chiarimenti. Il primo: il metodo della spettrografia molecolare è da ritenersi più valido quando si ha a che fare con oggetti non troppo antichi. Il secondo: negli ultimi anni si è riscontrato che l’applicazione del metodo può avere alcune limitazioni; qualora infatti gli oggetti in esame siano rimasti «a lungo esposti a temperature vicino allo zero (0°C) possono subire un certo rallentamento nel naturale processo di invecchiamento». Questo è proprio il caso di Oropa. Di conseguenza «il risultato della datazione spettrografia del legno dovrebbe essere corretto aggiungendo indicativamente 100-200 anni»[10]. Il che ci porta all’inizio del XIV sec.

Per spiegare la datazione al carbonio molto più bassa (IX secolo) ottenuta dagli esami del Lebole, Coda ipotizza che non è da escludere che per fare la statua sia stato utilizzato un legno vecchio di quattro secoli[11]. Tuttavia, da una conversazione con Mario Coda, avvenuta ormai alcuni anni fa, è più probabile che si tratti di un problema legato alla campionatura del legno della statua che è stata usata. Scrive, infatti, Pier Luigi Perino, che è indotto a ritenere «che il frammento sottoposto alla radiodatazione ha cessato l’attività vitale fra l’800 e 885 diventando durame, parte fisiologicamente inattiva dell’albero coesistente con le parti vive» e quindi continua «si può ipotizzare che il nostro albero sia nato nell’arco di tempo fra l’inizio del VI e l’inizio del IX secolo e sia stato abbattuto fra il primo quarto del X secolo e l’ultimo quarto del XIII»[12].

Arriviamo così vicino alla datazione ottenuta dall’analisi stilistica, cioè la fine del XIII sec. Risultato a cui è pervenuta, nello studio sopra già citato, la storica dell’arte Elena Rossetti Brezzi, dopo un lungo e accurato lavoro di analisi e comparazione tra statue di Madonne col Bambino analoghe a quella di Oropa[13].

Delmo Lebole, dopo un lavoro di comparazione e analisi stilistica altrettanto accurato, è giunto alla conclusione che la scultura della statua sia da collocarsi, per alcune caratteristiche che sembrano essere più di età romanica che gotica, intorno alla seconda metà del sec. XIII e non alla fine[14].

La pubblicistica attuale più accreditata concorda con la datazione della fine del XIII sec.[15].

Questa statua potrebbe essere stata commissionata dal vescovo di Vercelli di origine valdostana Ajmone di Challant, quando consacrò la chiesa nel 1294. La datazione della statua e la data di arrivo del vescovo lo paiono confermare. Idea suggestiva fatta propria da Elena Rossetti Brezzi, e ripresa come probabile anche da Mario Coda[16], ma non da Delmo Lebole, che sostiene che sia antecedente all’inaugurazione della chiesa da parte dello Challant, perché secondo lui la statua fu commissionata dai frati eremiti custodi da secoli della chiesetta di S. Maria di Oropa, che, verso la metà del sec. XIII, vollero una statua «scolpita in area valdostana», «forse per sostituire un primitivo dipinto»[17].

Da tutti questi studi si è inoltre appurato che il legno della statua è cirmolo della Valle d’Aosta (legno chiaro) e non ebano o cedro. Molti scrittori in passato, per spiegare il colore nero e convalidare la tradizione, avevano richiamato i cedri del Libano[18].

La tradizione eusebiana di una provenienza orientale della statua, da cui il suo colore bruno, perde quindi ogni validità, come anche le datazioni dei vari esami escludono che la statua possa risalire a S. Eusebio. 

Un elemento assolutamente certo è che nel 1620, anno della prima incoronazione della Madonna d’Oropa, l’incarnato della statua è «di color bruno», come sappiamo da Bassiano Gatti che ha scritto la cronaca dell’evento[19]. In quegli stessi anni è, tuttavia, contemporaneamente documentato un fiorire di Madonne di Oropa dall’incarnato chiaro.

L’esempio più famoso è una stampa a colori custodita nell’Archivio del Santuario d’Oropa, datata tra il 1625 e il 1644. Particolare importante di questo dipinto è l’incarnato chiaro e la scritta che porta: «Il vero ritratto della Madonna Santissima d’Oroppa di Biella»[20].

Un altro esempio è l’affresco del Santuario di Monte Stella a Ivrea, che raffigura la Madonna d’Oropa con l’incarnato rosa, tra i santi Eusebio e Bernardo d’Aosta ed è del 1627[21]. Ad Ivrea attualmente la raffigurazione è chiamata Nostra Signora del Monte Stella, ma l’iconografia è esattamente quella della Madonna di Oropa: corone, veste, manto con riproduzione fedele del panneggio, pomo nella mano destra.  L’identificazione trova inoltre conferma nella data della festa annuale che è la stessa della Madonna d’Oropa, l’ultima domenica d’agosto.[22] Nella seconda metà del Seicento si pongono le basi della devozione locale, ma nel frattempo si è perso il riferimento all’ispirazione originaria del dipinto[23].

Ancora un altro esempio è la statua conservata presso la frazione di Occhieppo Superiore del Fiario, dove nel locale Oratorio delle Grazie si trova una Madonna d’Oropa dal volto chiaro databile a prima del 1661[24].

Oltre a queste rappresentazioni di carattere istituzionale, l’arte popolare che produce gli ex-voto per grazie che si ritengono ricevute dalla Madonna d’Oropa, produce almeno per gran parte del Seicento dipinti su tela o legno con la Madonna dall’incarnato chiaro, come risulta da una ricerca fatta sui quadri votivi della Comunità di Sordevolo[25].

Evidentemente la tradizione dell’incarnato scuro non si è ancora formata e soprattutto questi dipinti vengono eseguiti senza recarsi al santuario, ma si rifanno a stampe in circolazione dove la Madonna ha l’incarnato chiaro[26].

Tuttavia, con la fine del Seicento si incontrano sempre più Madonne dall’incarnato scuro.

Un esempio è una tela che raffigura la Madonna d’Oropa, che si trova nella Chiesa di S. Francesco a Sordevolo almeno dal 1670. Di questo dipinto va sottolineato che il mantello sembra quello registrato in un inventario del Santuario di Oropa del 1643, e che sul pomo, sorretto dalla mano destra, non sono ancora innestate la croce doro a diamanti e le foglie verdi di smalto donate da Carlo Emanuele II nel 1670[27]. Quindi chi ha fatto il dipinto lo ha fatto direttamente a Oropa, testimoniando quindi l’effettivo aspetto della Madonna prima del 1670, ma dopo il 1643.

L’aspetto della ‘negritudine’, tuttavia, acquista decennio dopo decennio sempre più importanza, fino a diventare verso la fine del XVII «un elemento irrinunciabile»[28].

Oltre a queste raffigurazioni dall’incarnato rosa, abbiamo anche un elemento ancora oggi di osservazione diretta. Se si osserva l’attuale effige della Madonna d’Oropa, «è possibile scorgere intorno alle labbra alcune zone prive dell’odierno colorito scuro»[29].

Da quanto abbiamo visto finora, l’imbrunimento dell’incarnato (Gatti parla «di color bruno») era già riscontrabile in concomitanza con l’incoronazione del 1620. In tale occasione si è ipotizzato che «per accrescere l’aura di sacralità intorno all’immagine della Vergine è molto probabile che si sia deciso di ripassarne”, di accentuarne la «negritudine»[30]. Non sembra dello stesso avviso la storica dell’arte Rossetti Brezzi, che scrive: «Fu pesantemente e ripetutamente ridipinta e trasformata in Madonna Nera in epoca imprecisabile, ma sicuramente dopo il secondo Seicento»[31].

 

Il convegno «Nigra sum»

Per portare qualche elemento di chiarezza, l’Università Cattolica di Milano e il Centro di documentazione dei Sacri Monti Calvari e Complessi Devozionali Europei, hanno avviato un ampio studio sul diffusissimo fenomeno europeo delle Madonne Nere in Europa e successivamente organizzato un congresso internazionale, denominato «Nigra sum», che si è tenuto al santuario Oropa (20-21 maggio 2010) e al santuario di Crea (22 maggio), a cui l’autore è stato invitato come uditore.

È stato un momento di grande apertura e lungimiranza da parte del mondo ecclesiastico, che ha superato quella «devotio populi»[32] in nome della quale sono sempre state confermate le tradizioni religiose consolidate da secoli. Infatti, ancora nel 1983, dal Rettore di Oropa è stata riaffermata con incrollabile tenacia e assertività, la tradizione eusebiana, con un libro arrivato addirittura alla terza edizione[33].

Il convegno tenuto a Oropa ha visto la partecipazione di oltre 20 relatori.

Un’occasione preziosa, commenta Luciano Rosoli sull’«Avvenire»[34], per ricostruire l’origine e le dinamiche di una storia complessa nei suoi aspetti devozionali e teologici, ma anche artistici, culturali, antropologici.

Gli atti del convegno sono stati pubblicati nel giugno 2012[35].

I risultati acquisiti sono molto significativi. In estrema sintesi, si può iniziare dalla constatazione più importante che ha tratto la storica Lucetta Scaraffa, relatrice al convegno, su «L’Osservatore Romano» alla conclusione dei lavori: «Dalle relazioni storiche, suffragate dall’analisi delle antiche statue, è emerso un dato: all’origine i volti e le mani delle Madonne e dei Bambini erano di norma rosati, riproducevano cioè un incarnato che si riteneva fosse quello normale…»[36].

Conclusione anche ripresa da Amilcare Barbero, direttore del Centro di documentazione dei Sacri Monti, relatore ed organizzatore del convegno, in una intervista ad «Avvenire»[37].

La Scaraffa e il Barbero non fanno altro che riprendere quanto esposto dai numerosi relatori, tra cui per chiarezza espositiva e precisione scientifica vanno segnalati: Concepció Peig, dell’Universitat Internacional de Catalunya, nel suo intervento sulla Madonna di Monserrat[38], Maria Stella Calò Mariani[39], che insieme alla chimica Luigia Sabbatini[40], entrambi dell’Università di Bari, hanno parlato delle Madonne dal volto bruno di  Santa Maria di Siponto (cattedrale di Manfredonia), Santa Maria Patrona (cattedrale di Lucera) e della Madonna con Bambino della cattedrale di Viggiano. Un interessante contributo storico, che porta alle stesse conclusioni, è stato quello di Irmgard Siede, del Reiss-Engelhorn-Museum di Mannheim, sulle Madonne di Eisielden in Svizzera e di Altötting in Baviera[41].

Le conclusioni del Convegno in accordo con altri studi hanno, quindi, chiarito in maniera definitiva che originariamente le cosiddette Madonne Nere medioevali non erano scure e che non erano arrivate dall’Oriente.

La nascita della devozione mariana delle Madonne Nere e delle sue motivazioni religiose e antropologico-culturali è stata affrontata in particolare, ma non solo, da Guido Gentile, del Comitato Scientifico del Centro di documentazione dei Sacri Monti,[42], e da Xavier Barral i Altet, dell’Università di Rennes II e membro dell’Institute for Advanced Study-collegium Budapest[43].

A questo punto le domande che da tempo si sono posti gli studiosi sono: perché sono state annerite e da quando.

L’annerimento per la maggior parte dei relatori al Convegno di Oropa sarebbe inizialmente avvenuto per cause naturali.

Così si esprime, sintetizzando i risultati del Convegno su «L’Osservatore Romano», Lucetta Scaraffa: «Nel nostro futuro non ci saranno più Madonne nere, a meno che si decida di copiare una statua già esistente. È questa la certezza dopo il convegno Nigra sum». Perché, prosegue, l’annerimento è «dovuto al gran numero di candele e lampade votive acceso in loro onore». Esso, spiega: «È quindi prova concreta di devozione: solo immagini molto amate e reputate miracolose, infatti, avevano questo destino, mentre per le altre i pochi lumi non erano sufficienti a provocare un cambiamento dei colori della statua. Talvolta, per evitare che il volto di Maria risultasse chiazzato dal fumo, si provvedeva a uniformare il colore scuro con il pennello. Non c'era infatti verso di riportarlo all'incarnato chiaro originale: i fedeli - e questo è un dato costante in epoche e luoghi diversi - si erano abituati a vederlo nero, e non lo riconoscevano chiaro. Anche perché nel frattempo l'immagine miracolosa era stata replicata, e le repliche erano ovviamente nere»[44].

Bassiano Gatti lo aveva già scritto nel 1621: «La faccia della Reina nostra è alquanto, longhetta e di colore bruno, ma per l’antichità, e fumo tinta di una divota negrerezza»[45].

Amilcare Barbero intervistato da l’«Avvenire» precisa che all’annerimento ha contribuito «anche il trattamento con olio di lino o con sostanze minerali» e prosegue sottolineando «II fatto che spesso quei simulacri siano rimasti per lungo tempo in luoghi come grotte o piccole cappelle, prima di essere ospitati in veri e propri santuari, sottoposti dunque all’umidità, alla polvere mossa dall’afflusso dei pellegrini e così via»[46].

Luigi Rosoli, su «L’Avvenire», così commenta: «Il tempo e la devozione hanno scurito le Madonne: che con quell’incarnato sono poi rimaste nella devozione, nella memoria, nell’immaginario popolare, nelle copie che hanno replicato e diffuso le immagini»[47].

Guido Gentile, relatore, sottolinea che un fenomeno naturale dovuto al fumo e all’antichità diventa un fatto spirituale la: «Divota negrezza», parafrasando quanto scritto dal Gatti per la prima incoronazione della Madonna d’Oropa del 1620[48].

Così i volti e le mani delle Madonne sono deliberatamente dipinti di nero, accentuando uno stato già esistente. Anche perché, evidenzia Lucetta Scaraffa, il colore nero della Madonna e del Bambino sottolineava la loro alterità, ed era considerato simbolo di umiltà[49].

Quindi l’annerimento, sottolinea, il medievalista ed esperto di arte gotica, Xavier Barral i Altet, relatore al convegno, propone una risposta al quesito del quando. Secondo lui sono state annerite di proposito nel tardo medioevo alla fine del XIV secolo. L’annerimento è, secondo lo studioso, un fenomeno del tardo gotico che corrisponde a una nuova tendenza al soprannaturale di rappresentazione del sacro in maniera visibile. Tendenza, a cui per altro non corrisponde alcuna decisione da parte ecclesiastica[50].

Concepciò Peig per la Madonna di Montserrat propone la prima meta del XIV secolo[51].

L’esperienza della Madonna d’Oropa ci porta a un periodo più tardo: la fine del XVI, l’inizio del XVII, forse Oropa è un po’ in ritardo rispetto alla tendenza europea.

Danilo Zardin ha spiegato nella sua relazione che nel XIV-XVI secolo, si è avuta una vera e propria ‘esplosione’ del culto mariano[52]. Elemento questo che vale la pena di sottolineare e di collegare all’altrettanta evidente ‘esplosione’ di «Divota Negrezza».

Esistono poi due altre spiegazioni per l’annerimento dei simulacri delle Madonne di carattere teologico-religioso che sicuramente hanno avuto il loro ruolo nell’accentuare e generalizzare l’affermarsi delle Madonne sempre più nere e non solo più brune.

La prima spiegazione fa riferimento al versetto del Cantico dei Cantici in cui la sposa dice: «Nigra Sum, sed Formosa»[53], «Bruna sono ma bella»[54]. La motivazione ha trovato un certo successo soprattutto perché, come dice il vescovo di Casale Alceste Catella, intervenuto al convegno e già rettore del santuario di Oropa: San Bernardo, uno dei fondatori dell’ordine cistercense, ha fatto di questo versetto uno dei punti forti della spiritualità e della devozione dell’ordine, dandone una lettura mariologica dove la Madonna è esposta al sole che è Cristo. L’ordine cistercense ha diffuso poi questa devozione in tutta l’Europa[55].

Tuttavia, spiega a «L’Avvenire» Claudio Bernardi, docente dell’Università Cattolica e membro del Comitato scientifico del Centro di Documentazione dei Sacri Monti, «che il riferimento biblico era importante ma non così diffuso come oggi»[56].

Alberto Bobbio su «Famiglia Cristiana» scrive: «I biblisti maggiori dicono che si riferisce alla Chiesa e non alla Madonna»[57].

La seconda spiegazione la troviamo nella vasta ricerca fatta per la tesi, più volte citata, da Emanuele Rolando, in cui si sostiene che «l’accentuazione dell’incarnato nero coincida con l’avvento del protestantesimo e con la consapevolezza controriformista”. Rolando spiega che siccome “Lutero e i suoi seguaci tendevano a ridimensionare il ruolo di Maria […] il cattolicesimo si sarebbe adoperato per nobilitarne la figura. Un volto nero rimandava, più o meno inconsciamente all’Oriente, culla della religione cristiana, in ogni caso a qualche cosa di antico e quindi di legittimo»[58].

A questo proposito Lucilla Scaraffia, anche sulla base delle osservazioni della relatrice Sophie Cassagnes-Brouquet sulle «Vierges noires» del Sud della Francia[59], così scrive su «L’Osservatore Romano»: «Il nero è dunque segno di una lunga devozione, di luce in onore di una immagine particolarmente miracolosa e quindi amata dai devoti: niente a che vedere né con le leggende esoteriche che sono state mobilitate per spiegare questo colore, né con la ricerca di legami con divinità femminili pagane»[60].

Affermazione che può essere sottoscritta in base alla semplice constatazione che il fenomeno delle Madonne Nere è tardo, non prima della fine del XIV secolo, infatti, come si è visto tutte le Madonne romanico-gotiche sono inizialmente chiare. Quindi non può trattarsi di un assorbimento di antichi culti nell’iconografia cristiana.

Le Madonne Nere costituiscono un patrimonio europeo al di là di tutti i localismi e testimoniano una comune cultura. Il nero è diventato un loro elemento comune di identità e sacralità.

La «devotio populi che «ha creato non solo devozione, ma anche una storia inventata, che è pura leggenda»[61], non è stata lambita dal grande lavoro di ricerca e studio delle ragioni di questo fenomeno, che hanno portato al convegno «Nigra sum» del 2010, come forse qualcuno ha temuto quando il convegno è stato indetto. Timore invece pesantemente espresso quando Delmo Lebole nel 1988, ipotizzò la possibilità di datare la statua con il Carbonio 14. Lebole scriverà anni più tardi: «Fui trattato come un sacrilego, un iconoclasta, un profanatore della nostra Madonna» e ancora: «Da Oropa si giunse al punto di “rassicurare la ‘gente’, definendo la prova del “C” un’operazione estranea ed impropria»[62].

Sul sito attuale del santuario di Oropa, realizzato nel 2020, si legge, come già sul sito del 2010:

«All'interno del Sacello è custodita la statua della Madonna Nera, realizzata in legno di cirmolo dallo scalpello di uno scultore valdostano nel XIII secolo. Il manto blu, l'abito e i capelli color oro fanno da cornice al volto dipinto di nero, il cui sorriso dolce e austero ha accolto i pellegrini nei secoli. Secondo la tradizione, la statua venne portata da Sant'Eusebio dalla Palestina nel IV secolo d.C. … Sant'Eusebio avrebbe nascosto la statua tra le rocce dove ora sorge la Cappella del Roc, costruita nella prima metà del Settecento dagli abitanti di Fontainemore, località valdostana ancora oggi fortemente legata al santuario dall'antica processione che si snoda ogni cinque anni tra i monti che separano le due vallate»[63].

 

[1] C.BERNARDI, E. ROLANDO, L. GROPPO, La ricerca sul Web sulle Madonne Nere, in NIGRA SUM. Culti, santuari e immagini delle Madonne Nere d’Europa, a cura di L. GROPPO, O. GIRAUDI, Torino 2012, pp.19, 20.

[3] S. CASSAGNES-BROUQUET, Madonne Nere della Francia meridionale: forma e diffusione di un culto, in NIGRA SUM, cit. p.111, f.1.

[4] BERNARDI, ROLANDO, GROPPO cit., p. 20.

[5] L. ROSOLI, Nigra sum, devozione europea, in «Avvenire» 26 maggio 2010.

[6] A. S. BESSONE, Storia di Oropa dal XIII al XIX secolo, Biella 1970, pp. 1-4.

[7] E. ROSSETTI BREZZI, La scultura in legno, in Arti figurative a Biella e a Vercelli, Il Duecento e il Trecento, Biella 1970, p. 120.

[8] M. CODA, La datazione della statua lignea di Oropa, in <<Bollettino Storico Vercellese>>, n. .66, Vercelli 2006, p. 70.

[9] D. LEBOLE, Storia della Chiesa Biellese, Ordini e Congregazioni Religiose. III, Gaglianico 2005, pp. IX-X.

[10] CODA, La datazione della statua cit., p. 70.

[11]  Op. cit., p.71.

[12] P. L. PERINO, L’albero della statua di Oropa, in «Rivista Biellese», anno XII, n. 3, luglio, 2008, p.14.

[13] ROSSETTI BREZZI, La scultura in legno cit. p. 119.

[14] LEBOLE, Storia della Chiesa Biellese. Il Santuario di Oropa, I, Gaglianico, pp. 33, 81.

[15] A. CATELLA, La Vergine bruna di Oropa, Milano 2007, p. 18; P. SORRENTI, Alla scoperta di un mistero antico, in P. Sorrenti (a cura di), Tesori di Oropa, Gaglianico 2005, p. 13.

[16] CODA, La datazione della statua cit., p. 72.

[17] D.LEBOLE, Storia della Chiesa Biellese: il Santuario di Oropa, I, Gaglianico 1996, p. 81.

[18] Op. cit., pp. 51-52.

[19] B. GATTI, La breve relazione di Oropa, ristampa, Biella 1970, p. 68.

[20] E. ROLANDO, Il culto della Madonna d’Oropa e le sue raffigurazioni dalle origini al secolo della prima incoronazione (1620-1720), Torino 2010, tesi di laurea   presso la, Facoltà di Lettere e Filosofia dellUniversità di Torino, f. 24.

[21] Op. cit., f. 56.

[22] Op. cit., pp. 87-89.

[23] Op. cit., pp. 89-90.

[24] Op. cit., f..113.

[25] A.S. BESSONE, S. TRIVERO, I quadri votivi della Comunità di Sordevolo, Biella 1998, pp. 25, 28, 29, 39, 31, 40, 44, 46, 59, 64, 78, 80.

[26] ROLANDO, Il culto della Madonna d’Oropa cit., p. 118.

[27] Op. cit., pp. 22-23.

[28] Op. cit., pp. 188-189.

[29] Op. cit., p. 190.

[30] Op. cit., p. 193.

[31] ROSSETTI BREZZI, La scultura in legno cit., p. 119.

[32] D. LEBOLE, Le Madonne Eusebiane: Oropa e Crea, in NIGRA SUM cit., p. 215.

[33] M. TROMPETTO, Storia del Santuario di Oropa, Biella 1983.

[34] ROSOLI, Nigra sum cit.

[35] GROPPO, GIRAUDI (a cura di), NIGRA SUM cit.

[36] L. SCARAFFIA, Le immagini della Vergine in Europa in un convegno a Oropa e Crea, in «L’Osservatore Romano», 25 maggio 2010.

[37] ROSOLI, Nigra sum cit.

[38] C. PEIG, La Madonna di Monserrat e la sua ‘nerezza’ in epoca medioevale, in NIGRA SUM cit., p. 123 sgg.

[39] M.S. CALÒ MARIANI, Madonne lignee dal volto bruno nei santuari della puglia e della Basilicata, in NIGRA SUM cit., p.35 sgg.

[40] L. SABBATINI, Indagini archeometriche sulle Madonne lignee dal volto bruno nei santuari della Puglia e della Basilicata, in NIGRA SUM cit. p. 49 sgg.

[41] I. SIEDE, Le Madonne Nere di Eisielden e di Altötting: devozione – coppie – pellegrinaggio, in NIGRA SUM cit., p. 185 sgg.

[42] G. GENTILE, Percezione, riproduzione e imitazione di immagini mariane, in NIGRA SUM cit., p. 83 sgg.

[43] X. BARRAL i ALTET, Madonne Brune che non lo erano in epoca romanica, in NIGRA SUM cit., p.95 sgg.

[44] SCARAFFIA, Le immagini della Vergine, cit.

[45] B. GATTI, La breve relazione di Oropa, ristampa, Biella 1970, p. 68.

[46] L. ROSOLI, «Nigra sum» cit.

[47] Op. cit.

[48] G. GENTILE, Percezione, riproduzione, e imitazioni di immagini mariane, in NIGRA SUM. cit., p. 85.

[49] SCARAFFIA, Le immagini della Vergine, cit.

[50] X. BARRAL i ALTET, Madonne Brune che non lo erano in epoca romanica, in NIGRA SUM, cit.., pp. 108, 109.

[51] C. PEIG, La Madonna di Monserrat e la sua ‘nerezza’ in epoca medioevale, in NIGRA SUM, cit., p. 139.

[52] D. ZARDIN, Il ‘trionfo’ di Maria sulla scena della Pietà cattolica moderna, in NIGRA SUM, cit., p. 77

[53] Cantico dei Cantici 1.5.

[54] Cantico dei Cantici 1.5, in La Bibbia di Gerusalemme, Bologna 1974.

[55] Intervento non programmato di Alceste Catella al convegno, appunti dellautore.

[56] L. ROSOLI, «Nigra sum» cit.

[57] A. BOBBIO, Il Mistero delle Madonne Nere cit.

[58] ROLANDO, Il culto della Madonna d’Oropa cit., p. 192.

[59] S. CASSAGNES BROUQUET, Madonne Nere della Francia Meridionale: forma e diffusione di culto, in NIGRA SUM, cit., pp. 111-121.

[60] SCARAFFIA, Le immagini della Vergine cit.

[61] LEBOLE, Le Madonne Eusebiane: Oropa e Crea cit., p. 215.

[62] LEBOLE, Storia della Chiesa Biellese cit., p. VII.

Inserito il:30/07/2024 15:44:10
Ultimo aggiornamento:30/07/2024 18:19:01
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