Olena Kamenetska-Ostapchuk (Lviv, Ukraine, 1964) - To sit on a bench in the park
Elogio della caducità
di Franco Filippazzi
Il giardino della piazza è popolato, ci sono mamme con bambini che corrono, pensionati che leggono le notizie sul tablet e c’è anche un clochard addormentato su un prato.
Arrivano due signori che si siedono sull’unica panchina libera. Non si conoscono, si salutano.
Uno è un signore anziano, coi capelli grigi, l’altro invece è un giovane di comune aspetto.
Un bambino passa davanti alla panchina, li guarda e fa loro un sorriso.
“Assomiglia a uno dei miei nipoti”, dice l’anziano. Poi, dopo una pausa, continua:
“Io ho ormai tanti anni e sempre più spesso mi trovo a pensare al dopo. Non sono pensieri allegri. C’è però un fatto che mi consola è cioè l’eredità di affetti, il ricordo di chi mi ha voluto bene, la mia famiglia, gli amici. Sono cose immateriali, impalpabili che però danno un senso al dopo, a quando non ci sarò più.”
Il giovane seduto sulla panchina ha ascoltato con espressione meditabonda, un po’ sfuggente. Comunque interviene a commento di quanto ha detto il signore seduto accanto.
“Caro signore, i suoi sono pensieri che l’uomo fa da tanto tempo, da quando ha avuto il cosiddetto bene dell’intelletto. Ma c’è anche un altro modo per affrontare il problema dell’esistenza.”
Il signore anziano guarda un po’ perplesso il suo interlocutore. Poi chiede: “Come sarebbe a dire?”
Il giovane rimane un attimo soprapensiero, poi risponde.
“Restare vivi nel ricordo degli esseri umani con cui abbiamo condiviso l’avventura di vivere è una soluzione affascinante, che possiamo definire spiritualistica.
L’alternativa cui io mi riferivo è invece, per così dire, materialistica. La scienza e la tecnologia possono dare facoltà umane alle macchine, fino a farle diventare indistinguibili dall’uomo. Ma con una differenza fondamentale: le macchine possono funzionare all’infinito, sostituendo via via i pezzi usurati. In sostanza, sono entità che, in linea teorica, possono non avere un fine vita.”
L’anziano scuote il capo: “Caro giovanotto, noi due abbiamo concezioni diverse di ciò che significa il mondo e la vita. Ci sarebbe molto da dire sull’argomento. Tutto sommato, io sono favorevole alla caducità della vita terrena. Che barba una vita eterna, cose da robot!”
Il giovanotto sorride, guarda l’orologio, si alza e si dirige verso un edificio vicino. Sulla facciata lampeggia la parola “Hotel”, nell’atrio di ingresso c’è una targa con scritto “Riservato ai robot”.