Giuliano Piancastelli (1967 - Faenza) – Donna velata
Elena Ferrante e la sua fuga da (non) autore
di Fabio Macaluso
Lo scoop del Sole 24 Ore e di altre tre testate internazionali che sembra aver identificato nella traduttrice/scrittrice Anita Raja la celeberrima e probabilmente ex anonima Elena Ferrante ha scatenato reazioni diverse. Queste sono grossolanamente riassumibili nello sconcerto per un’indagine condotta con strumenti definiti invasivi (come gli accertamenti catastali o l’analisi dei bilanci pubblici dell’editore e/o) o nell’approvazione della ricerca in base al rispetto del diritto di cronaca quando si racconti di personaggi pubblici, seppur nascosti dietro uno pseudonimo.
La mia opinione si associa al secondo pensiero: non trovo scandaloso che testate giornalistiche tentino di dare un nome e un volto alla più influente scrittrice italiana, famosa internazionalmente. Pensando anche che una parte del successo della Ferrante è dovuto alla cura con cui è stato celato il proprio nome sin dalla pubblicazione di Amore Molesto nel 1992.
Ciò sembra dovuto all’assenza di una norma che elevi a diritto assoluto il rispetto dell’anonimato, in via prevalente rispetto al diritto del pubblico di essere informato. Ma anche in questo caso ci si muove all’interno della materia di studio che si è a lungo occupata del bilanciamento tra due diritti fondamentali, quello di cronaca (articolo 21 della Costituzione) e quello alla riservatezza (articolo 2 della Costituzione).
E’ la giurisprudenza, in primis quella della Corte di Cassazione, che ha tracciato la via per cui la lesione del diritto alla riservatezza (in senso ampio) è lecita nel caso in cui venga riscontrato un interesse pubblico idoneo a giustificare il sacrificio del diritto del soggetto “indagato” al rispetto della sua privacy o, come nel caso di Raja/Ferrante, della stessa identità personale.
Principio affermato anche dalla Corte di Giustizia Europea nella sua fondamentale sentenza “Costeja” del 2014 (in materia di diritto all’oblio), che lascia prevalere il diritto di cronaca (inteso in senso largo) sui diritti fondamentali inseriti nella relativa Carta Europea del 2010 tenuto conto del “ruolo ricoperto dalla persona nella vita pubblica”.
Insomma, Elena Ferrante e i suoi editori devono convincersi che l’enorme successo raggiunto in questi due decenni e mezzo li espone all’interesse del pubblico a conoscere la vera identità della famosa scrittrice e che a tale diritto devono “inchinarsi”, rinunciando a uno degli elementi che hanno spinto le vendite dei libri dell’autrice svelata.
Non sembra così grave se solo si considera che l’autorialità è in crisi da decenni, come ci hanno insegnato Michel Foucault e Roland Barthes nello scorso secolo.
Barthes nel suo saggio del 1988 intitolato proprio “La morte dell’autore” osserva che un testo consiste di vari livelli di scrittura, derivanti da diverse culture che entrano in dialogo fra loro. Secondo il grande autore francese, esiste un soggetto (uno spazio) che raccoglie e unisce questa molteplicità, e questo non è l’autore, bensì il lettore: l’unità di un testo non è nella sua origine, ma nella sua destinazione.
Questo è vero se si pensa a quel frullatore che è internet, che, come credono i suoi massimi teorici, quasi genera da sé le sue informazioni.
Così Yochai Benkler, nel suo volume “La ricchezza della rete”, una sorta di bibbia per gli appassionati della rete, ci dice che per la prima volta dalla rivoluzione industriale il capitale fisico necessario per agire in modo efficace nei settori fondamentali delle economie più avanzate – e l’informazione e la cultura che ne scaturisce sono ormai centrali nell’economia globale – è distribuito tra la popolazione. “Questo fatto crea una nuova realtà economica. Ieri i produttori di auto o le compagnie petrolifere non dovevano preoccuparsi di volontari che avrebbero potuto riunirsi nel week end e competere con loro: i costi per mettere in piedi una linea di produzione erano semplicemente troppo alti. Oggi le industrie culturali sono costrette a preoccuparsi di questi ‘dilettanti’ della domenica che, cooperando grazie ai computer connessi a Internet, creano alternative ai loro prodotti”.
A questo punto, dovremmo spingere oltre la questione che l’indagine del Sole 24 Ore e la sua opportunità per motivi di bon ton giornalistico hanno posto.
Così, le domande da porci sono due, tra esse collegate: abbiamo ancora bisogno di Elena Ferrante tout court oppure il tramonto della segretezza del suo nome l’ha resa intercambiabile o invero destinata al nulla profetizzato da Roland Barthes?