François Dubois (Amiens,1529 – Parigi, 1584) – Il massacro di San Bartolomeo
Le Regine di Casa Medici (4)
di Mauro Lanzi
(seguito)
Caterina de’ Medici - La notte di San Bartolomeo (24 agosto 1572)
Malgrado la fiducia che Caterina riponeva negli effetti del matrimonio, riunire nell’ultracattolica Parigi una grande moltitudine di protestanti era di per sé un rischio tremendo, troppo forti erano i rancori covati da entrambe le parti: il nuovo capo del partito ugonotto, l’ammiraglio Gaspard de Coligny era un noto saccheggiatore di chiese e di conventi, incluso Cluny (luogo particolarmente caro ai cattolici francesi, da lì era partito il grande moto di riforma della Chiesa nell’XI secolo), ed a lui i Guisa facevano risalire la responsabilità dell’assassinio di Francesco di Guisa.
A tanta miscela esplosiva si era aggiunto un elemento nuovo, il rapporto di stima e confidenza che si era venuto a creare tra il Coligny ed il giovane re: Carlo IX aveva 20 anni, era un giovane di salute cagionevole (morirà dopo poco di tisi) e di poco intelletto; fino allora, malgrado avesse raggiunto la maggiore età, aveva lasciato alla madre la conduzione degli affari di stato, preferendo dedicarsi ai suoi passatempi preferiti, la caccia ed i lavori da fabbro. Il matrimonio contratto l’anno precedente con Margherita d’Austria e, soprattutto, l’incontro con il Coligny avevano cambiato questo atteggiamento: Carlo nutriva nei confronti dell’ammiraglio una vera e propria venerazione, lo chiamava “padre mio”, nei suoi scritti, forse vedeva in lui il surrogato di una figura paterna scomparsa troppo presto. Coligny, da parte sua, non si faceva scrupolo di sfruttare ai suoi fini i sentimenti di un giovane inesperto e debole di mente ed aveva invischiato Carlo in folli progetti per un intervento nelle Fiandre, al fianco dei fiamminghi in rivolta contro la Spagna: Carlo purtroppo aveva anche messo per iscritto il suo appoggio al progetto.
Quando questo dettaglio venne alla luce, Caterina si rese immediatamente conto del pericolo mortale che correvano la Francia e la monarchia, non c’era modo per opporsi alla potenza militare spagnola!! Cosa sia realmente accaduto nei quattro giorni intercorsi tra le nozze e l’attentato al Coligny non lo sappiamo, come non sappiamo per certo se nella macchinazione abbia prevalso la ragion di stato od il desiderio di vendetta da parte dei Guisa. Fatto sta che il 22 Agosto l’ammiraglio venne preso di mira da un sicario, secondo alcuni al servizio della Corte, e fatto oggetto di un colpo d’archibugio, che lo ferì senza ucciderlo: il colpo partì da un palazzo appartenente ai Guisa. Immediatamente soccorso, Coligny non era in pericolo di vita e ricevette anche una visita della famiglia reale, che però non valse a placare l’ira ed i sentimenti di rivolta immediatamente esplosi nella folla di ugonotti radunati a Parigi: il numero li faceva sentire forti, avevano fatto irruzione al Louvre, minacciavano apertamente la monarchia e la persona del Re e della Regina madre.
Ancora una volta non si sa con certezza quanto avvenne in quei momenti convulsi, mancano testimonianze attendibili: di certo Caterina ebbe paura, vedeva la fine imminente, e, secondo alcuni, dopo essersi intesa con i Guisa, esercitò ogni tipo di pressione e ricatto per orientare contro gli ugonotti la debole volontà del Re, il quale, sempre secondo versioni non confermate, avrebbe infine esclamato: ”Uccideteli tutti, che nessuno abbia a rimproverarmi quello che ho fatto”.
La notte del 24 Agosto, sotto la guida dei Guisa, le porte della città vennero sbarrate, manipoli armati presero il controllo dei punti strategici: uno scontro fortuito con un gruppo di ugonotti diede l’avvio alla strage, l’eccidio si estese rapidamente a tutti i quartieri, tutto il popolo di Parigi, quasi ubriacato dall’odore del sangue, che, secondo una cronaca correva nei rigagnoli come acqua dopo un temporale, partecipava ai massacri, che nessuna autorità riusciva più ad arrestare. Coligny venne strappato dal suo letto, ucciso, gettato dalla finestra: la sua testa venne prima issata su una picca, poi inviata a Roma, come triste trofeo, al cardinal Lorena.
La Senna era coperta dai cadaveri che galleggiavano sulle sue acque, più di ottomila furono i morti in tutta la Francia, almeno la metà a Parigi: Enrico di Navarra scampò alla morte per miracolo, rifugiandosi negli appartamenti della moglie, visto che anche il Louvre fu teatro di massacri: poi, per avere salva la vita si convertì al cattolicesimo (abiurerà non appena libero).
Il Papa celebrò un TE DEUM di ringraziamento (commissionò al Vasari il dipinto che vedete sopra, fece coniare medaglie commemorative), Filippo II esultò come per una grande vittoria, nessuna potenza protestante mosse un dito, ma la guerra civile riesplose furibonda.
Il punto più dibattuto di tutta la vicenda riguarda il ruolo e le responsabilità di Caterina nella tremenda strage, con gli storici divisi tra innocentisti e colpevolisti: secondo questi ultimi, la Regina Madre avrebbe ordito la trama fin dall’inizio, anche il matrimonio di Enrico e Margherita non sarebbe stato che un pretesto per attirare a Parigi il maggior numero possibile di ugonotti e quindi eliminarli; tesi improbabile, visto il costante impegno profuso dalla Regina per un compromesso tra le due religioni!
Per gli innocentisti, viceversa, i veri responsabili furono tutti i Francesi, esasperati da anni di violenze; è certo, ad esempio, che gli ugonotti non si limitavano a combattere, ma non perdevano occasione per profanare i simboli più cari ai cattolici, chiese, monasteri, frati e monache uccisi o violate, una reazione era inevitabile.
Probabilmente la verità, su cui mancano comunque prove e testimonianze attendibili, sta nel mezzo; Caterina era terrorizzata dalle notizie di complotti e rivolte da parte ugonotta, a seguito del fallito attentato al Coligny: è lecito supporre che cercasse l’eliminazione solo di alcuni facinorosi, che la situazione sia sfuggita di mano a tutti, per l’odio di parte che accecava i francesi. La salvezza della monarchia e l’integrità del Regno erano certamente le principali o uniche preoccupazioni di Caterina, ma il ricordo della notte di San Bartolomeo pesa come un macigno su tutti i protagonisti di quelle giornate.
Carlo IX, il re demente, che si dice sparasse ridendo dalle finestre del Louvre sugli ugonotti, muore due anni dopo, probabilmente di tisi. Gli succede il fratello minore, il duca d’Anjou, Enrico III (a sinistra), che sarà l’ultimo dei Valois a salire al trono di Francia.
Enrico III era un giovane non privo di intelligenza e di capacità, si era anche distinto nelle battaglie di Jarnac e Montcourt, ma dimostrava di frequente un carattere stravagante, umorale, che lo conduceva a volte ad assumere atteggiamenti disdicevoli per il suo rango o prendere iniziative avventate o perniciose.
I tempi, certo, non lasciavano spazio ad errori; le guerre di religione proseguivano, inframmezzate da tregue precarie; è questo il periodo detto della guerra dei tre Enrichi, Enrico di Valois, il Re, Enrico di Guisa, il “Balafré” (a sinistra), capo del partito cattolico ed Enrico di Borbone Navarra, che fuggito da Corte ed abiurato il cattolicesimo, aveva ripreso la guida del partito ugonotto. In questi frangenti, Caterina, malgrado l’età e gli acciacchi, percorreva infaticabile la Francia, per ricucire la tela del compromesso, che veniva regolarmente disfatta dagli altri protagonisti, tra questi, purtroppo, anche il figlio le cui stravaganze e follie nuocevano non poco alla causa della monarchia. Enrico aveva sposato poco dopo l’ascesa al trono, una fanciulla di estrazione modesta, Luisa de Vaudemont, le cui doti l’avevano resa da subito popolare a Corte, ma poi aveva manifestato aspetti fino allora sconosciuti della sua personalità: si presentava alle feste di corte travestito da donna, si circondava di una folla di giovani favoriti, di dubbia inclinazione, detti “mignons du Roi” o ”mignons de couchette” ( non necessita traduzione!!), con cui intraprendeva imprese e progetti uno peggiore dell’altro: emergeva in lui una latente omosessualità, che forse giustifica anche la mancanza di eredi.
Non desta meraviglia, in queste circostanze, il progressivo prevalere dei Guisa sulla fazione monarchica, Enrico era ormai nelle mani del Balafré, che parlava sempre più apertamente di deporlo, farlo rinchiudere in un convento per farsi incoronare al suo posto. Enrico, ovviamente, odiava il Guisa ed aveva più volte progettato di eliminarlo, fermato sempre dalla madre: alla fine l’occasione propizia si presenta nel 1588, in occasione della convocazione degli Stati Generali a Blois (a lato): il Guisa, che si era opposto a questa convocazione, non poté esimersi dal presenziarvi, riuscendo infine a manovrare l’assemblea a suo piacimento, come per provare il suo assoluto controllo sul Paese. Il Re, allora, esacerbato, prese la decisione fatale ed invitato il Guisa nei suoi appartamenti, lo fece scannare dai suoi seguaci, 23 Dicembre 1588, sulle scale interne del castello (le guide mostrano ancora il punto esatto dell’assassinio).
Caterina, anche lei presente a Blois, era costretta a letto dai suoi malanni, nulla poté per impedire il misfatto, ma non mancò di presagirne le conseguenze funeste.
Caterina chiude gli occhi di lì a poco il 5 Gennaio 1589: si dice che nelle ultime ore avesse notato la presenza di un paggio a lei sconosciuto nei suoi appartamenti: Caterina era molto superstiziosa, le era stato predetto che la sua fine si sarebbe consumata in prossimità di Saint Germain, ragione per cui a Parigi evitava accuratamente il quartiere di St Germain de Pres.
“Come vi chiamate, Signore?”
“De Saint Germain, Madame”
Caterina comprende che la sua ora è giunta e si prepara a morire.
L’assassinio del Guisa, come prevedibile, fece riesplodere la guerra civile; il Re, Enrico III non trarrà alcun vantaggio dalla scomparsa del suo mortale nemico e non sopravviverà a lungo; sarà assassinato da un fanatico, frate Clemens, che così voleva vendicare la fine del Guisa, il 1° Agosto 1589. Gli succede, per diritto dinastico, Enrico di Borbone, che il Valois stesso abbraccia prima di morire, designandolo suo successore.
Enrico di Borbone, salito al trono con il titolo di Enrico IV, riesce ad aver ragione delle ultime resistenze delle due fazioni, grazie anche ad una conversione di facciata al cattolicesimo, dettata solo dal calcolo (“Parigi val bene una messa!”); soprattutto pone fine, con l’editto di Nantes (1598), alle guerre di religione; agli ugonotti viene riconosciuto il diritto di seguire la propria fede, di frequentare le loro chiese, di occupare, a garanzia dei loro diritti, alcune piazzeforti.
Caterina non poté assistere al coronamento del suo sogno, la pacificazione del paese nel rispetto reciproco fra le due religioni, il solo mezzo per garantire l’integrità del Regno.
Per questo obiettivo Caterina si era adoperata per tutta la vita, con indomita energia, con questo intento aveva affrontato con disperato coraggio i momenti più tragici, piegandosi anche alle decisioni più estreme: è lecito pensare che il suo messaggio abbia ispirato chi la seguì.
A questa piccola italiana, tanto osteggiata per le sue origini, la Francia deve la sua salvezza e la sua rinascita, dopo essere stata vicina alla dissoluzione: a lei spetterebbero il rispetto e la gratitudine di tutto un Paese che, in ultima analisi, deve anche a lei la sua grandezza.