Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Charles Cundall (Stretford, Lancashire,UK, 1890 - Chelsea, Massachusetts, USA, 1971) - The Withdrawal from Dunkirk

 

Seconda guerra mondiale.

 

Le grandi giornate - Dunkerque (1)

di Mauro Lanzi

1. La pace in pericolo

 

    1. Premessa

 

La battaglia di Dunkerque, combattuta tra il 26 maggio ed il 4 giugno 1940, è stata tante cose insieme, l’atto finale di una disastrosa disfatta subita dalle due maggiori potenze del mondo occidentale, la cronaca dell’epico salvataggio di un esercito in rotta, l’inizio di una disperata resistenza quando tutto sembrava perduto, ma anche e soprattutto il punto di svolta del conflitto, il momento in cui esso diviene una guerra globale.

Tante domande si affollano alla nostra mente ricordando questi eventi, ma alcune in particolare ci sembra meritino una risposta: in primo luogo, come e perché si giunse, senza volerlo, ad una guerra globale, che, almeno in partenza nessuno voleva?

Poi, come fu possibile che una nazione, la Germania, in pieno dissesto nel 1933, sia riuscita in soli sette anni a riprendersi ed infine a sottomettere buona parte dell’Europa continentale? Ed anche, come poté accadere che il più potente esercito al mondo, l’esercito francese, spalleggiato dal corpo di spedizione inglese (BEF), sia stato liquidato in quattro settimane? Da ultimo, e questa è il quesito più intrigante di tutti, perché Hitler non approfittò di questa occasione per chiudere la partita, annientando la BEF, assestando quindi al nemico il colpo di grazia, capace di concludere la guerra?

Non è compito facile dare risposte, ma occorre provarci per capire che cosa è stata e come si è veramente svolta la Seconda Guerra Mondiale.

 

 

    1. La resistibile ascesa del nazismo

 

Alla domanda come si giunse, forse senza volerlo, ad una guerra globale, in genere si risponde focalizzando due punti, l’avvento del nazismo e la dissennata aggressività hitleriana; a sua volta, l’ascesa del nazismo viene in parte o in toto imputata agli errori del trattato di pace di Versailles, che aveva concluso la Prima Guerra Mondiale.

Vero, almeno in parte, ma non è tutto; se vogliamo comprendere come si arrivò ad un tale disastro, come e perché, partendo dalle richieste di modeste correzioni delle frontiere fissate dal trattato di Versailles, si è giunti al più gigantesco massacro che la storia ricordi, come è stato possibile che una nazione in bancarotta, la Germania, sia stata in grado nel giro di pochi anni di arrivare a dominare mezza Europa, allora occorre ampliare il nostro orizzonte, analizzare anche altri aspetti delle vicende che condussero all’avvio della guerra, prendere in considerazione testimonianze venute di recente alla luce, spesso trascurate: è stato dimostrato, ad esempio, che Hitler, per quanto privo di scrupoli, si mosse nei primi anni con grande cautela, l’ultima cosa che cercava era proprio una guerra globale, anche per la latente, ma tenace avversione degli alti gradi dell’esercito, che vedevano i rischi impliciti nelle sue iniziative. Come si arrivò a tanto?

File source: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Bundesarchiv_Bild_146-1982-159-21A,_N%C3%BCrnberg,_Reichsparteitag,_Hitler_und_R%C3%B6hm.jpgDopo essere giunto al cancellierato, in forma legittima, il 30 gennaio 1933, Hitler si era preoccupato di consolidare in ogni modo il suo potere, sia attraverso misure repressive nei confronti delle opposizioni, sia attraverso la ricerca di un accordo con i poteri forti della Germania, industriali ed esercito. C’era evidentemente un costo da pagare, l’establishment tedesco non accettava l’ingresso nelle stanze del potere dei fiancheggiatori del partito hitleriano, le SA, o Camice Brune, di Erich Rohm (a destra accanto a Hitler), una formazione paramilitare che aveva aiutato in maniera determinante l’ascesa elettorale hitleriana, ma che ora era divenuta una presenza imbarazzante, per la sua costante azione destabilizzatrice: Rohm voleva distruggere il vecchio establishment, Hitler lo voleva come alleato. La soluzione si trova in forma brutale e definitiva nella cosiddetta “Notte dei lunghi coltelli”, 29/30 giugno 1934, quando Hitler fa assassinare nel giro di poche ore i vertici del movimento (più di 40 persone) e poi scioglie le SA.

La “Notte dei lunghi coltelli” è un evento discriminante nella storia del nazismo o nazionalsocialismo, la sua fisionomia cambia radicalmente, la componente di ”sinistra”, orientata al socialismo, scompare, resta la destra hitleriana, che stringe un’alleanza di ferro col capitalismo.

Da questo momento in poi il potere di Hitler diviene sostanzialmente incontrastato, anche se permane all’interno delle forze armate una vena di costante disagio o dissenso, che in più occasioni produrrà complotti o addirittura attentati antihitleriani, sempre falliti o abortiti, fino all’ultimo quello del luglio 1944, realizzato da Von Stauffenberg.

I rapporti tra il  Führer e gli alti gradi dell’esercito non furono mai idilliaci; gli eredi della vecchia aristocrazia, gli Junker, non potevano digerire facilmente dover prendere ordini da un “caporale boemo” (così lo aveva definito Hindenburg) e, soprattutto, non condividevano le strategie hitleriane che spesso giudicavano pericolose o avventate; purtroppo, per noi e per loro, il Führer ebbe la meglio, il suo azzardo si dimostrò vincente, anche e soprattutto per gli errori di valutazione dei suoi avversari, democrazie occidentali e Unione Sovietica , negli eventi che precedettero lo scoppio della guerra: fu l’insieme, quindi, dell’aggressività hitleriana e delle macroscopiche sviste di tutti gli altri protagonisti, ciò che trasformò una serie di limitate ambizioni territoriali tedesche in una guerra globale.

L'ultima cosa che Hitler voleva era un’altra grande guerra: la sua visione è chiaramente esposta nei suoi scritti, la Germania, tagliata fuori dal grande mercato mondiale dalle politiche protezioniste di tutti gli stati e dal dominio navale inglese, aveva bisogno di un accesso sicuro a maggiori risorse minerarie ed alimentari, aveva bisogno di un “Lebensraum”, uno spazio vitale che non poteva che derivare da un’espansione ad est, verso le terre slave scarsamente popolate. Questa visione di Hitler era perfettamente nota alle cancellerie occidentali, che avrebbero potuto scegliere se contrastarla, contenerla, oppure soddisfarla in parte, cercando di recuperare la Germania al gioco diplomatico: una politica incerta e contraddittoria condusse, invece, al disastro. Vediamo i fatti:

 

1936: occupazione della Renania.

La smilitarizzazione della Renania era stata una delle colonne portanti del trattato di Versailles e di essa si erano fatte garanti Francia Inghilterra ed Italia. Ancora nel ’35 le tre potenze avevano rinnovato il loro impegno (Fronte di Stresa), poi la guerra di Etiopia aveva rotto l’accordo, le sanzioni contro l’Italia votate alla Società delle Nazioni da Francia ed Inghilterra avevano allontanato Mussolini dalle potenze occidentali.

Il 6 marzo 1936 Hitler dà l’ordine di invasione, probabilmente per distrarre l’opinione pubblica interna da una grave crisi economica in atto: lo Stato Maggiore tedesco era terrorizzato dalla prospettiva di una reazione francese che avrebbe facilmente spazzato via le deboli forze germaniche, ma la reazione non ci fu: i francesi, preoccupati dall’ostilità italiana e dal disimpegno della Gran Bretagna, non intervennero ed Hitler poté celebrare il suo primo successo. Vale la pena sottolineare, che, in questo frangente, come nei due successivi non fu il Trattato di Versailles la causa dell’ascesa nazista, quanto la sua mancata applicazione. Versailles fallì, perché si era disgregato il fronte delle Potenze vincitrici.

 

 

 

 

 

1938, Anschluss.

L’annessione dell’Austria era un’aspirazione conclamata di Hitler, che sosteneva la necessità della riunificazione di tutti i popoli di lingua tedesca; un primo tentativo era stato compiuto nel ’34 con un colpo di stato filonazista, in cui aveva trovato la morte il File source: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:DollfussEnGinebra1933.jpegcancelliere Dolfuss (a sinistra) insieme ad alcuni suoi collaboratori. La decisione di Mussolini, che era anche amico personale di Dolfuss, di inviare delle divisioni al Brennero aveva costretto Hitler ad una umiliante retromarcia, mentre a Vienna si insediava il nuovo cancelliere, Schussnig, tenace sostenitore dell’indipendenza dell’Austria. Quattro anni più tardi la situazione è totalmente diversa: “l’Asse” Roma Berlino, firmato il 24 ottobre 1936, toglieva di mezzo il principale ostacolo alle mire hitleriane, l’11 marzo 1938 le truppe tedesche potevano entrare in Austria, senza incontrare ostacoli, vista la rimozione di Schussnig in favore del filonazista Sess Inquart. Ancora una volta nessuno si mosse, benché l’articolo 80 del trattato di Versailles proibisse esplicitamente l’unione tra Germania ed Austria. L’Anchluss rappresentò il fatto più grave e carico di conseguenze dalla fine della prima guerra mondiale, perché con esso si vedevano di fatto legittimate le ambizioni hitleriane di riunire tutte le popolazioni di lingua tedesca.

I logici passi successivi saranno Sudeti e Danzica.

 

 

1938, Sudeti.

 

 

 

 

La sostanziale indifferenza di Francia e Gran Bretagna riguardo alla sorte dell’Austria non poteva che convincere Hitler che le potenze occidentali non sarebbero intervenute neppure in aiuto della Cecoslovacchia; questa era una delle tante invenzioni della conferenza di pace di Parigi, dove, dalle ceneri del defunto impero austroungarico, si era ritenuto poter creare un nuovo stato, riunendo due popolazioni diverse per lingua, cultura, interessi economici, i cechi e gli slovacchi; a questo nucleo centrale, già di per sé instabile, erano state aggregate porzioni di territorio abitate da polacchi ruteni e, soprattutto, tedeschi, circa 3,2 milioni di persone, che abitavano un territorio montagnoso posto tra Polonia, Germania e Cecoslovacchia, i Sudeti appunto. Le ambizioni di Hitler riguardo questa regione erano note da tempo a tutte le cancellerie europee e furono particolarmente incoraggiate, in quel fatale 1938, dalla visita in Germania di un alto esponente della politica inglese, lord Halifax, (prossimo ministro degli esteri), il quale avrebbe, secondo documenti riservati tedeschi resi noti dopo la guerra, espresso in generale comprensione per le aspirazioni tedesche; in aggiunta a ciò, l’ambasciatore inglese avrebbe dichiarato che il governo di Sua Maestà “si ispirava ad un profondo senso della realtà”.

La svolta cruciale in tutta la vicenda, però, fu la visita in Germania di Neville Chamberlain, primo ministro inglese, e l’incontro con Hitler a Berchtensgaden. Chamberlain atterrò a Monaco il 15 settembre e proseguì in treno per Berchtensgaden lo stesso giorno, con una procedura assai poco formale ed ancor meno rispettosa della prassi diplomatica: dei contenuti dell’incontro sappiamo ben poco, sostanzialmente quello che Chamberlain riferì al Parlamento inglese; colpisce un commento, Hitler era parso al suo interlocutore un uomo duro e privo di scrupoli, ma anche una persona di cui ci si potesse fidare una volta data una parola: la parola di Hitler era che la Germania non avrebbe avuto altre rivendicazioni territoriali dopo i Sudeti.

Sembra difficile credere che Chamberlain si sia lasciato convincere così facilmente, che i due non abbiano parlato d’altro: secondo alcune ricostruzioni Chamberlain avrebbe lasciato capire ad Hitler che gli Alleati non si sarebbero opposti militarmente alla corsa verso Est del nazismo, a spese dell’Unione Sovietica. Se così fosse, si sarebbe delineato tra i due un piano diabolico, che avrebbe giustificato ogni sacrificio da parte degli Alleati, per scagliare la Germania contro la Russia.

Non ci sono elementi certi per corroborare questa ipotesi, che appare forse eccessiva; sta di fatto che un’offerta di aiuto di Stalin non fu presa in considerazione e l’Unione Sovietica non fu neppure invitata alla Conferenza di Monaco; è certo inoltre che l’establishment inglese era dominato da un anticomunismo viscerale, mentre la decisione di Stalin di azzerare i debiti contratti dal regime zarista aveva ridotto in rovina tanti investitori francesi ed inglesi, rendendo quindi assai impopolare l’Unione Sovietica in questi paesi.

Appare quindi possibile che in questo passaggio storico il regime nazista fosse percepito come il male minore e che l’aspirazione per la pace, che era comunque profonda nelle democrazie occidentali, si mescolasse con l’illusione di poter controllare Hitler, soddisfacendo alcune sue richieste ed indirizzando la sua aggressività contro l’Unione Sovietica.

Dopo l’annessione dell’Austria, la Cecoslovacchia era rimasta l’alleato più valido ad oriente, per le democrazie occidentali, appariva come una freccia puntata al cuore del territorio nazista. Era dotata di un esercito piccolo ma molto ben armato e si era protetta alle sue frontiere con una serie di fortificazioni di grande rilievo, un vero incubo per i generali tedeschi: il capo di Stato Maggiore tedesco, Von Beck, si dimise per protesta contro quello che considerava un azzardo del Führer, l’esito di un confronto militare non appariva così scontato in favore delle armi tedesche, ma Hitler riuscì a convincere gli alti gradi dell’esercito che inglesi e francesi non si sarebbero battuti; il sacrificio della Cecoslovacchia fu quindi un errore drammatico per le democrazie occidentali, non solo dal punto di vista militare, si perdeva un alleato forte e fidato, ma anche e soprattutto dal punto di vista politico, la presa sul potere di Hitler ne uscì rinsaldata!

Ormai i giochi erano fatti; il 15 settembre Hitler lancia un ultimatum al governo cecoslovacco, che lo respinge proponendo una vasta autonomia per la regione; il 21 settembre Francia ed Inghilterra comunicano al governo di Praga che se non avesse accettato la mediazione anglofrancese, gli Alleati non avrebbero assunto alcuna ulteriore responsabilità. Per evitare in extremis un Blitz delle forze tedesche, programmato per il 1° ottobre, su suggerimento di Mussolini si riunì a Monaco la famosa conferenza, alla quale i rappresentanti cecoslovacchi non furono neppure invitati. Mussolini giocò la parte del protagonista, presentando una proposta di “compromesso” (in realtà stilata da Goering), che fu accolta dalle quattro potenze il 30 settembre (Diktat di Monaco): la Cecoslovacchia doveva sgombrare i Sudeti entro il 10 ottobre, in cambio si garantiva l’integrità dei territori di lingua slava. Churchill osserva che se i cecoslovacchi fossero stati lasciati soli, avrebbero probabilmente negoziato condizioni migliori.

Partito Mussolini, che gli occidentali giudicavano ormai una presenza superflua, Chamberlain firmò lo stesso giorno un accordo con Hitler, con il quale le due potenze si impegnavano a risolvere pacificamente ogni futura controversia: il documento, sottoscritto dalle due parti, veniva sventolato come un trofeo da Chamberlain, accolto da eroe a Londra, davanti alla folla osannante; lo stesso entusiasmo accolse Daladier a Parigi, la pace sembrava assicurata per i due Paesi e per tutta l’Europa.

Una sola voce contraria, fuori dal coro, si levò il 5 ottobre alla Camera dei Comuni, quella di Churchill; pur coperto dagli insulti e dagli schiamazzi della maggioranza, Winston concludeva così il suo intervento; rivolto a Chamberlain: “You had to choose between war and dishonour. You chose dishonour and you will have war ”. «Dovevate scegliere tra la guerra ed il disonore. Avete scelto il disonore, avrete la guerra.»

 

Parole tremende, parole profetiche.

 

(Continua)

 

 

Inserito il:30/10/2019 12:44:26
Ultimo aggiornamento:08/11/2019 00:54:22
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