Anna Stevani Bernardi (Venezia Mestre, 1938 – Penne, Pescara, 2017) - Universo
Il progetto J
di Franco Filippazzi
Anche quella sera, dopo un’intensa giornata di lavoro, Atha38, sprofondato a mezz’aria nella poltrona gravitazionale, si riposava nel solarium della pensione. Gli faceva compagnia, come di consueto, Archie Robinson, docente presso il locale Istituto di Scienze Giuridiche. La conversazione procedeva distrattamente, intercalata da lunghi silenzi, durante i quali ciascuno inseguiva i propri pensieri.
Prima di essere trasferito in quell’oscuro istituto di provincia, Atha38 aveva conosciuto tempi migliori, era anzi stato una persona molto importante. Discendente clonato (il 38esimo appunto) di un famoso scienziato, il prof. Moritz Atha, egli era stato un tempo a capo del Centro Internazionale di Ingegneria Genetica, nonché membro scientifico del Consiglio Supremo di Sicurezza. Era stato poi allontanato da quest’ultima posizione per via delle sue idee e in particolare perché fautore del progetto J. Qualche tempo dopo era incorso in una brutta avventura durante un viaggio su Marte. Mentre faceva un giro all’esterno dell’astronave aveva assorbito una forte dose di radiazioni cosmiche che avevano influito sul suo stato mentale. Era rimasto a lungo ricoverato nell’ospedale di psichiatria cellulare; quando alla fine venne rilasciato ne avevano approfittato per allontanarlo dalla direzione del Centro di Ingegneria Genetica e relegarlo in Australia in quel piccolo istituto di secondaria importanza.
Anche quella sera il discorso era scivolato sul progetto J. Questo progetto era ormai il pensiero fisso di Atha38 da quando, circa 50 anni prima, ne aveva concepito l’idea. A quel tempo l’uomo aveva ormai ottenuto il pieno controllo dei meccanismi genetici a livello molecolare. In sostanza, era in grado di fabbricare a piacere catene comunque complesse di DNA e di sviluppare i corrispettivi organismi viventi. Vi erano state a suo tempo lunghe e tempestose sedute del Consiglio Supremo di Sicurezza per regolamentare l’impiego di queste nuove conoscenze. Erano alla fine prevalsi i conservatori ed era stata varata una legge (detta della “integrità dell’uomo”) per cui il controllo biologico molecolare doveva essere limitato al “miglioramento dell’uomo senza però alterarne la struttura psicosomatica”. Era stata in seguito compilata una “lista di modifiche lecite”, che consentivano di correggere imperfezioni riscontrate nei genitori ed anche, a richiesta di quest’ultimi, di attuare opzioni di carattere estetico. Era stato invece proibito ogni esperimento diretto alla realizzazione di nuovi tipi di organismi viventi superumani. Le implicazioni morali e pratiche di una tale eventualità erano state a lungo dibattute. Non vogliamo - si disse alla fine - che un giorno l’uomo si trovi ad essere rispetto a “qualcun altro” nel rapporto in cui si trova oggi la scimmia rispetto all’uomo. Erano stati perciò consentiti soltanto studi teorici sull’argomento, in ogni caso nell’ambito di pochi istituti autorizzati e sotto stretto controllo della Commissione di Sorveglianza del Consiglio di Sicurezza.
Era stato attorno a quell’epoca che Atha38 aveva formulato la teoria della “massa pensante critica”, che era all’origine del progetto J. Da allora a questo tema si era dedicata una moltitudine di illustri specialisti delle varie discipline e il progetto era stato man mano elaborato. Ormai poteva dirsi completamente definito, rimanendo però sempre a livello di “paper work”, di lavoro sulla carta, secondo la legge.
I guai di Atha38 erano cominciati quando si era fatto portavoce delle critiche a questa legge. La polemica era andata avanti per molto tempo, finché il Consiglio di Sicurezza aveva ritenuto incompatibile l’appartenenza di Atha38 al Consiglio stesso. Era stato ancora lasciato a capo del Centro di Ingegneria Genetica ma, a sua insaputa, sottoposto a continuo controllo telepatico. Alla fine avevano trovato, come si è detto, il pretesto per allontanarlo anche da lì, e assegnarlo a un istituto che non aveva niente a che fare col progetto J.
“Ti dicono che non dobbiamo andare oltre - riprese Atha38 dopo una delle lunghe pause - per non sconvolgere le basi etiche della vita dell’uomo. Ma di quale uomo, di grazia? Forse che non abbiamo già sconvolto quasi tutti i cardini su cui poggiava la società e la vita dell’individuo fino a non molto tempo fa? Non occorre andare indietro di molto, basta pensare solo al XX secolo, l’inizio della grande cavalcata scientifica, per vedere quanto drammaticamente sia cambiata la vita nel mondo, come siano tramontati valori e concetti ritenuti immutabili. La diffusione capillare dei robot e la produzione su scala industriale dei cibi sintetici hanno cambiato radicalmente le basi dell’economia e rivoluzionato le concezioni sociali e politiche. E che dire della vita privata dell’individuo? Le grandi conquiste della biologia hanno sconvolto come un uragano i sentimenti più intimi, le idee più radicate. Basta pensare a cosa ne è stato della famiglia. La riproduzione per clonazione e l’erotismo su base chimica o ipnotica hanno reso superfluo il sesso. Il controllo dei meccanismi di crescita ha permesso di ridurre da anni a giorni il periodo di sviluppo dell’organismo, abolendo l’infanzia e la fanciullezza. E ancora, come possiamo parlare di individualità dell’uomo? Chi è veramente l’uomo oggi, dal momento che gli modifichiamo chimicamente il carattere, gli aumentiamo artificialmente l’intelligenza, gli iniettiamo la memoria, gli trapiantiamo e sostituiamo qualsiasi organo?”
“E’ tutto vero, - assentì pensosamente il prof. Robinson - il progresso scientifico è già stato causa di sconvolgenti smarrimenti per l’uomo. Però non mi sembra questa una giustificazione per introdurne degli altri.” Robinson si occupava da tempo di un angoscioso problema: definire lo stato giuridico delle cosiddette “chimere”, cioè degli organismi formati da uomo e animale oppure da uomo e macchina. La mancanza di una definizione giuridica era causa di continui inconvenienti per queste creature nate nei laboratori di ricerca, di cui si discuteva se si dovesse considerarle uomini o animali o macchine.
Atha38 non raccolse l’obiezione del suo interlocutore. Dopo una pausa, seguendo il filo dei suoi pensieri, continuò: “Eppure tante cose ora comunemente accettate furono respinte quando vennero proposte la prima volta e contrastate a lungo prima di essere introdotte. Consideriamo la clonazione. E’ un tipico esempio della relatività dei nostri concetti etici e delle regole giuridiche che ne derivano. Anche della clonazione si fece a suo tempo un problema morale. E per parecchio tempo si ritenne di vietarla per non alterare il più fondamentale e, fino ad allora, immutabile cardine della vita, cioè la transitorietà dell’individuo. Tutti - si disse - debbono accettare serenamente la legge naturale, perché l’immortalità non è del singolo ma del genere umano. Successivamente si cominciò a rilassare la regola. Il Consiglio Giuridico Mondiale concesse dapprima che si potessero fare copie di individui eccezionali, grandi scienziati, fuoriclasse dell’atletica ecc. Poi a poco a poco le concessioni si fecero più elastiche, finché l’eccezione divenne la regola. Il progresso scientifico si è trovato sempre più spesso in contrasto con posizioni mentali acquisite da tanto tempo da ritenerle immutabili. E’ l’antica antinomia tra Scienza e Morale. Però alla fine è stata sempre quest’ultima ad adattarsi. Perché invece il progetto J deve fare eccezione? Perché questa ostinata, irriducibile coalizione contro il Progetto?”.
Il professor Robinson scosse lentamente il capo: “La clonazione, come tutte le altre innovazioni, ha provocato enormi sconvolgimenti. Però si rimaneva in una sfera che ancora si poteva dire umana. Quello che lei propone va oltre l’uomo, terribilmente oltre”.
Atha38 ebbe uno scatto: “ Eppure non c’è altra via - replicò con violenza - Abbiamo esplorato lo spazio. Abbiamo scandagliato il mondo dell’infinitamente piccolo. Abbiamo smontato, pezzo a pezzo, la natura. E abbiamo capito tutti i meccanismi che la governano. Le conquiste della mente dell’uomo costituiscono una storia straordinaria. Eppure, malgrado le apparenze, non abbiamo neanche scalfito il vero segreto della realtà, non abbiamo fatto un passo avanti verso il perché delle cose, ci sfugge il significato di ciò che ci circonda. A che cosa ci ha portato il nostro progresso se non a vedere più chiaramente i nostri limiti? Che cosa abbiamo ottenuto se non di aumentare l’angoscia di vivere? L’uomo sa ormai usare tutta la sua capacità cerebrale, ma questa è enormemente lontana dalla massa critica che io ho calcolato tanti anni fa, quella che consentirebbe di fare un balzo senza paragoni, di entrare in dimensioni che noi non riusciamo nemmeno a concepire. Bisogna andare oltre l’uomo, creare una nuova forma di vita, un essere superiore, in grado di capire...”
Atha38 si era alzato in piedi, i pugni agitati verso l’alto: “Non possiamo restare prigionieri di questo uomo!” gridò. Salutò con un cenno Robinson ed uscì.
* * *
La tensione interna da lungo tempo repressa gli contraeva il volto magro in una smorfia dolorosa. Negli occhi febbrili brillava una volontà allucinata. Il corpo era scosso da un incontenibile fremito nervoso. “Il dado è tratto” mormorò tra sé. E cominciò ad attuare un piano studiato da tempo in ogni dettaglio.
Anzitutto mise in opera una tecnica che lui stesso aveva escogitato per eludere i controlli telepatici. Da tempo si era allenato ad usare in modo indipendente i due emisferi cerebrali; uno di essi elaborava il flusso “ufficiale” dei suoi pensieri, mentre l’altro lavorava indipendentemente su un livello estremamente basso di energia, per cui non poteva essere captato neppure a breve distanza.
Uscito dalla pensione, raggiunse il suo gravitron e si diresse verso Melbourne. In pochi minuti arrivò alla sede dell’Istituto di Telepatia ad Alte Energie, uno dei pochi laboratori su tutta la Terra dove si svolgevano, sotto il controllo del Consiglio di Sicurezza, esperimenti di telepatia di potenza. Entrò nell’edificio e si diresse con disinvoltura verso la portineria. Atha38 era venuto più volte all’Istituto quando ancora era a capo del Centro di Ingegneria Genetica; il robot di servizio lo riconobbe subito e lo salutò cordialmente e senza diffidenza. L’emisfero ufficiale del suo cervello non ispirava alcun sospetto e il robot non ebbe difficoltà a lasciarlo entrare per andare a trovare un suo antico collega.
Atha38 conosceva molto bene la pianta dell’edificio. Procedette spedito nei vari corridoi finché si trovò all’ingresso del laboratorio centrale. Durante le sue visite precedenti aveva avuto modo di annotare, nell’emisfero “privato”, il codice che l’accompagnatore inviava telepaticamente per aver accesso al laboratorio. Dopo un attimo di trepidazione si accorse che la chiave era ancora la stessa, e si ritrovò così sotto la grande cupola trasparente. A quell’ora, come previsto, nessuno lavorava là dentro. Si diresse rapidamente verso il centro del laboratorio e si assise alla consolle dell’irradiatore.
Con movimenti precisi infilò la testa nel risonatore e azionò l’interruttore della corrente neurale. Poi man mano cominciò ad inserire i circuiti di amplificazione telepatica. Un sudore freddo gli appiccicava il cranio al casco, mentre la testa sembrava esplodere per una insopportabile pressione interna.
Tutti i circuiti erano ora inseriti. Con uno sforzo estremo Atha38 azionò lo start. Il sangue rifluì di colpo tutto al cervello, ed ebbe la sensazione di esistere in quel momento solo come pensiero. Una intensa luce violacea gli emanò dal corpo e la sua figura si proiettò gigantesca sulle pareti della cupola mentre scandiva su tutti i canali telepatici:
“Da questo momento il progetto J ha la priorità assoluta. Chiunque si opporrà verrà esiliato dalla Terra.”
L’ordine raggiunse, sferzò e forzò tutte le coscienze sparse sulla Terra. E il progetto J ebbe via libera.
* * *
Tutte le energie del globo vennero organizzate, coordinate e convogliate in un unico fantastico sforzo. Moltitudini di automi, gigantesche macchine cibernetiche, la rete mondiale di calcolatori, le immense centrali nucleari sotterranee, tutto venne mobilitato per il Progetto.
Benché questo fosse nelle sue linee generali definito sulla carta, niente era mai stato provato. Si decise pertanto di attuare il piano in fasi successive. La prima fase doveva portare alla ottimizzazione delle soluzioni di base, da verificare mediante la realizzazione di un prototipo su piccola scala.
Ebbe inizio una attività febbrile. Un numero enorme di differenti spirali di DNA vennero simulate sui computer, provate, modificate. Milioni di differenti nuovi esseri dalle forme più strane vennero progettati, esaminati, scartati. Alla fine fu determinata la soluzione ottimale e si realizzò il modello di prova.
Era una molle sfera lattiginosa di circa un metro di diametro, composta di neuroni di nuovo tipo, tra loro tutti interconnessi. La sfera era contenuta in una specie di calice trasparente, dal cui stelo perveniva l’energia necessaria a sostenere il processo vitale. Per evitare che i delicati neuroni venissero schiacciati dal peso di quelli sovrastanti, tutto il volume era mantenuto in condizioni di gravità zero. L’essere era fatto di sola materia pensante; non aveva organi di moto né di senso né di altro genere. Ma non gli occorrevano. Infatti comunicava direttamente con l’uomo per via telepatica; poteva agire a distanza sulle cose mediante immateriali tentacoli telecinetici; e inoltre era in grado di indurre, con la sola forza del pensiero, complesse materializzazioni entro un vasto raggio.
Atha38 festeggiò l’avvenimento in modo eccentrico, brindando con uno strano liquido rosso contenuto in un originale recipiente che lui chiamava “fiasco di Chianti”. L’idea gli era venuta avendo letto una volta un polveroso libro del XX secolo in cui si descriveva l’esperimento con cui l’uomo - novello Prometeo - aveva liberato per la prima volta le forze dell’atomo. Il pioniere dell’epoca, un certo Fermi, aveva festeggiato l’evento coi suoi collaboratori appunto in quel modo.
Poi si ripartì per le fasi successive del piano.
* * *
Gli ultimi preparativi fervono in una atmosfera febbrile. Il luogo scelto per l’esperimento è un deserto detto del Sinai. Un monte maestoso, le nere rocce arse dal sole, domina solitario la distesa di sabbia. Sulla vetta del monte si staglia nel cielo una immensa sfera cangiante. Il sole sfavilla sulle pareti iridescenti, nel cui spessore miriadi di filamenti purpurei disegnano un fantastico arabesco.
Il count-down è ormai alla fine. Tutti gli impianti sono in funzione. I controlli si snocciolano regolari. La Terra vibra come per un enorme sospiro compresso. Infine, sul fondo della sfera qualcosa si muove. E’ una materia tremolante, gelatinosa, dai riflessi perlacei. Sale lentamente, aderendo alle pareti della sfera, distendendosi poi in una superficie leggermente convessa.
Cresce con continuità, a vista d’occhio... Cresce nella immensa culla che le è stata preparata. Cresce alimentata da tutte le energie della Terra. Adesso è come un piccolo lago. Tutta la massa viene ora attraversata da un brivido immenso. Si gonfia sempre più velocemente, sospinta ormai da una volontà propria... Cresce, protesa in uno spasimo gorgogliante, disperatamente, verso l’alto...
Ai piedi del monte, immobile, gli occhi abbacinati fissi sul globo sfavillante, Atha38 mormorava antiche, misteriose parole: Jehovah... Jehovah... Jehovah...(*)
* * *
Un puntino luminoso si accese per qualche istante laggiù in fondo alla Galassia, dalle parti del sistema solare. Un puntino tremulo, impercettibile tra la miriade di punti luminosi sparsi nel cielo. Nell’Universo imperturbabile non vi fu altra traccia della fine della Terra.
(*) Jehovah: in ebraico “Colui che è”. Dall’iniziale J, il nome del Progetto