Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Salvador Dalì (Figueres, Spagna, 1904 – 1989) - The language of birds

 

Il linguaggio degli uccelli (2)

di Vincenzo Rampolla

 

Come può il serpente conferire il dono di comprendere il linguaggio degli uccelli?

Secondo James G. Frazer, antropologo e storico delle religioni, la risposta si trova nelle credenze folkloristiche sull’origine del rettile; cita Democrito e Plinio che riporta che i serpenti sono generati dal sangue mescolato di diverse specie di uccelli. L’idea sorge forse dall’osservazione delle abitudini alimentari del serpente, che striscia nei nidi degli uccelli per mangiarne le uova: i serpenti sono parenti prossimi degli uccelli. E poiché si pensava che mangiare la carne di un essere vivente ne facesse assumere le qualità mentali, si ritenne che il serpente dovesse conoscere il linguaggio degli uccelli. Per questo chiunque mangi il serpente o ne assorba i fluidi, acquista a sua volta il potere di comprendere il linguaggio degli uccelli.

Mircea Eliade ha esplorato la pista della valenza sciamanica del potere di comprendere il linguaggio degli uccelli e di conseguenza del potere di vaticinare. Nella fase dell’iniziazione il futuro sciamano apprende, come rivelazione da un maestro o conquista personale, una lingua segreta che userà per comunicare con gli spiriti e gli animali-spiriti. Spesso questa lingua è un’imitazione di grida e versi di animali, dunque è un linguaggio degli animali o di uccelli. Ovunque nel mondo – scrive Eliade – imparare il linguaggio degli animali e, per primo, quello degli uccelli, equivale ad esser capaci di profetizzare.

Questa spiegazione è ben diversa da quella di Frazer. Per Eliade la lingua degli uccelli si apprende mangiando spesso carne di serpente e ciò in quanto il serpente è animale considerato magico e ritenuto capace di conoscere il futuro e quindi di rivelarlo, perché ricettacolo delle anime dei morti, quando non è una manifestazione della divinità. Imitarne la lingua o impararla equivale a comunicare con l’aldilà o con le potenze celesti.

Eliade aggiunge un prezioso indizio per approfondire il significato della lingua degli uccelli.

In parecchie tradizioni - dice - l’amicizia con gli animali e la comprensione della loro lingua portano a visioni e contemplazioni celestiali, richiami onirici dell’Eden. Nei tempi mitici, l’uomo viveva in pace con gli animali e comprendeva la loro lingua. Solo in seguito a una catastrofe primordiale, equivalente alla “caduta” della tradizione biblica, l’uomo si è ridotto a quello che è: mortale, condannato al lavoro per nutrirsi e in conflitto con gli animali.

Tra i testi dell’Antico Testamento vi è un apocrifo, risalente almeno al II secolo a.C., che fornisce forse la chiave per cogliere al significato primordiale del mito della lingua perduta. Si tratta del Libro dei Giubilei, che dà una singolare versione degli avvenimenti che vanno dalla creazione del mondo fino all’epoca di Mosè. Questa è la narrazione della cacciata di Adamo e Eva dall’Eden: E Adamo nel giorno in cui uscì dal giardino dell’Eden, per il bel profumo, bruciò, incenso, galbano, olio di mirra e spighe aromatiche all’alba, col sorgere del sole, nel giorno in cui coprì la propria intimità. E in quel giorno la bocca di tutte le fiere, degli animali e degli uccelli, di quelli che marciano e quelli che si muovono, smise di parlare poiché tutti prima avevano parlato l’un l’altro un sol labbro, una sola lingua.
Secondo la tradizione nel Libro dei Giubilei, prima della caduta esisteva una sola lingua, comune all’essere umano e agli animali. Con la cacciata dall’Eden e la perdita dell’innocenza, questo linguaggio svanisce, l’uomo e gli animali non comunicano più, non si intendono più. Gli animali hanno perso la favella o Adamo non comprende più quel linguaggio? Oltre al Libro dei Giubilei quest’idea viene ripresa da altre fonti, arricchendosi di nuovi particolari e interpretazioni. Così in Quaestiones in Genesim (I, 32) Filone di Alessandria esplora il passo della Genesi in cui il serpente, definito dal testo biblico la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore, parla direttamente ad Eva adulandola e inducendola a mangiare il frutto proibito e a condividerlo con Adamo. Come può il serpente parlare come gli uomini? si chiede Filone. Risposta. Il serpente parlava il linguaggio degli esseri umani perché all’inizio della creazione gli animali partecipavano del dono della parola, anche se l’uomo li sorpassava nella capacità di esprimersi “avendo una voce molto più chiara”; inoltre nel piano miracoloso della creazione il Signore aveva iniziato dalle creature inferiori; infine, le prime forme di vita erano indenni dal male, avevano sensi perfetti, capaci di cogliere tutti i linguaggi, privilegio cancellato con il peccato originale.

Sempre Filone nel De opificio mundi (LV, 156) afferma: Si dice che in tempi antichi il serpente velenoso, nato dalla terra, emettesse una voce umana e che un giorno, avvicinandosi alla donna… le rinfacciasse l’ottusità e l’eccessiva timidezza. Visione attestata anche da Giuseppe Flavio: A quell’epoca tutte le creature comunicavano con lo stesso linguaggio: il serpente, vivendo in compagnia di Adamo e di sua moglie, crebbe geloso delle benedizioni che supponeva destinate ad essi. E Flavio insiste: Dio adirato per la malvagità dimostrata da Adamo, tolse al serpente la voce e sulla sua lingua iniettò il veleno, lo dichiarò nemico degli uomini, lo sottopose ad essere ferito alla testa, essendo qui che l’uomo trova il proprio danno ed essendo qui che è più agevole ammazzarlo per colui che se ne vuole vendicare, lo privò dei piedi e dispose che strisciasse avvolgendo se stesso per terra. Fatto ribadito nella Genesi: Poiché hai fatto questo, sii tu maledetto… sul tuo ventre camminerai, come se prima della maledizione fosse munito di piedi e non strisciasse, secondo antichi commentatori.
Capire e parlare il linguaggio degli uccelli e degli animali in genere, in queste fonti di matrice ebraica, è dunque un dono legato all’esistenza nell’Eden e vanificato dal peccato originale. Che cosa si potrebbe confutare alle tradizioni magiche e esoteriche che hanno postulato la reintegrazione dell’essere allo stato di innocenza e di perfezione spirituale al culmine del percorso iniziatico e che hanno ideato che ciò comportasse il recupero del linguaggio perduto?

Si aggiunga che in ambito biblico-ebraico il mito del linguaggio perduto fu oggetto di speculazioni qabbalistiche. Si riteneva che la Torah assumesse forme diverse nel mondo celeste e in quello terrestre, e ci si interrogava sulla forma che avrebbe assunto in futuro o che aveva assunto nel giardino dell’Eden. Una tesi voleva che la Torah avesse preso il suo attuale significato a causa del peccato di Adamo, che le aveva “imposto” una forma “corporea”, diversa da quella “spirituale” originale. La Torah storica conteneva le stesse lettere dalla Torah dell’Eden, ma in una sequenza diversa, dunque con un diverso significato. Un’interpretazione molto particolare presupponeva che, al momento della creazione, le lettere dell’alfabeto ebraico fossero state impresse sulla fronte di Adamo, ma con la cacciata dall’Eden l’ordine e il significato profondo fossero stati alterati: dopo la caduta il linguaggio è cambiato e quello dell’Eden diviene incompatibile con la lingua corrente.

Ripercorrendo il Corano si scopre che al linguaggio degli uccelli veniva attribuita una forma arcana di sapienza. È detto nella Sura XXVII (Sura delle formiche), in cui Salomone, succeduto a Davide, nel momento di chiamare a raccolta in sua presenza dèmoni, uomini e uccelli, esclama: O uomini, ci è stato insegnato il linguaggio degli uccelli e ci è stata data abbondanza di ogni cosa. Come spiegare il fatto? In prima analisi, nell’humus della cultura ebraica antecedente il Corano, in chiave odierna facendo appello alle opere di Louis Ginzberg (1873-1953), studioso ebreo di origine lituana emigrato negli Usa e docente al Jewish Theological Seminary. Nell’opera The legends of the Jews, ha raccolto centinaia di leggende e storie tratte dalla letteratura religiosa ebraica, alcune ispirate alla saggezza di Salomone, così grande che perfino gli animali gli sottomettevano le loro controversie. La conoscenza del linguaggio degli uccelli è oggetto di numerose fiabe e racconti popolari di mezzo mondo in cui molto si parla del rischio della conoscenza del linguaggio degli uccelli e del suo carattere profetico. Il mito del linguaggio segreto degli animali e del pericolo di morte in cui incorre chi viola quel segreto, è stato trasmesso al folklore di mezza Europa attraverso la cultura degli ebrei della diaspora.

È il momento di fare appello a Filostrato. Nell’opera La vita di Apollonio di Tiana (inizio III sec.d.C.), esalta la sapienza grazie alla quale [Apollonio] giunse a comprendere il linguaggio degli animali, secondo il modo degli Arabi. È infatti diffusa tra gli Arabi la capacità di capire gli uccelli, che danno vaticini al pari degli oracoli e comprendono le voci degli esseri privi di parola [cibandosi secondo alcuni del cuore dei serpenti, secondo altri del fegato].
Va detto che nella mistica islamica medievale la conoscenza della lingua degli uccelli ricorre come forma di sapienza esoterica. Secondo A.Bausani (massimo storico islamista italiano) nell’Islam esistono un linguaggio corrente e una lingua sacra, costituita dall’arabo classico del Corano. È all’arabo classico che gli ambienti ortodossi dell’Islam alludono talvolta come lingua del Paradiso. Per i circoli mistici e esoterici dell’Islam esiste anche la tradizione di una terza lingua, segreta e esoterica, che reca in sé un potere quasi magico. È la lingua degli uccelli, quella citata dal Corano nella Sura della formica cui fa eco il poeta mistico Rûmî: O uccello, parla la lingua degli uccelli; io posso capire la sua cifra segreta.

Il Verbo degli uccelli, opera del poeta persiano Farid ad-din ‘Attar (morto circa nel 1234) appartiene a un popolo di volatili che, riunito in assemblea, decide di scegliere come proprio re il mitico uccello Simurgh, il cosiddetto Trenta uccelli. In centomila si mettono in viaggio per raggiungere la corte di Simurgh. Il percorso è lungo e insidioso e si snoda attraverso sette valli. Alla fine solo trenta uccelli raggiungono la meta. L’allegoria rispecchia il viaggio dell’anima alla ricerca della divinità (Simurgh) attraverso le sette tappe (valli) della via mistica. Molti partono per la loro ricerca interiore, solo pochi eletti riescono nell’impresa.

Nel chiudere questa analisi del mito del linguaggio degli uccelli, nella sua accezione più genuina, antica e diffusa esso appare intimamente legato al simbolismo del serpente, il cui sangue, carne o effluvi, assorbiti volontariamente, come in alcuni riti sciamanici, o per caso, come con il drago Fafnir o il serpente di Tiresia, concedono la comprensione del linguaggio segreto della Natura e nella maggior parte dei casi, il dono della profezia.

Nel Libro dei Giubilei si assiste alla mutazione del mito della lingua degli uccelli in mito della lingua dell’Eden e alla seduzione di un serpente all’origine della sua perdita. Nel profondo, rimane forse viva la memoria ancestrale di un’esperienza dello spirito concreta e reale, in cui l’aprirsi alla dimensione del sacro in uno stato di trance magico-mistica era vissuta come uscita di soccorso verso uno stato di innocenza assoluta e di dialogo con ogni essere vivente, uomini e animali.  

(consultazione:   vedi articolo precedente)

 

 

Inserito il:13/04/2021 11:05:01
Ultimo aggiornamento:13/04/2021 11:11:36
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