Edward Benjamin Herberte (British, 1857-1893) - Edmund Wilson Driving His Tandem
Scrivere in tandem - In tandem, pedala!
di Giorgio Cortese e Cesare Verlucca
Inizio questa riflessione partendo dalla parola tandem, che arriva dall’inglese ed è introdotta nella nostra lingua dal francese. La parola evoca subito un tipo di bicicletta per due persone, sul cui telaio sono sistemati due sellini, uno dietro l’altro; due manubrî, di cui solo il primo è di direzione mentre l’altro è fisso; e due pedaliere, azionanti ognuna una catena di trasmissione.
In origine il lemma tandem era il nome di un tipo di carrozza leggera, tirata da due cavalli, uno davanti all’altro. Forse la voce derivava dall’alterazione semantica dell’avverbio latino tandem, “finalmente”, che in inglese viene tradotto con la locuzione at length, che significa sia alla lunga o alla fine, che in tutta la lunghezza. Ma il termine evoca altresì due persone che collaborano strettamente, dividendosi il lavoro e la responsabilità di quanto producono.
Scrivere non è facile, ma scrivere a quattro mani equivale a muovere una guerra, dove mappe e piani non bastano mai; dove si deve difendere il tempo scegliendo il titolo di cosa si deve scrivere, che diviene sicuro avamposto da cui ripartire.
Pedalando su fiumi di parole, scalando colline di vocaboli e scendendo verso pianure di dizioni, stando sempre attenti alle buche create dal computer che a volte distorce quanto si voleva scrivere, e poi insieme scattare verso i gran premi della montagna del racconto, alla ricerca di traguardi volanti ma appaganti.
Nel tandem di scrittura l’esperienza e la capacità fanno di Cesare il capitano ideale che mi sprona di continuo con: «Dai Giorgio, non dormire negli zoccoli, pedala!».
Ebbene sì, bisogna ammetterlo; scrivere in coppia è appagante, in presenza di una regia interattiva che si adatta alle reciproche idee: specialmente prendendo atto che scrivere a più mani è sempre appagante perché i processi riflessivi non sono soltanto interiori, ma sociali.
Nello scrivere in tandem si può sentire la consonanza produttiva, l’emozione dell’intesa e della compresenza anche se siamo in luoghi fisici diversi.
Ricordo una frase di Cesare, che mi torna spesso in mente.
Di fronte a un prato in odor di primavera, stavamo guardando silenti l’ampia distesa verde in cui cominciavano a intravedersi macchie di aspiranti margherite.
«Vedi, Giorgio: qui siamo all’inizio di un mondo che sta per nascere: tra poco quest’ampia distesa si coprirà di pratoline come pensieri dell’universo. Ebbene il mio cervello è come questo prato, pieno di quantità di idee che non riuscirò a portare a compimento, parendomi il mio, un tempo decisamente sprecato.
Ed è in quell’occasione che Cesare mi ha proposto l’attuale collaborazione, che mi auguro continui a produrre quei risultati che non riesco per ora a descrivere a tutte lettere; ma un fatto è certo: io ho provato tre emozioni.
La prima è quella dell’incredulità, parola di origine latina che significa accettare per vero qualcosa. Ecco, questa è la prima parola che userei per descrivere quello che è successo e che non avrei mai pensato potesse succedere. Non riuscire a crederci, non riuscire a pensare che una rivoluzione così totale sia potuta accadere in meno di una settimana.
La seconda parola è rivoluzione, sempre lemma di origine latina che significa rivolgimento.
Con la proposta dell’amico Cesare, tutto il mio ragionamento nei racconti si rivoluziona, perché non sono solo e adesso siamo in due che si integrano con l’uso indispensabile delle tecnologie.
La terza ed ultima parola è stata flessibilità, che significa la proprietà o la caratteristica di essere flessibile, facilità a piegarsi e, in senso figurato, a variare, a modificarsi, ad adattarsi a situazioni o condizioni diverse.
Penso che non serva aggiungere altro perché l’etimologia basta a sé stessa.
Ritengo che scrivere in tandem poi non sia solo scrivere: ma sia altresì parlare, discutere, confrontare punti di vista e idee. Immaginare e raffinare parlandoci, affinare via via i brevi racconti.
Scrivere è condividere la fatica come nel tandem ciclistico, lasciandosi catturare dai contenuti, ma anche immergendosi nelle realtà che accoglieranno le vicende da narrare.
Scrivere, dopo ogni racconto, è scambiarsi le parti, rivedere il lavoro altrui, fondere e confondere gli apporti. Uno scambio di parti, non solo rivedere funzionalmente il lavoro dell’altro, ma riprenderlo, riconsiderarlo, rielaborarlo.
Riprendo a scrivere stando attento a non sporcare il testo con parole contorte che non si fanno capire, sorreggendomi con l’altro autore e consapevole che abuso sempre della grande pazienza di Cesare che prima o poi mi fulminerà come la famosa invettiva di Cicerone: «Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?».
Ed io pedalo cercando di evitare l’errore sesquipedale, una parola lunga tanto da coprire un piede e mezzo, quando nello scrivere certi termini risultano pesanti e ampollosi, esagerati fuori di misura.
Pensate che la parola che deriva dal latino sesquipedalis, composto da sesqui contrazione di semisque, mezzo in più e pedalis piede. Da qui, probabilmente, l’estensione semantica di sesquipedale a grande, enorme, smisurato, e anche grossolano, gonfio, dozzinale, madornale. Pedalo in tandem per un viaggio che arricchisce, insegna come la bicicletta un'amica fedele che può condurci ovunque noi desideriamo, una maestra di vita.
Concludo che viaggiare in tandem con Cesare è un'emozione forte e le difficoltà e la fatica non mi scoraggiano e non mi inquietano, seguo la strada delle parole su per le ardue salite delle locuzioni e giù per i racconti con attenzione al congiuntivo, sempre seguendo le emozioni che rendono la vita degna di essere vissuta.