Charles Luna (from Fort Collins, CO - United States) - Common Ground
Analfabetismo di ritorno (2)
di Verlucca & Cortese
Prigionieri o padroni della tecnologia
Oggigiorno la società in cui viviamo è sempre più tecnologica e la nostra vita ne è, di conseguenza, sempre più influenzata. Insomma, l’elettronica domina sempre di più la nostra vita quotidiana e pare onnipresente.
Nel prossimo futuro i microprocessori potrebbero invadere anche la nostra vita privata, entrare ancora di più ad esempio nelle cucine, nascondersi negli abiti che indossiamo e aiutarci a vivere più a lungo. Sicuramente in alcuni campi le nuove tecnologie porteranno progresso e benessere. In altri è d’obbligo la prudenza.
Gli effetti negativi della tecnologia sugli esseri umani e sull’ambiente non sono infatti ancora chiari. Per quanto riguarda l’utilizzo della tecnologia in campo medico si aprono grandi possibilità: i malati cronici potrebbero beneficiare di una sorveglianza a distanza; la chirurgia sarebbe meno invasiva e i microchip potrebbero in futuro ridare la vista ai ciechi e l’udito ai sordi. A livello generale aumenterebbe la mobilità e la flessibilità delle persone che, grazie ai computer portatili, sarebbero “ovunque” in ufficio.
Negli ultimi trent’anni l’evoluzione tecnologica va sempre più in fretta: quello che era innovativo appena ieri oggi rischia di essere superato da una ulteriore innovazione: sarebbe praticamente come morire prima di nascere.
Questo continuo progresso lo si potrebbe paragonare a quando una persona si affaccia al finestrino di un treno ad alta velocità in corsa: il paesaggio che scorre appare sfocato, indefinibile e quando si cerca di mettere a fuoco un oggetto esterno, rimane solo una vaga sensazione dello stesso, un desiderio insoddisfatto di non aver potuto osservarlo più a fondo; ma purtroppo non c’è stato il tempo, troppo veloce era la corsa del treno.
È quasi impensabile affacciarsi nella memoria alla poesia carducciana Davanti a San Guido, che io a suo tempo avevo studiata a memoria e ancora adesso sono in grado di recitarla con più d’un filo di nostalgia:
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
van da San Guido in duplice filar,
quasi in corsa giganti giovinetti
mi balzarono incontro e mi guardar…
Ecco, si rimane perciò stupiti, come in uno stato di sogno, in cui la realtà scorre troppo veloce perché possa essere vissuta a fondo, e quello che si trova è una sensazione di disorientamento che viaggia nei nostri pensieri nell’odierno mondo accelerato, rime che danzan caròle nelle sinapsi, e svaniscono prima d’arrivare alla seconda strofa.
Oggi, piaccia o no, ci troviamo a vivere una fase di accelerazione, di transizione ad alta velocità: tutto va di corsa, dalla capacità di calcolo della tecnologia palmare, all’accessibilità istantanea di beni e informazioni; il ritmo del cambiamento sembra travolgere la tecnologia stessa che sta continuamente sostituendo le sue stesse creazioni con nuovi modelli e servizi come un novello Kronos (il più giovane dei Titani della mitologia greca, figlio di Urano (il Cielo) e di Gea (la Terra), secondo la Teogonia esiodea) che con ritmo incalzante divora, come nel mito greco, ciò che la tecnologia sforna ogni giorno come innovazione.
Se si scrive su un foglio di carta i progressi tecnologici e scientifici degli ultimi 500 anni, la maggior parte di tutti questi progressi, i più importanti, sono concentrati negli ultimi 50 anni, e poi negli ultimi decenni crescono in maniera esponenziale.
Ma noi, come esseri umani, abbiamo dei tempi di adattamento molto più lenti e lineari.
Ma più velocemente si introducono novità e cambiamenti, più rapidamente sono necessari adeguamenti alle norme sociali e politiche al fine di gestire correttamente le conseguenze e le ripercussioni delle innovazioni stesse. Purtroppo ciò non accade, anche a causa delle notevoli differenze di reattività della produzione tecnologica e della politica, così che trascorrono tempi lunghi durante i quali la nuova tecnologia, in assenza di regole, è libera di operare secondo condizioni d’uso autoreferenziali e scritte dai detentori della tecnologia stessa.
Come ci possiamo rendere conto ogni giorno, la tecnologia sta diventando un’appendice di noi stessi, talvolta utile, molte volte minacciosa.
Oggi non siamo più abituati a fidarci dell’umana memoria per ricordare i numeri di telefono, in quanto la nostra rubrica è ormai nelle nuvole, o meglio I Cloud (in italiano nuvola informatica) che indica un paradigma di erogazione di servizi offerti su richiesta da un fornitore a un cliente finale attraverso la rete internet (come l’archiviazione, l’elaborazione o la trasmissione dati), a partire da un insieme di risorse preesistenti, configurabili e disponibili in remoto.
Molti non comunicano più con le altre persone con la voce, ma con messaggi o emoticon di WhatsApp e a volte dei messaggi vocali.
L’accelerazione tecnologica modifica il nostro modo di interagire la nostra creatività, il nostro pensiero, la nostra vita sociale. Un tempo molto lontano, per accendere un fuoco, i primi esseri umani dovevano con forza battere sulle pietre per generare la scintilla. Se ci pensiamo bene la capacità di “addomesticare” il fuoco è stato uno degli elementi del successo per il genere umano, poiché consentì di cuocere i cibi, scaldarsi, tenere lontani i predatori e forgiare utensili metallici e armi. Poi, fortunatamente, arrivò l’accendino, quello che conosciamo oggi è nato nel 1933.
In un futuro molto prossimo forse, si arriverà al punto che gli accendini diranno a noi quando dovranno essere accesi. Arriveremo al paradosso che non avremo più macchine che assistono gli esseri umani, ma saremo noi poveri esseri umani che assisteremo le macchine.
Oggi abbiamo da una parte le generazioni che hanno vissuto nel mondo pre-digitale, il giurassico tecnologico, che hanno studiato le poesie a memoria, letto i libri cartacei, che sono assidui lettori di giornali cartacei e vissuto la loro adolescenza, giovinezza o maturità dove i ritmi di vita erano più lenti e il tempo pareva dilatato, e poi le nuove generazioni, ormai nativi digitali, che sono le più esposte alle conseguenze del ritmo accelerato, non avendo mai vissuto esperienze dirette con il mondo pre-digitale.
Quando fu inventato internet e le e-mail, si scoprì come comunicare più in fretta ed economicamente.
Mai prima d’ora abbiamo avuto così poco tempo per fare così tanto. Ma come recita un proverbio irlandese: “Dio ha fatto il tempo, ma l’uomo ha fatto la fretta”. Infatti, la tecnologia informatica consentì di realizzare complessi algoritmi di cifratura che permisero a tutti di comunicare altrettanto in fretta e in sicurezza tra loro, anche a gruppi criminali.
Così si studiarono computer più potenti per eseguire la decrittazione dei messaggi cifrati, ma questi computer più potenti consentirono anche di generare nuovi algoritmi di cifratura ancora più sicuri e non decifrabili. Perciò si studiarono macchine ancora più potenti per violare questi algoritmi, e così via, verso un’escalation senza fine che stritola i nostri umani tempi. E allora dobbiamo imparare oggi che il tempo non va misurato in giorni e mesi e anni, ma in trasformazioni.