Aggiornato al 08/10/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Amaan Ahmad (Hyderabad, Telangana, India) - Memento Mori

 

Digital death, mors tua vita mea (3)

(seguito)

di Vincenzo Rampolla

 

Strana storia la morte digitale. Nella pagina di Facebook c’è chi ancora continua a scrivere Buon Compleanno a amici defunti e un nipote passa il tempo a cambiare l’immagine del suo profilo con la nonna scomparsa. Molti si cimentano nel labirinto dell’oltretomba virtuale, spunto di business nella Digital Afterlife Industry (DAI), florido emblema di morte e lutto. Da tempo è aperto a chi sogna, inventa, traffica, rischia e in piena nebbia gli va di arrancare nella melma. C’è bisogno di regole chiare. Gli studiosi di etica sostengono che post mortem l’io digitale va trattato con la stessa dignità dei cadaveri. Che fare? Trattare le spoglie digitali degli spettri come se fossero reali resti umani? Sì, pontificano i filosofi etici dell'Oxford Internet Inst. su Nature Human Behaviour. I precetti in uso per le mostre nei musei e per i reperti archeologici andrebbero adottati per una gestione professionale dei resti digitali, trattandoli con pari dignità umana. Roba da sbellicarsi… regole sui resti di gente che manco sa cosa sia la digital death! E allora? Per un settore che trae profitto dal dolore e dalla carenza di regole resta la sola ovvietà: imporre norme etiche per impedire che gli altri, quelli in vita, vengano truffati o abbindolati.

Stampa e media internazionali annunciano che tra i job del futuro eccellerà il Digital Death Manager (DDM), il professionista del settore tanatologico (mortuario), di mestiere gestore di memorie e eredità digitali per vivi e morti. Milioni di fotografie, pensieri, scritte, immagini, lettere, film, storie, intimità, resti condivisi in modo confuso e sommario e custoditi nel web. A differenza degli oggetti fisici, esemplari unici, quindi rari, si parla di resti digitali esistenti in un illimitato numero di copie, posseduti da più persone, replicati, come reliquie di santi non soggetti a corruzione. Privi di password, dall’istante della morte rischiano di svanire per sempre. Ci tormentiamo per la fine che faranno i nostri beni materiali, in ugual modo perchè non farlo per i beni digitali. Qui la legislazione in materia non è affatto consolidata e arrivano le domande: che ne sarà del patrimonio digitale alla nostra morte? come si penserà a noi?

Può sembrare futuristico ma già oggi esistono servizi forniti da Eter9 e Eternime che si spingono oltre la gestione degli archivi digitali fino a proporre di ricostruire degli avatar sulla base delle informazioni condivise dagli utenti, veri e propri spettri che ricalcano la nostra personalità e con cui gli altri possono interagire. Altra domanda: in che misura queste repliche dei viventi possono considerarsi la continuazione della vita della persona? Materia di dibattito scientifico e filosofico, difficile forse avere oggi un responso. Prende la parola la Technology Review del MIT di Boston, Tempio universale del sapere antico e di quello digitale, prima università del pianeta, germe della cultura della vita nova, l’Istituzione che per prima ha investito in una startup nella digital death. Anni fa ci aveva pensato Google, seguito a ruota da Facebook. Oggi si parla di un vero e proprio testamento digitale per decidere cosa ne sarà da morti della nostra presenza online. Domanda. Chi si dovrà occupare dei nostri profili social, della posta elettronica, delle password, dei conti correnti, degli abbonamenti o dei pagamenti on line? Risposta: il DDM, professionista capace di accollarsi il ruolo di gestore della nostra identità digitale dopo la morte. Un nuovo lavoro: l’organizzatore dell’after life con tutte le relazioni pratiche, legali, commerciali e finanziarie. È così che continua in rete la nostra vita da morti e sui social network. Digital afterlife apre una nuova frontiera sul modo di pensare alla morte: i social network ci rendono eterni, danno vita a un’immagine di noi stessi che nel tempo rimane immortale, finché fattori esterni rilevanti non la modifichino. Fervono le attività commerciali, vogliono, ambiscono, azzardano, trafficano per divulgare e educare le persone a gestire con senno i resti digitali degli altri. Oltre a quelle già descritte, SafeBeyond emerge con la possibilità di creare videoclip da lasciare in eredità ai propri cari (un video standard di presentazione del progetto propone la situazione del padre di una bimba di otto/nove anni che, morto di malattia, prepara un audiovisivo con parlato che le sarà inviato ad esempio il giorno delle nozze). Modesto esempio di ambizione di primo livello. E c’è pure l’italiana eMemory, che offre spazi virtuali a chi vuole conservare foto e video particolari e ha un solido catalogo di servizi e dettagli sui prezzi. E le Agenzie di onoranze funebri? Anche loro scalpitano, molto negli Usa, con pacchetti per funerali in streaming e consulenza di gestione dell’archivio digitale. Le opportunità offerte adottano il nuovo marketing digitale diretto a sensibilizzare il cliente su problemi chiave: Come vuoi essere ricordato? Come gestire il patrimonio digitale con la stessa cura usata per quello per le persone?

Domanda. Ma finora la gente pur arrancando non se l’era sempre cavata da sola? Bisognava entrare nell’era digitale per inventare il DDM e rosicchiare lavoro a commercialisti, notai, avvocati, parenti e amici? Domanda ingenua… Riprendiamo il filo.

Continuiamo con altri esempi per affrontare le implicazioni etiche e strutturali del digital afterlife. La crescita annua del numero di profili morti su Facebook è stata stimata a 1,7 M solo negli Usa. Aziende come Eternime e Replika offrono livelli di servizi avanzati, chat online, basati sull’impronta digitale che sopravvive dopo la morte e danno ai congiunti lo spazio di rimanere in contatto con il defunto. In particolare l'app di Replika ha oltre 200.000 utenti mensili attivi e $11 M raccolti da investitori. Si tratta di un nuovo fenomeno, il vero e giusto mors tua, vita mea: apertura alle aziende di opportunità commerciali per monetizzare l'aldilà digitale degli utenti di Internet. Risultato: i loro interessi economici stanno pilotando la realtà dei morti online. Oltre a start-up che balbettano sulla morte digitale e investono con soluzioni base di “avvio”, come Afternote e Departing, saltano sul carro i giganti Facebook e Google. È prevista anche una varietà di servizi per gli esigenti, dagli avatar basati sull'AI avanzata ai depositi di password. Massima chiarezza sul business, nebbia su norme e etica.

Una mappa ragionata del settore DAI (Digital Afterlife Industry) individua 4 classi di aziende:

I servizi di gestione delle informazioni. Affrontano i problemi relativi alla gestione patrimoniale digitale che si verificano in caso di morte propria o di qualcun altro. Sono aziende tecnologicamente poco sofisticate e in genere si limitano a siglare un accordo digitale garantendo alla morte la trasmissione (o distruzione) delle risorse. Da un rapporto McAfee, società di sicurezza on line, si apprende che l'utente medio di Internet dà un valore di $ 37.000 alle proprie risorse digitali, chiaro indice di potenziale lucrosa attività in terra d’America.

I servizi di messaggistica postuma. Forniscono un servizio personalizzato. L'azienda tipica invia un'e-mail all'utente. In assenza di risposta innesca contatti con destinatari alternativi. I primi messaggi vengono spesso inviati gratuitamente e quasi ogni sito sollecita i propri utenti a passare a una forma di servizio premium per $ 10-50 all'anno.

I servizi commemorativi online. Danno uno spazio online per un individuo o un gruppo per ricordare e commemorare. I siti prevedono funzioni di comunicazione, per caricare foto, video e altri contenuti. Il servizio é praticamente monopolizzato da Facebook che da tempo si è accaparrata la quasi totalità dei clienti; generalmente gratuito è gestito da startup con circa 50.000 utenti con versione premium a pagamento, $ 10 per cliente e $400-450 all’anno.

I servizi di ricostruzione. Proposti da start-up giovani che usano i dati personali per dare vita a nuovi contenuti sulla base di dati passati e replicano il comportamento sociale del morto. Questa funzionalità non è ancora stata adottata dai big dell’High-tech. Eternime, startup dell’ MIT, conta circa 33.000 abbonati per le fasi di test e replica e vanta 0,5 M di utenti.

Di forte interesse è il caso di Hossein Rahnama, della Ryerson University di Toronto sviluppato con il Media Lab MIT. Lavora a una chatbot realizzata con dati personali. Il programma di AI costruisce una simulazione della storia digitale, traccia che la persona lascia nei social con e-mail, messaggi, tweet. Inseriti in reti neurali artificiali, modellate su quelle cerebrali, sanno generare la capacità di capire i modelli linguistici e di trattare nuovi dati, lo scopo è consentire allo stato virtuale-digitale della persona di continuare a vivere anche dopo la morte fisica. Poiché la rete neurale ha una propria capacità autonoma di pensare, l’entità digitale continua a evolversi e se progettata con modalità di eternità ampliata (sic! linguaggio del progettista) essa apprenderebbe a evolversi sviluppando nuovi rapporti interattivi. Si parla di una simulazione quasi perfetta del profilo del morto.

Domande pendenti. In che misura queste repliche dei viventi possono considerarsi la continuazione della vita della persona? È questo il modo voluto di pensare al morto? Cosa spinge la ricerca e il business a fingere e simulare il prolungamento della vita dopo la morte?

Continuiamo a chiedercelo e andiamo avanti. Senza risposte.

Le aziende ora viste adottano diverse modalità di business. Alcune usano uno schema iniziale gratuito e fanno poi fatturato con annunci mirati, altre offrono ricchi listini di prodotti, tutte condividono l'interesse a incassare dollari dalla morte online: gli archivi digitali sono fonte di profitto. I servizi di chat bot ad esempio vanno a ruba, rappresentano una variante del morto, addirittura quella che più intriga e massimizza le entrate. Il patrimonio digitale è risorsa e diventa forma di asset (fisso) nell'economia DAI. La capitalizzazione di resti digitali può diventare fonte di effetti di vastissima portata, è soprattutto un patrimonio che chiede lavoro umano per mantenersi produttivo. In altre parole, crescenti volumi di archivi digitali generano una crescente interazione online postuma; se venissero cancellati, che cosa renderebbe finanziariamente sostenibile, oltre che attraente, il costo dell’archiviazione e della gestione di milioni di profili morti? La crescita del business è la chiave per dare senso al business stesso, l’alternativa porterebbe a qualcosa vicino alla misera gestione di cimiteri pubblici. E se la scelta fosse quella di eliminare i profili, quale sarebbe il criterio di selezione? A chi dare la priorità? Domande, ancora domande, per ora senza risposta.

È di rilievo il progetto Elysium con una demo in 3D per selezionare i “modelli di morti” più adatti all’ambiente di realtà virtuale da costruire. Non si ricrea la versione più realistica del defunto, non vuole essere una specie di second life per il morto, ma è pensata come santuario virtuale, quasi fosse la visita on line di un cimitero. 1ª geniale fase marketing, l’interesse: non rifugiarsi o sotterrrarsi in uno spazio virtuale, ma decidere l'impostazione, il luogo o la persona preferita per entrare in un ambiente iperreale, il più realistico possibile; la versione finale avrà sempre un aspetto onirico, con effetti e luci ai confini dell'ambiente, da cui avatar del defunto emergeranno e si ritireranno, copie visive del reale. Fase 2ª, la seduzione: l’architetto vuole garantire che i tradizionali processi del dolore possano scattare prima che il progetto possa essere creato e reso definitivo dal cliente, distribuendo elementi di protezione emotiva e suscitando massima adesione inconscia. 3ª fase, il controllo: valutare la reazione dell’utente all'esperienza digitale. Il linguaggio del corpo può trasmettere molto alle persone e l'avatar del cliente può anche parlare, ma si sceglie una conversazione di base a senso unico, non un dialogo, pur se possibile. 4ª fase conclusiva: la decisione. Essenziali le foto del defunto per creare gli avatar curando le espressioni del viso e le scelte di abbigliamento. Per il prototipo, la parte di AI del progetto è limitata al controllo di testa, movimenti collo, occhi e battito delle palpebre. Raffinato marketing digitale.

Continua nel prossimo e ultimo articolo.

(consultazione: vedi articolo (1)

 

Inserito il:04/06/2020 15:06:43
Ultimo aggiornamento:06/06/2020 21:35:51
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