Aggiornato al 27/04/2024

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Voltaire

Forbidden City – Ming Dinasty

 

Civiltà d'Oriente: Cina (6)

(seguito)

di Mauro Lanzi

 

I Ming (1368-1644)

 

  

  La dinastia Ming incarna il periodo di massimo splendore della civiltà cinese, secondo alcuni storici la Cina dell’inizio del periodo Ming è stata la nazione più civile ed evoluta del suo tempo. Non si può negare però che questo, in parte, sia dovuto anche all’eredità dei periodi precedenti, dei Song e degli Yuan che avevano gettato le basi di un paese forte ed unito. Gli anni della dinastia Yuan seguenti la morte di Kubilay furono assai difficili per i mongoli: l’inflazione galoppante, nata dagli eccessi degli ultimi anni del grande imperatore, stava letteralmente divorando l’economia del paese, la corruzione e la tracotanza dei dominatori mongoli non più tenuti a freno da un forte potere centrale diveniva ogni giorno più insopportabile per i cinesi Han, che iniziarono a ribellarsi; la spinta veniva dal basso, dai contadini rovinati dalle tasse e da un periodo di disastrose inondazioni del fiume Giallo, dovute, secondo i cinesi alla mancata manutenzione da parte del governo Yuan di argini e canali. I mongoli, è risaputo, erano in numero molto inferiori ai cinesi e la vita sedentaria ne aveva fiaccato le qualità guerriere; così la rivolta popolare li respinse un po' alla volta verso le steppe della Mongolia.

  1. Hongwu

Come era avvenuto per la dinastia Han, il salvatore e fondatore della nuova dinastia venne dal nulla ovvero dalla classe contadina. Zhu Yuangzhang era un monaco mendicante: nato nel 1328, aveva trovato rifugio in un monastero buddhista, ma la carestia che imperversava nel paese lo costrinse ad uscire a mendicare: nel suo vagabondare finì per aggregarsi ad una delle tante bande di rivoltosi che percorrevano il paese, che era guidata da un suo parente, uno zio; alla morte dello zio, nel 1355, Zhu assunse il comando di questo esercito di straccioni, rivelando qualità militari ed organizzative inaspettate; di fronte alle sue bande i mongoli si ritiravano quasi senza combattere, dimodoché l’ex monaco buddhista riuscì nel 1368 ad impadronirsi di Pechino; due anni più tardi, l’ultimo imperatore Yuan morì a Karakorum, dove si era rifugiato e Zhu poté proclamarsi imperatore col nome di Hongwu (letteralmente “immensamente marziale”).

 Il nuovo inizio dei Ming partì, ovviamente, con una restaurazione: fu ristabilita l’ortodossia confuciana, con i militari sottoposti al potere dei civili, si tornò al sistema dei concorsi per la scelta della burocrazia imperiale, si riformò il diritto penale, revocando le pene con mutilazioni, fu rivisto l’intero sistema dell’amministrazione dello stato, fu elaborato un catasto generale della proprietà, che consentiva una tassazione più equa ed efficiente. Con Hongwu i contadini tornarono al centro della vita economica del paese; furono espropriate le tenute neofeudali che si erano formate con i mongoli, i latifondi furono confiscati, lottizzati e dati in affitto ai contadini, la schiavitù fu abolita; il governo favorì anche la crescita di comunità rurali autosufficienti per migliorare le condizioni di vita nei campi. La novità di gran lunga più importante fu l’adozione di una nuova qualità di riso, importata dall’Indocina che si dimostrò molto più resistente e proficua di quelle tradizionali, consentendo due raccolti l’anno. Grazie ad essa fu scongiurato il pericolo della fame, i contadini indipendenti divennero la classe dominante della società cinese.

Hongwu morì nel 1398, lasciando il trono al figlio maggiore Jongwen, che resistette solo quattro anni e fu poi destituito da usurpatore, che, come spesso accade con gli usurpatori, risultò essere un grandissimo sovrano, uno dei più splendidi di tutta la storia cinese.

  1. Yongle (1402-1424)

 L’ascesa al trono di Yongle fu il frutto di una faida familiare tra il fratello maggiore designato al trono e lo stesso Yongle, minore di età, ma superiore in sagacia tattica, che dopo quattro anni di guerra civile giunse a conquistare la capitale Nanchino.

 Salito al trono, la prima preoccupazione di Yongle fu di ripristinare l’economia, che aveva molto sofferto per le devastazioni causate dalla guerra; si preoccupò quindi di aiutare la produzione agricola, anche con opere di canalizzazione e con lo sviluppo della gelsicultura.  Altra causa di dissesto erano le ricorrenti incursioni dei mongoli, che pur non riuscendo a riconquistare la Cina, non rinunciavano a razziarla con frequenti incursioni, che raramente i cinesi erano in grado di controbattere; Yongle giudicò vergognosa questa situazione e condusse cinque grandi campagne militari contro la Mongolia, distruggendo quello che restava della dinastia Yuan; pur non riuscendo a trasformare la Mongolia in una provincia cinese, assicurò al suo paese un lungo periodo di tranquillità sulle frontiere a nord.

A Yongle si deve un’altra impresa di eccezionale portata, le sette grandi spedizioni navali di Zeng He. Zeng He, un ambizioso e geniale eunuco di etnia e religione musulmana, tra il 1405 ed il 1433, condusse la flotta cinese oltre il Mar della Cina, attraverso l’Oceano Indiano fino al Corno d’Africa: una delle sue spedizioni più importanti contava con 62 giunche e 28000 soldati, la più grande spedizione navale mai vista fino allora; le giunche di Zeng He disponevano di più piani (o ponti) sovrapposti, capaci di ospitare marinai, soldati, ma anche merci pregiate, seta, porcellane, spezie, ed i mercanti che erano i veri sostenitori delle spedizioni. Queste spedizioni non avevano fini di conquista, come le spedizioni dei paesi occidentali, ma ambivano ad espandere i commerci e le relazioni politiche, quasi ad affermare una supremazia del Paese su di una zona di influenza.

                         

Imbarcazione di Zeng He

 Ancora incerta è la reale portata di queste esplorazioni, che secondo uno studioso inglese avrebbero toccato anche Australia e Nuova Zelanda. Anche se queste tesi ci appaiono un po' troppo fantasiose, costituiscono uno dei momenti più affascinanti e meno conosciuti della storia cinese, ma ebbero vita breve perché già nella seconda metà del ‘400 gli imperatori iniziarono prima a limitare, poi a proibire le navigazioni oceaniche, con il pretesto di dover fronteggiare la rinnovata minaccia mongola e gli attacchi della pirateria giapponese: sembra viceversa che questa brusca inversione di rotta sia stata dovuta al riemergere delle correnti neo-confuciane, tornate in auge proprio con la prassi dei concorsi, che i Ming avevano reintrodotto, dopo la parentesi imposta dagli Yuan. Confucio infatti considera il commercio un’attività parassita, l’unica fonte di ricchezza era la terra, al limite l’artigianato: era ovvio quindi che la nuova classe dirigente, formatasi sui suoi testi, cercasse di bloccare, con successo, queste nuove iniziative.

Sotto i Ming la civiltà cinese conosce l’ultimo periodo di grande splendore, divenendo, secondo gli storici, lo stato più evoluto della terra. Si sviluppano economia e commercio, viene approntata una grande flotta con navi di stazza pari a 1500 tonnellate, si producono più di 100.000 tonnellate di ferro all’anno, mentre il vasto impiego della stampa a caratteri mobili consente la crescita culturale del paese; si sviluppano anche le arti, come testimoniato dalle magnifiche ceramiche di quest’epoca. Con i Ming la Cina raggiunge la più vasta estensione territoriale mai conseguita, grazie anche al potente esercito creato dal primo imperatore della dinastia, Hongwu, che introduce una serie di riforme che riportano il paese ai livelli di efficienza e benessere antecedenti alla dinastia Yuan. Abolisce, ad esempio, il predominio della casta militare, imposto dagli Yuan e riporta definitivamente in auge il sistema dei concorsi, per la selezione della burocrazia amministrativa. 

Al suo successore, Yongle, dobbiamo alcune delle più straordinarie opere di questo periodo, in primo luogo la “Città Proibita”; già gli Yuan avevano eretto una serie di padiglioni appena fuori le mura di Pechino (Bei Jin, capitale del nord). Yongle li fece distruggere, erigendo al loro posto, dal 1406 al 1420, i magnifici palazzi che diverranno la residenza di 24 imperatori delle dinastie Ming e Qing: si tratta di un insieme di 960 palazzi, divisi in 8707 camere, che coprono una superficie di 720.000 mq, il più grande complesso abitativo al mondo. La Città Proibita è circondata da mura alte 7,9 metri e spesse 8,62 m; oltre le mura corre un fossato profondo 6 m e largo 52: tradizionalmente la città è divisa in “Corte esterna” e corte “interna”; quest’ultima era la residenza dell’imperatore, mentre la Corte esterna era dedicata al cerimoniale e a funzioni di rappresentanza. Il “Palazzo della Suprema Armonia” e la sua splendida sala del trono, che ci accolgono all’ingresso, riempiono ancora oggi di stupore i visitatori.

Anche i Ming conobbero la stessa sorte dei loro predecessori; il malgoverno degli ultimi imperatori di questa dinastia generò disordini e rivolte, che portarono rapidamente al collasso il potere imperiale.

Con la fine dei Ming inizia il declino della civiltà cinese.

  1. Declino di una civiltà

 

Si è discusso a lungo circa le cause di un declino, che appare ancora oggi inspiegabile visto il livello di sviluppo raggiunto nel primo secolo di dominio della dinastia Ming, quando la Cina era divenuta, per concorde parere di tutti gli storici, lo stato più evoluto della terra. Certo, volendo fare un confronto, il declino della civiltà del Rinascimento in Italia fu ancora più rapido, ma qui le cause sono molto più evidenti, guerre, invasioni, Controriforma, spostamento delle rotte commerciali dal Mediterraneo all’Atlantico ed altro ancora.

Nulla di tutto ciò in Cina, non vi furono cause esterne, il declino della Cina è un fatto puramente endogeno. 

Determinante è il confronto con quanto accadde in quegli stessi anni in Europa. Giova ricordare che i secoli XVI e XVII segnarono il decisivo sviluppo della potenza degli stati europei, sviluppo trainato dall’imporsi di una nuova borghesia mercantile e capitalista; proprio il sorgere del capitalismo è la molla del progresso dell’occidente. Anche le guerre, frequenti e sanguinose non furono solo di ostacolo, ma promossero la creazione e l’adozione di nuovi armamenti, sempre più potenti e micidiali, che costituirono anche la premessa della superiorità politica e militare dell’Europa. Le grandi navi, irte di cannoni, capaci di abbattere ogni fortezza, erano il simbolo di questo strapotere. Se la superiorità in campo militare fu la chiave del nascente colonialismo dell’Occidente, la vera molla del progresso dell’Europa è da ricercare altrove, nell’intraprendenza mercantile ed imprenditoriale, nel gusto del rischio, nell’innovazione frutto di un pensiero libero da remore e preconcetti: tutti elementi che porteranno a metà settecento alla prima Rivoluzione Industriale, che proiettò le nazioni occidentali in una dimensione economica e culturale totalmente diversa.  

La Cina proprio in questo periodo sembra chiudersi in se stessa, in un isolamento più psicologico che materiale, perché i traffici continuano, le esportazioni conoscono un rapido incremento; è la convinzione di autosufficienza, l’autoreferenzialità che separano la Cina dal mondo occidentale, proprio mentre questo allunga il suo passo.

Si è detto che la debolezza, l’incapacità degli ultimi esponenti della dinastia Ming siano state tra le cause del declino; certamente in un sistema autocratico, fortemente accentrato, quale era il modello politico introdotto dai Ming, i problemi al vertice non possono che riflettersi negativamente su tutto il paese; questi problemi però si erano manifestati in diverse circostanze anche nel passato, il Paese era sempre stato capace di risorgere più forte di prima. Questa volta invece il declino continua inarrestabile, anche quando una nuova dinastia riesce ad arginare i disordini; evidentemente le cause erano diverse, in primo luogo il riaffermarsi dell’ortodossia confuciana a livello politico: la dialettica, che da sempre è la molla della civiltà occidentale, non è una componente del pensiero dominante in Cina, il fine per il seguace di Confucio è la ricerca dell’armonia nella società civile, che così si cristallizza nell’autoreferenzialità, rifiuta il confronto con il mondo esterno. La crescita di una borghesia mercantile, primo gradino dell’economia capitalista, non è ammessa dall’etica confuciana, che vede solo nel contadino il produttore di ricchezza, il mercante è un parassita. Così la civiltà più evoluta, avanzata e sofisticata del mondo si avvia al collasso.

Infine, il malgoverno e la corruzione imperanti negli ultimi anni della dinastia Ming ed i disordini che ne conseguono portano ancora una volta la Cina sotto una dinastia straniera, i Qing.

(Continua)

 

Inserito il:24/01/2021 17:14:58
Ultimo aggiornamento:02/02/2021 18:08:09
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