Vladimir Kuš (Mosca, 1965 - ) - The Thread of Life
Il filo della vita
di Gianni Di Quattro
Succede ad un certo punto del proprio percorso di vita. Succede che viene voglia di guardare la strada fatta. Succede che un evento imprevisto magari non favorevole esalta questa voglia di ripensare, di capire se si è capito tutto. Succede anche di guardarsi in giro per prendere coscienza di dove si è arrivati, per chiedersi chissà quanta strada ancora dobbiamo fare e come soprattutto possiamo approfittare dell’ultimo miglio. Succede di guardare gli amici, quelli che ci sono ancora e quelli che sono scomparsi e chiedersi dei tanti rimasti come stanno vivendo il nostro stesso momento.
Intanto, diventa evidente che tutta la vita è collegata da un filo, tipo quello che Arianna dette a Teseo per uscire dal labirinto, e di cui forse prima non ci si era resi completamente conto. Un filo che lega tutto, quello della coerenza naturale che è molto diversa dalla coerenza artificiale, quella cui ci si aggrappa per giustificare comportamenti e ideologie. La coerenza naturale è pensata spontaneamente e rappresenta un sistema, il frutto di come si è voluto e potuto costruire e interpretare la vita quando tutti o quasi i neuroni erano ancora presenti e in relazione all’ambiente che ci è capitato di vivere e alle persone che si ha avuto o meno la fortuna di avere sul proprio palcoscenico all’inizio del percorso.
Consente questa coerenza naturale di ritrovare gli stessi valori nelle idee e negli eventi della propria vita anche se tra loro completamente diversi. Infatti, è naturale che le idee cambino perché cambia la vita di continuo anche senza ricorrere ai concetti della impermanenza. Ed è interessante rendersi conto che quello che si è, non è altro che il prodotto di quello che si è costruito quando si avevano gli anni dell’avviamento alla vita.
Se si è data importanza alle idee, se si è voluto privilegiare il valore umano, l’amicizia e le relazioni tra persone, se si è voluto rincorrere la bellezza, se si è sempre voluto difendere le proprie idee, se si ha sempre avuto la coscienza dei propri limiti, ecco allora non si può recriminare se non si è raggiunto il successo economico o il prestigio di qualche incarico.
Certo, il panorama non sempre è splendido o colorato, si vedono tanti amici e tante persone rinchiuse nel proprio egoismo e nelle proprie paure, si vedono gli uomini che non si amano, si vedono le fatiche dei giovani per salire e si pensa alle proprie, si pensa alle diseguaglianze e si pensa come quasi tutti hanno bisogno di credere senza chiedersi se quello in cui credono è verosimile, come se il credere sia solo un bisogno irrefrenabile, un modo per consentire alla illusione di dare pace ai propri pensieri e di cui alcune persone e strutture nel mondo approfittano per costruire sistemi di potere.
Ripensare al proprio percorso significa dunque mettere a fuoco tutte le persone cui si è voluto bene e quelle che ancora oggi fanno compagnia al proprio andare, ricordare che ci sono stati momenti di grande felicità e tanti altri di benessere, prendere coscienza che non si è mai odiato anche quando ci si è imbattuti in persone che hanno sfoderato egoismo, cinismo e presunzione, non sempre si è riusciti a fare del bene, ma per incapacità e mai per partito preso o per ossequio a qualche ideologia.
Forse qualche volta capita di pensare che il proprio bilancio di vita può essere positivo, corretto e pieno di spunti umani, tuttavia non riesce ad equilibrare del tutto la fatica che si fa nel tratto finale come conseguenza di scelte e di valori più ideali che pratici, ma io penso che non ha importanza. Basta amare la vita, trovare rifugio nelle amicizie e nella umanità che si è costruita per capire la bellezza del proprio percorso. Per capire che è questo l’unico modo di lasciare questo mondo da uomini.