Leonardo Baigorria (from Venado Tuerto, Santa Fe, Argentina) - Red Five
La Olivetti vista con gli occhi di un dipendente - 11
di Rolando Argentero con Cesare Verlucca
Gli anni con Mauro Baldi
Nel corso di quei “pazzi” anni di Formula Uno sull’autobus della Olivetti (attrezzato con un salotto riservato per gli incontri con gli ospiti; una grande fotocopiatrice per la stampa dei risultati delle prove e delle corse e, soprattutto, una macchinetta per il caffè, meta di quasi tutti i giornalisti italiani e anche stranieri), si affacciò un giorno un giovane pilota italiano con una discreta carriera in Formula Uno.
Il suo nome era Mauro Baldi. Aveva alle spalle oltre una trentina di gare con l’Alfa e la Spirit, che prima aveva fatto parte della squadra Lancia guidata da Cesare Fiorio nel Mondiale Sport; vantava altresì un titolo nazionale in Formula 3 e varie vittorie in altre categorie. Voleva parlarmi.
Il signor Paolo Latella, l’autista che la società Vita aveva incaricato di seguire tutte le gare europee e che era diventato il mio compagno abituale in quell’ambiente, lo invitò ad accomodarsi e venne a cercarmi.
Chiacchierammo per una decina di minuti: cercava un “sedile”, in gergo voleva dire un posto per condurre l’auto in luogo di un altro pilota, soprattutto in un momento in cui Ecclestone non sembrava avere le idee molto chiare sul secondo pilota della Brabham. Sperava, probabilmente, nell’aiuto finanziario della Olivetti, o in un mio intervento presso qualcuno. Mi fece una buona impressione: rispetto ad altri suoi colleghi era ben educato, non pressante.
Mi parlò anche della sua famiglia: moglie e quattro figli; della casa a Reggio Emilia, della sua attività extra, quale rappresentante-venditore di automobili (e di cosa, se no?). Mi impegnai a verificare la situazione nel “circo” (così era chiamato l’ambiente nel quale vivevamo tutti) e di riferirgli.
Il primo cui ne accennai fu naturalmente Ecclestone.
«Bravo pilota, ma in F1 ora vogliono “carne” più fresca. Forse potrebbe esserci qualche possibilità per lui se va in porto il progetto del campionato endurance» (una gara di durata riservata ai grandi marchi di fama mondiale).
Glielo dissi, e poco dopo il progetto si realizzò. Venne contattato dal team Sauber – una squadra svizzera con sede nei pressi di Zurigo – che aveva un team manager come Max Welti. Mi chiese di accompagnarlo, in pratica di fargli da manager. Dissi di sì e partecipai alle trattative anche economiche sul suo compenso.
In squadra era benvoluto, i meccanici preparati, il motore (fornito dalla Mercedes) affidabile e potente; era giocoforza raggiungere le vittorie. In breve, il progetto vagheggiato da Ecclestone prese forma diventando un campionato mondiale con prove in Europa, Stati Uniti, Asia e con l’interesse delle televisioni. Le 24 Ore di Le Mans o quelle di Daytona e Sebring o ancora quelle di Fuji finirono sulle prime pagine dei quotidiani sportivi di tutto il mondo.
Era anche diventato un campionato mondiale marche per cui i colossi automobilistici investivano fior di milioni. Visto l’interesse pubblicitario che aveva assunto il campionato, anche la Peugeot entrò in gioco affidando la squadra a Jean Todt, che assorbì il gruppo dei piloti che erano prima in Mercedes.
Con Baldi c’erano il francese Jean Schlesser, il tedesco Joachim Mass, talvolta il francese Yannick Dalmas. Spesso toccava a me il compito di tenere a bada i diversi piloti (che restavano alla guida non più di due ore ciascuno) per evitare che insorgessero pericolosi screzi.
Nell’inverno del 1990, la città di Reggio Emilia festeggiò Mauro Baldi per i suoi successi e aprì le porte del Teatro Municipale ad amici e ospiti. Fui tra i fortunati e assistetti all’incontro tra il campione e Jean Todt (in seguito presidente della FIA, Federazione Internazionale dell’Automobilismo, che ha sede a Parigi) il quale gli propone di unirsi al team Peugeot. La società aveva un piano ambizioso e desiderava conquistare il mercato: cosa c’era di meglio che vincere il campionato mondiale marche?
Gli interessi dei due coincisero, Mauro me ne fece un cenno e, ovviamente, approvai. Per tre anni la Peugeot sarebbe stata la sua nuova casa; tuttavia, nel frattempo, per non farsi mancare nulla, Baldi trovò il tempo per frequenti scappate negli States dove partecipò alle gare di durata IMSA (International Motor Sport Association) con sede a Daytona Beach.
Infine, non contento, nel 1994 accettò l’invito di Max Welti, che lo conosceva bene, e andò a correre per la Porsche, di cui quest’ultimo era diventato direttore sportivo. Qui ebbe l’occasione di guidare una Dauer Porsche (che avrebbe preso parte alla 24 Ore di Le Mans, vinta con Dalmas e l’americano Hailwood), e di guidare una Porsche Turbo nel Campionato Turismo Americano, nel quale si classificò secondo.
Riconosciuto dagli esperti come un velocista, Baldi venne anche contattato nel 1985 dalla Ferrari – tramite Todt – per sviluppare la “barchetta” Ferrari 333 SP per le corse americane. In quella terra lontana vinse (in compagnia di Moretti, Theys e Luijendijk) la 24 Ore di Daytona, la 12 Ore di Sebring, e la 6 ore di Watkins Glen del 1998, realizzando per la prima volta nella storia delle corse americane la cosiddetta Triple Crown.
Con il team Doran, e in compagnia di Theys, Lienhard e Papis, rivinse nel 2002 la 24 Ore di Daytona; poi con Didier e Lienhard vinse nello stesso anno altre classiche americane: la Road Atlanta, in particolare, fu quella che più lo soddisfece per la caratteristica della pista, curvoni e chicanes veloci che ben si adattavano alle sue caratteristiche.
L’ultima gara infine, nel 2004, ebbe luogo a Mosport in Canada, a bordo di una Ferrari GT del suo amico Remo Ferri, locale concessionario della Ferrari in quell’area.
Poi, stranamente, le nostre strade si separarono e oggi nel 2021, a più di 15 anni di distanza non ho più notizie di lui: è la conferma che nel mondo dello sport tutto è aleatorio. Oggi si vince e si è eroi, domani si finisce nel dimenticatoio.