Aggiornato al 12/05/2025

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La Grande Muraglia Verde cinese e deserti mutati in foreste

di Vincenzo Rampolla

 

Nelle regioni desertiche del Gobi e del Taklamakan, a nord ovest di Pechino, lungo il confine con la Mongolia, da circa un anno la Cina ha messo in atto un'impresa faraonica dal costo di € 7Mld: fermare le sabbie che avanzano dal deserto verso la capitale Pechino. È un grandioso piano per combattere la desertificazione, trasformando terre aride in foreste e pascoli. Sui social media è recente un video che mostra i progressi della cosiddetta Grande Muraglia Verde, uno dei più grandi progetti ambientali del mondo. A novembre 2024, intorno al deserto del Taklamakan, noto come Mare della Morte, la Cina ha completato una cintura verde di 3.046 km nella regione autonoma del Sinkiang, tra Mongolia e Cina, il più grande deserto del Paese (1,3 Mkm²) e tra i più estesi al mondo, dopo il Sahara (8,6 Mkm²) e quello della Penisola arabica (2,3 Mkm²).

Il Governo ha progettato una vera e propria muraglia di alberi per contrastare la desertificazione; si tratta della più ampia foresta dell'Asia, con più di 300 milioni di alberi. Le dune, alte fino a 200 m, avanzano inesorabilmente di 20 metri all'anno dal deserto del Gobi verso sud, con una velocità tripla rispetto alla media del secolo precedente. Dal 1990 sabbia, siccità e cemento hanno distrutto 135.000 km² di macchia. La nuova foresta avrà una superficie di 250.000 km² e tenterà di proteggere Pechino dalle tempeste di vento da nord che molto spesso portano in città la sabbia del deserto. I giorni di vento nella capitale sono saliti da 136 a 178 all'anno e nel 2010 Pechino è stata raggiunta da 56 tempeste di sabbia.

Per chi respira l'aria della Città Proibita, negli ultimi decenni aria, sabbia, polveri sottili e emissioni del carbone usato per industrie e riscaldamenti hanno formato un cocktail mortale. Gli alberi serviranno anche a ricostruire un equilibrio ambientale ormai rotto, anche se si ignora per ora se il bosco resisterà nel tempo. Attualmente la fascia agricola che circonda Pechino negli ultimi 5 anni si è ridotta del 12% e milioni sono i contadini costretti ad abbandonare la loro terra, resa sterile da sabbia e veleni. Il sindaco ha invitato ogni abitante ad acquistare e piantare un albero seguendo il tracciato della Grande Muraglia, che scorre pochi chilometri oltre la periferia. Ognuno potrà far crescere la pianta preferita, alberi da frutto compresi; questo primo tratto di nuova foresta si chiamerà Bosco del millennio. Betulle e pioppi, faggi e abeti sono l'inizio dell’impresa e per garantire l'irrigazione delle piante, nel futuro saranno deviati 24 fiumi, a partire dal Fiume Giallo.

Il piano è inserito nel programma Three-North Shelterbelt Forest, e mira a combattere la desertificazione piantando milioni di alberi come salici rossi e saxaul, piccolo albero tipico delle steppe e creando una barriera naturale contro le tempeste di sabbia e i venti aridi che minacciano l’agricoltura nella regione dello Xinjiang. Nato nel 1978, questo titanico progetto di riforestazione si concluderà nel 2050 e prevede l’interramento di 100 Mld di alberi, rendendolo il più grande progetto di ingegneria ecologica del mondo. Rischi e perplessità non mancano.

Alcuni scienziati hanno sollevato preoccupazioni sulla sostenibilità di piantare alberi non nativi in regioni aride, adducendo rischi di malattie o impatti negativi sulla biodiversità locale. L’iniziativa rappresenta comunque un notevole passo nella lotta contro la desertificazione, sfida che investe il 27% del territorio cinese e influisce sulla vita di 400 M persone, 1,400 M la popolazione cinese.

La desertificazione, accelerata dal cambiamento climatico e da attività umane errate e inadatte, in tutto il mondo sta trasformando terre fertili in aridi deserti. Secondo un rapporto ONU, il 77,6% della superficie terrestre era più secco nel 2020 rispetto a 30 anni prima. In Europa, regioni come Spagna, Italia e Grecia potrebbero affrontare una crisi analoga entro questo secolo. Con sforzi concertati e innovazioni, possiamo affrontare questa crisi globale, ha dichiarato Nichole Barger dell’ONU, sottolineando che: la sfida non è la mancanza di soluzioni, ma di volontà politica.

Un recente studio condotto nel New Mexico ha fornito ai ricercatori dettagli sul come un'antica popolazione pre-colombiana avrebbe affrontato un fenomeno di desertificazione durato vari secoli. Se fosse realmente accaduto e verificato, e le probabilità sono ottimistiche, si toccherebbe con mano uno straordinario esempio d'ingegnosità umana. Domanda. Chi abitava le terre dell'odierno New Mexico, prima dell'arrivo di Cristoforo Colombo? Gli antichi Anasazi (in lingua navajo gli antichi nemici), popolo nativo del Nord America che visse, intorno al VII e XIV secolo. Le tracce archeologiche di questa cultura hanno portato gli studiosi a credere che essa iniziò a formarsi già intorno al 1500 a.C., con una vera e propria testimonianza intorno al X secolo, confermando un'incredibile capacità di adattamento della popolazione, per sopravvivere a lungo. Questo fattore è comprovato anche da un altro studio pubblicato su Scientific Reports dove viene spiegata la sorpresa degli studiosi di essere riusciti a trovare, anche per caso, ulteriori informazioni sugli Anasazi. Tutto inizia nel 2017, quando un team guidato dal paleoclimatologo Bogdan Onac decide di visitare El Malpais National Monument del New Mexico per raccogliere campioni di ghiaccio nel famoso tunnel di lava formatosi nel sito la Cava 29. Nei tubi generati da un'eruzione vulcanica con lava fluida si verifica il fenomeno curioso di arrivare a una temperatura prossima a 0°C, con la produzione di blocchi di ghiaccio che si depositano e conservano ogni cosa nella cava. Onac e i suoi colleghi in breve tempo hanno rilevato la massiccia presenza di depositi di carbone nelle piccole carote di ghiaccio, indice certo di presenza umana nel sito. Analizzando i resti, si è datato il periodo in cui esseri umani avrebbero potuto abitare nella cava: 150 - 950 d.C, arco di tempo che corrisponde perfettamente al periodo in cui il New Mexico era abitato dagli Anasazi e al lungo fenomeno di desertificazione che si instaurò in quell'era e si protrasse per 800 anni.

È plausibile pensare che quest'antica popolazione indigena, in un periodo di evidente difficoltà dovuta ai cambiamenti climatici, abbia deciso di sciogliere col fuoco parte del ghiaccio della Cava 29, o di tutto El Malpais National Monument, per ottenere acqua potabile quando iniziò a scarseggiare. Queste prove, per quanto affascinanti e rivoluzionarie sulla conoscenza della civiltà Anasazi, sono indiziarie e sommarie e non provano con assoluta certezza le ipotesi degli studiosi. Per questo il team si è lanciato alla ricerca di nuovi elementi prima che gli attuali cambiamenti climatici sciolgano del tutto il ghiaccio e si perda un importante tassello per comprendere la dimensione delle abilità mentali delle società pre-colombiane per cavarsela e restare in vita. L’analisi delle dune di sabbia e degli altopiani rocciosi del deserto del Sahara, negli studi sulla desertificazione del pianeta nel passato, potrebbero trarre in inganno, ipotizzando che fenomeni analoghi abbiano prodotto nel tempo situazioni confrontabili di siccità più o meno intensa.  Non è così. Secondo le conclusioni tratte da un’altra ricerca, alcuni scienziati hanno scoperto che la vasta striscia del Nord Africa ogni 21.000 anni ha ciclicamente registrato un periodo di arido deserto alternato a una foresta lussureggiante. L’ultimo periodo verde del Sahara si è verificato tra 15.000 e 5.000 anni fa, episodio giudicato eccezionale, mentre un ennesimo studio conferma che tra circa 10.000 anni la vegetazione tornerà a ricoprire la regione. La trasformazione ciclica del Sahara sembra essere causata dalla precessione orbitale della Terra che influisce sulla stagionalità e determina la quantità di energia ricevuta sul pianeta. Nei periodi caratterizzati da estati più calde nell’emisfero Nord, il monsone africano si rinforza e causa precipitazioni più copiose. Questo a sua volta provoca l’avanzata della vegetazione sul deserto.  La precessione è provocata dall’attrazione gravitazionale di Sole e Luna che nel tempo ha causato l’alterazione delle date dello zodiaco rispetto a quelle registrate dagli antichi. Questo movimento altera la vista dello zodiaco dalla Terra, facendo sembrare che le costellazioni traslino verso est. Sebbene lenta, la precessione fu scoperta ad occhio nudo da Ipparco di Nicea intorno al 150 a.C. Un riscontro diretto di questo fenomeno è rappresentato dall’equinozio di primavera, ovvero il primo giorno della stagione, che anticamente si trovava in Ariete e oggi, a partire dal 100 a.C. e fino all’anno 2700 d.C. è situato in Pesci.

Tra le molte ricerche sulle origini dei deserti, le trasformazioni del deserto in foresta potrebbero non essere avvenute durante le ere glaciali. I ricercatori ipotizzano che le vaste calotte glaciali presenti in quel periodo abbiano contribuito a raffreddare l'atmosfera, indebolendo i monsoni e incidendo sulla crescita delle piante.

La trasformazione ciclica del Nord Africa può avere avuto forti implicazioni sulla nostra storia.

Secondo Miikka Tallavaara, coautore di un recente saggio, la regione del Sahara è una sorta di cancello che controlla la dispersione delle specie tra l'Africa settentrionale e subsahariana, nonché all'interno e all'esterno del continente. La porta era aperta quando il Sahara era verde e chiusa quando prevalevano i deserti. La nostra capacità di modellare i periodi umidi del Nord Africa ci permette di comprendere gli spostamenti dei nostri antenati in Africa.

In uno dei luoghi più caldi del pianeta, tantissimo tempo fa, potrebbe esserci stato un grande oceano che avrebbe ospitato diverse creature, secondo una ricerca pubblicata su PLUS ONE e condotta dal Natural History Museum e dall'Università degli Studi di Roma La Sapienza.

Il pesce gatto e la tilapia (pesce del sud-est asiatico e America Centrale, introdotto poi in Africa), costituiscono gran parte dei resti animali scoperti nell'ambiente sahariano nella zona dei Tarakori. Per gran parte dell'Olocene medio e antico (10.200 - 4.650 anni fa), questa regione era umida, ricca di acqua e di vita, con insediamenti umani e fauna diversificata, il tutto ben documentato dai reperti fossili. Nel Fezzan, parte sud-ovest della Libia si trova la Tadrart Acacus, area montuosa del Sahara. Il sito è noto per la sua grande collezione di resti floreali, faunistici e di arte rupestre preistorica ritrovati in caverne e ripari sotto le rocce. Al suo interno, sono stati trovati anche i resti di pesci. Rappresentano l'80% dell'intero ritrovamento complessivo, che ammonta a 17.551 resti faunistici totali (il 19% di mammiferi). Dall’analisi dei resti, gli studiosi hanno scoperto che la quantità di pesci è diminuita nel tempo, suggerendo che gli abitanti di Takarkori si concentrarono gradualmente alla caccia e al bestiame. La percentuale di tilapia è diminuita notevolmente nel tempo, in favore della crescita del numero di pesci gatto, in grado di sopravvivere nelle acque poco ossigenate e a basso fondale. Questo cambiamento potrebbe essere legato all'ambiente diventato meno favorevole alla pesca con il crescere della siccità. Dichiarano i ricercatori: Questo studio rivela l'antica rete idrografica del Sahara e la sua connessione con il Nilo, fornendo dati chiave sui drammatici cambiamenti climatici che hanno dato vita al più grande deserto caldo del mondo.

Per chiudere questo lavoro, nato per conoscere le nuove tecniche per fronteggiare la desertificazione e sfociato nello studio degli stessi deserti e dell’alternarsi dei cicli di aree sabbiose incolte, zone forestali e spazi coperti dalle acque, manca una visita all'interno del Parco Nazionale delle Grotte del Mammoth, nello stato del Kentucky dove è stato scoperto un grosso teschio di squalo risalente a milioni di anni fa all'interno del più esteso sistema di caverne al mondo. Il parco è sotterraneo e formato da un complesso sistema di grotte, forse il più ampio al mondo esteso per circa 643 km. All'interno di queste caverne, incastonato in una parete rocciosa, è stato scoperto il teschio di una specie di squalo ormai estinto. Nonostante queste caverne siano ricche di reperti fossili di squali, ciò che dà valore alla scoperta, è che molte parti del cranio dello squalo sono rimaste conservate nella roccia. Le caverne sono cosparse di denti di squalo e i paleontologi del Maryland-National Capital Park and Planning Commission hanno trovato anche una mascella inferiore e una cartilagine destinata a formare una parte della calotta cranica. Secondo le prime ricostruzioni l’enorme animale di dimensione 3,5 - 4 metri era vissuto 330 M di anni fa in un mare profondo, luogo ideale per un carnivoro, destinato a diventare il più grande deserto del pianeta.

 

(consultazione: 12/2024 everyeye.it;  A.Fortino 12/2020 - Science News; F. Calogiuri, 09/2023;  S.Privitera 02/2020 phys.org; A.Spinola  02/2020 IFL Science;  f. Da Lio - agosto 2012)

 

Inserito il:11/05/2025 11:24:41
Ultimo aggiornamento:11/05/2025 19:04:07
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