Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Pablo Picasso (1881-1973) - Arlecchino con specchio, 1923

Trasformare un quadro d’autore in parole…

Arlecchino schiavo di due emozioni

di Simonetta Greganti Law

 

Come un fuoco d’artificio anche quel carnevale era chiassoso e sgargiante.

Era uscito in strada per vedere i costumi della festa ma già si sentiva stordito e fuori posto.

Tutti indossavano una maschera: vedeva abiti sfarzosi e il suo travestimento era altrettanto particolare e fuorviante. La sua anima inquieta infatti cercava in tutti i modi di farlo sembrare allegro per non stonare tra la gente.

Era il carnevale del 1923.  Alle spalle anni complicati con una tragica epidemia e venti di guerra, davanti solo un ignoto futuro.

Per l’occasione aveva scelto di essere Arlecchino ma non quello col vestito a losanghe colorate; di lui aveva mantenuto solo il cappello a due punte. 

Aveva invece optato per un costume da acrobata perché, proprio come al circo, si esibiva al pubblico lanciandosi nel tentativo di ricercare un equilibrio interiore presentando quella immagine di sé che non gli si addiceva.  “Ridi pagliaccio, vesti la giubba e la faccia infarina…Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto Ridi del duol che t’avvelena il cor! recita una vita che non ti appartiene”. 

Ci aveva provato! Era uscito in strada infilandosi un sorriso anche se gli stava molto stretto.

Aveva la gioia stampata sul viso e rideva spensierato simulando allegria ed euforia sebbene il suo animo fosse completamente angosciato. Voleva sembrare un’altra persona.

Qualcuno gli aveva gettato una manciata di coriandoli in pieno volto quasi come il lancio di un guanto medioevale pregno di sfida o di condanna. 

“Non possono avermi scoperto” pensò “la maschera mi avrà sicuramente protetto.  Sto sorridendo proprio come tutti gli altri, non credo sia possibile vedere dietro a questa schermatura”.

Cercò di non dare peso ai suoi dubbi e continuò a camminare senza un perché continuando a sorridere.  Invece il suo cuore, a pezzi e a terra, si confondeva con quel tappeto di coriandoli che tutti calpestavano.  

La folla l’aveva inghiottito e lo trascinava nel suo fluire come fa la corrente di un fiume in piena nel quale gli pareva di affogare.

A dispetto di quello che sentiva dentro il suo cuore continuava a sorridere e a far sembrare al mondo di essere felice.

Presto si accorse di non riuscire più a fingere e se ne tornò a casa. I suoi tentativi di dimenticare tutte le preoccupazioni furono vani.

Riflesso nello specchio vide l’altro se stesso ancora con quella espressione artificiale, quel ghigno beffardo tipico della maschera e comprese che il riso non gli si addiceva affatto.

“Come fa la gente a ridere quando nel mondo i problemi sono così tanti?

 “Ho provato ad essere un Arlecchino” disse guardandosi allo specchio.

“Non riesco ad apparire con un’immagine variopinta e spensierata.  Posso mostrarmi come Arlecchino solo per il demone sotterraneo a cui lo associavano gli antichi.  Sono l’Alichino dantesco, il diavolo del suo inferno letterario. 

Io sono un povero diavolo tormentato che non sa migliorare la sua situazione d’angoscia nonostante i tentativi. 

Anche la morte se ne va girando col suo macabro sorriso.

E’ molto difficile fare delle nostre vite un Carnevale incuranti del dì delle Ceneri che immancabilmente seguirà”.

 

Inserito il:27/02/2022 15:46:07
Ultimo aggiornamento:27/02/2022 15:54:38
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