Asger Jorn (Jutland, Danimarca,1914 – Arhus, 1973) – Stalingrad (1972)
Seconda guerra mondiale. Le grandi giornate - Stalingrado (03)
di Mauro Lanzi
3. Da Mosca a Stalingrado
3.1 La corsa agli Urali
L’inverno 1941/42 segnò uno stallo per entrambe le parti: il veto di Hitler ad una ritirata su vasta scala aveva probabilmente salvato l’esercito tedesco da una rotta disastrosa ( di tipo napoleonico, come disse lo stesso Hitler), esito assai probabile con il diffondersi di panico e confusione tra le truppe: i tedeschi avevano quindi effettuato limitati ripiegamenti, asserragliandosi nelle principali città da loro conquistate, come Novgorod, Charkov, Kursk, Smolensk ed altre ancora, lasciando scoperti vasti spazi tra queste piazzeforti, in cui si era incanalata la controffensiva di Zukov. La mancanza di una rete viaria adeguata giocò questa volta a favore dei tedeschi, rendendo inutile o velleitaria l’avanzata delle colonne russe, che non essendo adeguatamente sostenute dalle retrovie, si esponevano oltretutto alle micidiali sortite dei tedeschi, i quali invece potevano contare sul flusso di rifornimenti garantito dalla Luftwaffe. Il successo di questa intelligente strategia difensiva non poteva però nascondere il logoramento cui erano state sottoposte le unità tedesche sia della Wehrmacht che della Luftwaffe nei durissimi combattimenti dell’anno precedente, come in quel lunghissimo inverno. L’OKW (Stato Maggiore tedesco) aveva calcolato che ci sarebbe stato bisogno di rinforzi per oltre 800.000 uomini al fine di poter riprendere l’iniziativa sul fronte russo.
Lo stesso Stato Maggiore stimava che la capacità produttiva delle fabbriche sovietiche degli Urali potesse raggiungere i 300 pezzi del nuovo carro T34 (a lato) al mese.
Hitler di questi numeri non ne voleva sapere, come non voleva ascoltare l’opinione dei comandanti più esperti, che consigliavano un prudente accorciamento del fronte e per questo li aveva destituiti: i nuovi comandanti, alcuni dei quali si dimostreranno anche di grande valore, non osavano, come umanamente comprensibile, contraddire il capo che li aveva appena promossi. Con la primavera l’offensiva tedesca doveva riprendere; una strategia di contenimento era impensabile, a meno di non eseguire un robusto ripiegamento, occorreva quindi per Hitler tornare all’attacco: la strategia infine elaborata dallo stato maggiore tedesco prevedeva due avanzate sulle ali, la prima in direzione Leningrado, la seconda verso gli Urali. Già il fatto che si puntasse alla periferia anziché al centro era una confessione di debolezza; mentre l’attacco a Leningrado era giustificato, l’anno precedente l’assalto si era interrotto per un incomprensibile ordine di Hitler, l’apertura di un nuovo fronte ad est, sugli Urali sollevò non poche critiche ed obiezioni da parte dei generali tedeschi, che vedevano così disperse le loro già scarse risorse; Hitler fu irremovibile, gli Urali erano divenuti il suo nuovo obiettivo; argomentava che senza i pozzi petroliferi degli Urali la Germania non avrebbe potuto proseguire la guerra (cosa non vera, come si dimostrerà in seguito ), pensava anche di interrompere la produzione dell’industria bellica russa situata in quella regione, ma soprattutto non poteva accettare di restarsene inerte, voleva riprendere l’iniziativa.
Così furono creati due nuovi gruppi di armate, sul fronte Sud; il compito principale era stato assegnato al gruppo di armate “A” che avrebbe dovuto percorrere il corridoio compreso trai fiumi Don e Donec , conquistare Rostov, ed infine puntare rapidamente ai campi petroliferi degli Urali, Majkop, Grozni e Baku. Questa mossa esponeva evidentemente i tedeschi al rischio di un attacco sul fianco ad opera del grosso delle forze russe disposte più a nord: per bloccare questa contromossa, il gruppo di armate “B” avrebbe coperto l’avanzata dei colleghi a sud puntando su Stalingrado (6° Armata di Von Paulus).
Ad evitare un possibile accerchiamento delle armate di Stalingrado avrebbero provveduto i contingenti alleati, rumeni, ungheresi e, ahimé. italiani; a chi sollevava dubbi circa l’efficienza di queste truppe, Hitler ribatteva che si sarebbero attestate dietro il corso dei fiumi, Don e Volga, i quali avrebbero offerto loro una protezione sufficiente dagli attacchi russi.
Il paradosso, che scaturisce da questi piani, quindi, è che Stalingrado non era inizialmente l’obiettivo principale dell’offensiva tedesca, era parte di un’operazione di copertura!!
Fu per un imprevisto susseguirsi di circostanze che l’operazione secondaria divenne l’episodio centrale di tutta l’offensiva tedesca ed il punto di svolta della campagna di Russia.
I tedeschi aprono le operazioni il 7 maggio in Crimea, dove la loro offensiva si era arenata l’anno precedente; con una felice combinazione di attacchi aerei condotti dai loro bombardieri di picchiata e rapide avanzate delle formazioni corazzate, i tedeschi riuscirono a sfondare le difese russe, giungendo infine ad assalire all’inizio di giugno la fortezza di Sebastopoli, che cadde dopo un mese di strenui combattimenti (9 luglio); i russi così perdevano la loro base principale sul Mar Nero.
Un aiuto insperato ai piani tedeschi venne offerto dal comandante russo Timoschenko, che il 12 maggio lanciò quella che lui stesso definì “l’offensiva decisiva” contro la 6a armata di Von Paulus in direzione Charkov: si trattò di uno sforzo prematuro, condotto con risorse insufficienti contro posizioni fortemente presidiate; i russi riuscirono a penetrare a costo di ingenti perdite nelle difese tedesche, ma così si esposero, per mancanza di riserve adeguate alla controffensiva di Von Bock, che avanzando sui fianchi dello schieramento russo distrusse letteralmente due armate, limitando gravemente l’efficienza di altre due: in questo modo, i russi si trovarono a fronteggiare l’offensiva tedesca di giugno senza riserve.
La manovra tedesca si articolò in due fasi: il 28 giugno la quarta armata corazzata fa partire un potente attacco in direzione di Voronetz, che i russi si precipitano a coprire con il grosso delle loro forze per proteggere l’importane linea ferroviaria verso Mosca: ma Voronetz era solo un diversivo, i carri tedeschi si arrestano prima di entrare nella città: approfittando dello sbilanciamento delle forze russe, il gruppo di armate “A” lancia l’attacco principale, Von Kleist si infila nel corridoio compreso tra i fiumi Don e Donec e, travolte le deboli difese russe, percorre 400 km verso sud, giungendo in meno di un mese in vista di Rostov, che cade in mano tedesca dopo un breve assedio. Incoraggiato da questo successo, Kleist avanza rapidamente verso sud est e raggiunge il 9 agosto la località di Majkop, sede di importanti campi petroliferi; poi deve arrestarsi, sia per gli ostacoli naturali che incontra (catene montuose) sia per la carenza di rifornimenti, carburante in primo luogo. La resistenza dei russi, inoltre, si era fatta più accanita; centinaia di bombardieri erano stati trasferiti a Grosny, da dove si levavano in volo per attaccare le colonne tedesche, che per la rapidità della loro avanzata avevano rinunciato al trasporto di artiglierie contraeree. Altra mossa azzeccata dell’esercito russo fu l’impiego della cavalleria, arma antiquata, ma efficace impiegata alle spalle delle avanguardie tedesche, per ostacolare il flusso dei rifornimenti.
Kleist non desiste; malgrado una serie di insuccessi riportati nel tentativo di attraversare il fiume Terek, compie a fine ottobre lo sforzo decisivo per raggiungere Grozny e quindi Baku; trasferisce il baricentro dei suoi attacchi sulla destra del suo fronte e, con l’appoggio di tutta l’aviazione che era riuscito a radunare, sferra un attacco poderoso che conduce le avanguardie tedesche in vista del passo Darjal.
Gli obiettivi dell’offensiva tedesca sembravano ormai a portata di mano, quando i russi decidono, con perfetta scelta di tempo, di scatenare la loro controffensiva; una divisione di truppe da montagna rumene viene travolta, lasciando scoperto il fianco delle colonne corazzate Kleist, che deve ordinare ai suoi una precipitosa ritirata. Ottobre 1942 segna il limite massimo dell’avanzata tedesca sugli Urali: Grozny e Baku non furono mai raggiunte: intanto la situazione a nord, del gruppo di armate “B”, era divenuta assai critica.
Avevamo lasciato il gruppo di armare “B” a fine giugno, dopo il fallimento dell’iniziativa di Timoshenko, che aveva di fatto spianato la strada ai tedeschi: a questo punto occorreva mettere in atto la strategia di Hitler, raggiungere Stalingrado, compito assegnato alla 6° armata di Von Paulus.
Inizialmente Paulus è in grado di procedere speditamente, ma con il passare dei giorni le difficoltà aumentano, soprattutto per l’ostinata difesa attuata dai russi: l’aver abbandonato la strategia delle manovre a tenaglia, impiegata l’anno precedente, aveva reso più spedita l’avanzata tedesca, ma aveva anche ridotto il numero dei prigionieri nemici; i russi riuscivano a disimpegnarsi ed a creare nuove postazioni arretrando. Solo il 28 luglio le avanguardie di Paulus raggiungono la grande ansa del Don, a 55km dall’ansa del Volga su cui si trova Stalingrado.
A questo punto Stalin interviene personalmente nella vicenda; la conquista di Stalingrado da parte dei tedeschi appare un disastro da scongiurare in ogni modo, sia per il rischio di perdere le vitali risorse minerarie degli Urali, sia per l’importanza industriale di quel distretto, sia per i contraccolpi psicologici che la caduta di una città così importante, che oltretutto portava il suo nome, avrebbe avuto sul morale della nazione. Inutile dire che Hitler era animato da considerazioni esattamente simmetriche e la sua ostinazione cresceva con l’avvicinarsi dell’obiettivo, malgrado le difficoltà incontrate e la posizione sempre più critica delle sue truppe.
Stalin era riuscito a riunire sull’ansa tutte le riserve disponibili, dando filo da torcere ai tedeschi, che impiegano più di due settimane per superare il fiume; Hitler allora decide di rinforzare la spinta su Stalingrado e dirotta verso nord la 4° armata corazzata di Hoth , originariamente destinata a sud. Si crea così un vasto movimento a tenaglia che minaccia di soffocare la città: il momento più tragico per i russi si realizza il 23 agosto, quando la 16° divisione corazzata di Valentin Hube, il generale monco, riesce a superare il Volga, che in quel punto è largo 3 km, tagliando fuori la città dai rifornimenti provenienti dal nord del paese. Le avanguardie di Von Paulus entrano nei sobborghi della città, mentre la Luftwaffe inizia a martellare l’abitato; la drammaticità del momento è testimoniata dall’intervento personale di Stalin che parla con i comandanti in loco incitandoli alla resistenza ed al contrattacco e fa appello al popolo per galvanizzare gli animi. Infine trasferisce sul posto il suo migliore stratega, il generale Zukov, artefice del contrattacco nella zona di Mosca. Stalin impedisce anche l’evacuazione dei civili da Stalingrado, per non dare l’impressione di una resa, o anche per impiegarli in una disperata ultima resistenza.
La battaglia di Stalingrado entrava nella fase decisiva.