Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Claudette Allosio (Saint Martin d’Hères, France) – Concentration

 

Guarisce chi vuole (7)

(seguito)

di Cesare Verlucca

 

Tra il bene e il male

Ho sempre sostenuto che la razza umana abbia perso, nel volgere di secoli e millenni, una parte cospicua delle sue possibilità, e ho finalmente trovato un compagno di ventura in Charles M. Schulz, il mitico fumettista statunitense noto nel mondo intero per avere creato le strisce dei Peanuts, i fumetti più popolari di tutti i tempi.

Ringrazio pertanto Charlie Brown, il personaggio principe delle sue vignette, per avere affermato, prima di me e in mia vece, che “la vita è come una bicicletta con dieci velocità. La maggior parte degli uomini dispone di marce che non userà mai”.

Avete dei dubbi? Eppure, a qualcuno sono rimaste certe capacità che non sanno d’avere, e che salgono in superficie di tanto in tanto.

Vi è mai successo di pensare a una persona che dopo pochi minuti suona alla vostra porta di casa? O di ricevere una telefonata da chi in quel momento avevate intenzione di chiamare? Per me questo secondo caso è una norma, per cui stento a considerarla una semplice coincidenza.

Premonizioni? Ma esistono sia segni che sogni premonitori?

La spiegazione razionale lascia poco spazio ai dubbi: si tratterebbe di semplici coincidenze, per quanto inquietanti o intriganti possano essere.

Nel caso di sogni premonitori, quindi, l’evento sognato non sarebbe una visione premonitrice, ma una deduzione incosciente tratta dall’esperienza quotidiana; mentre, nel caso di segno premonitore, esso potrebbe essere causato da desideri inconsci, proiezioni di voglie inconsapevoli.

Ciò tutto acclarato, ne consegue che i segni premonitori forse esistono e forse no: ciascuno ha il diritto di scegliere e seguire il percorso preferito. Io, tuttavia, mi trovo alle prese con altri eventi dei quali mi piacerebbe conoscere l’origine.

Il fatto che siano in molti ad attribuirmi doti che non posseggo non mi stupisce neppure più, per cui finirò di pensare che qualche aura da me emani, anche se non so di dove provenga.

«Domani alle 10 ho un esame difficile all’università, (o una visita dall’oncologo, o un appuntamento col padrone di un’impresa che potrebbe anche assumermi…), – mi sono sentito più di una volta chiedere da questo o da quell’altro amico; ti spiacerebbe mandarmi un influsso positivo? Intorno alle 10, naturalmente…».

La cosa amena è che io, alle 10 del giorno appresso, gomiti sul piano della scrivania e testa appoggiata sul palmo delle due mani, penso all’amico in difficoltà a scuola, o in apprensione nell’anticamera del dottore, o titubante seduto a fior di chiappa davanti al padrone delle ferriere, sperando che a qualcosa servano i miei pensieri, e talvolta ci azzecco pure.

Sia chiaro: un fatto può accadere o non accadere e, secondo la legge dei grandi numeri, ho almeno il 50% di possibilità d’azzeccare l’esito positivo; quel 50% viene a ringraziarmi per avergli salvato la giornata, e comunica agli amici che gli ho portato bene. E la fama si instaura.

Cosa fareste voi? Io faccio la stessa cosa, nel senso che lascio l’acqua scendere a valle. Me lo diceva sempre mia madre, in quel suo largo patois pratiglionese: «Possa nin l’èua a l’ënsu». Non spingere l’acqua verso l’alto, tanto ti tracimerà tra le dita. E poiché io non spingo a mani nude l’acqua verso l’alto, le richieste sono continuate e continuano a pervenirmi.

Guardando infatti il problema da un diverso angolo visuale, siano o non siano efficienti gli influssi che mi chiedono di lanciare, qualcosa di indiscutibilmente positivo sorge nel richiedente: il pensiero di avere qualcuno che protegge le loro spalle, li fa essere, magari inconsciamente, più tranquilli e convinti, e il risultato non può che beneficiarne.

Questa è la cornice del quadro, ma in questa sede l’argomento che sto tentando di descrivere sono le malattie, gli incidenti e i modi eventuali per uscirne vivi o imparare a sopportarli e a conviverci: e qui non ho che l’imbarazzo della scelta.

C’è un accidente che mi è capitato una quantità di volte nelle circostanze più stravaganti: la perdita totale dell’udito, per la durata di qualche giorno o parecchie settimane, pur mantenendo sistematicamente in vita gli acufeni.

Cito un episodio tra i tanti.

Ero a Gerusalemme con il fotografo per seguire l’importante servizio fotografico destinato al volume Jerusalem 360°. La sera prima di ripartire per l’Italia, il fotografo ed io, accompagnati da padre Eugenio Alliata, francescano direttore del Museo della Flagellazione, eravamo saliti sul tetto della basilica omonima per realizzare l’immagine di un tramonto sulle case che costeggiano la Via Crucis. Spirava un vento gagliardo, proveniente dal vicino deserto, freddissimo malgrado fossimo vicini alla Pasqua, ed io, vestito più o meno estivo, mi ero preso in tempo reale un incredibile raffreddore.

Rientrato in aereo, non riuscivo a compensare, ma ero comunque arrivato a Ivrea.

Qualche giorno dopo, mia figlia Helena e la famiglia erano andati a passare le feste pasquali a Carloforte. Ero quindi solo in casa il mattino di Pasqua quando, mezzo addormentato, avevo avuto l’impressione che un telefono vibrasse: avvicinato il cellulare all’orecchio sinistro (quello che avrebbe dovuto sentire…), non captai il menomo suono. A quell’ora non poteva essere che mia figlia, che chiamava dalla Sardegna per farmi gli auguri e sincerarsi che stessi bene, com’era ed è tuttora abituata a fare quando non è a casa.

Forte di quella convinzione, dissi al telefono muto, come se fosse un interlocutore intelligente: «Helena, spero sia tu che chiami… ma chiunque tu sia ti comunico che ho la testa che mi gira, sono totalmente sordo ed è quindi inutile che tu mi risponda. Avverti qualcuno. Ciao».

Mi ero rimesso a letto attendendo l’ancora di salvataggio. Dopo una ventina di minuti era arrivato il dottor Sebastiano Patania, un carissimo amico, sempre a disposizione per ogni esigenza: essendo tra l’altro un medico dell’ospedale di Ivrea, mi aveva prontamente portato al Pronto Soccorso, fatto visitare e trasferire nella camera dove sarei rimasto alcuni giorni.

Avendo parenti e amici che mi venivano a trovare, mi ero attrezzato con un paio di bloc-notes: chi voleva chiedermi o comunicarmi qualcosa scriveva la richiesta, alla quale i primi giorni mi capitava di dare anch’io la risposta …per iscritto; poi mi ero reso conto che potevo rispondere a voce, perché i miei interlocutori erano in condizione di sentire perfettamente.

La diagnosi era stata poi formulata da un amico di lunga data, il professor Giorgio Aliprandi, massimo esperto di cartografia alpina e autore di richiamo della Priuli & Verlucca, editori, per la quale stava realizzando splendide opere poi diventate famose. Ma quello che per me contava di più, era che fosse un audiologo di chiara fama che non aveva avuto difficoltà a individuare un vasto versamento endotimpanico nell’orecchio medio: si trattava ora di farlo assorbire nel più breve tempo possibile, ma ci volle ben più d’un mese per rimetterlo a pristino...

 

(Continua)

 

Inserito il:25/05/2021 16:45:44
Ultimo aggiornamento:03/06/2021 12:17:52
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