Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Piatto in ceramica dipinto, regalato a Pietro Nenni dalle Manifatture Ceramiche Morroni Ivaldo 1958

 

Coppie politiche a confronto: Turati - Nenni (2)

di Tito Giraudo

 

(seguito)

Pietro Nenni

Pietro Nenni nasce in Romagna una generazione politica dopo quella di Filippo Turati; come a volte accadeva all’epoca, poté studiare grazie all’interessamento di una contessa in rapporti con la madre, orfano del padre saranno i preti in cerca di vocazioni a permettergli di studiare fino al diploma magistrale.

Nenni sceglierà tutt’altra strada iniziando a scrivere di politica e aderendo alla fede Repubblicana.

I repubblicani dell’epoca erano una galassia dalle più svariate posizioni: Mazzini non era certo un conservatore politicamente, tuttavia il suo obbiettivo fu principalmente l’abbattimento delle monarchie; pur aderendo in un primo tempo al socialismo europeo, se ne distaccò considerandolo probabilmente troppo divisivo per il raggiungimento degli obbiettivi repubblicani.

Naturalmente per Nenni fu importante anche il contesto romagnolo d’inizio novecento dove, oltre a quella socialista, esisteva una forte componente repubblicana molto impegnata; oggi rimane difficile capire le vere differenze tra i due Partiti, tanto è che dopo un esordio a suon di botte con il suo omologo socialista di Forlì, i due finirono in carcere per aver guidato una delle tante rivolte contadine diventando amici, addirittura Nenni sarà il padrino di battesimo della prima figlia del futuro Duce.

La sintonia politica con Mussolini proseguirà sul tema dell’interventismo. I repubblicani, a differenza dei socialisti, davano un diverso giudizio del Risorgimento; erano quindi più nazionalisti e irredentisti, non stupisce quindi Nenni quando aderì ai “Fasci di combattimento” promossi dal suo amico Benito.

Per un brevissimo periodo nel 19, Nenni guardò con simpatia anche alla nascita del Movimento fascista; se ne distaccò quando lo squadrismo agrario mostrò il suo volto violento al sevizio dei padroni delle terre e delle classi agiate.

Nel 21 Nenni considerò conclusa la sua esperienza repubblicana aderendo al Partito Socialista; essendo un ottimo e conosciuto giornalista, venne assunto dall’Avanti! che lo mandò corrispondente a Parigi. Diventò ben presto anche un ascoltato dirigente del Partito, le sue posizioni dell’epoca furono altalenanti: non seguì Turati dopo la cacciata dal Partito pur non essendo tra i fautori, tuttavia un anno dopo quando ci fu la proposta di fondere il PSI con il PCI si schierò per l’autonomismo, vinse la battaglia anche potendo sfruttare il credito che vantava tra i lettori del giornale.

Pietro Nenni fu un personaggio politico complesso: in quegli anni non era un riformista, il suo passato di agitatore rivoluzionario era ancora troppo recente e probabilmente l’amletismo di Turati lo lasciava perplesso, ad ogni buon conto è un impulsivo che ci abituerà alle giravolte politiche durante tutto l’arco della sua esistenza. Le sue posizioni anti fusioniste (con il PCI) saranno determinanti per preservare l’identità socialista.

Nel 1925,  Mussolini  scampò all’”affaire Matteotti” con la conseguente affermazione irreversibile del fascismo; Nenni caldeggiò il ritorno di Turati nel Partito e ci fu un congresso dove emersero tre posizioni: una anti fusionista, una fusionista ma fortemente massimalista, la terza, quella di Nenni, decisamente fusionista e per una sintesi politica tra i due partiti. Mozione che fu messa in minoranza, costandogli la Direzione dell’Avanti oltre alle cariche politiche.

Apparentemente queste posizioni possono sembrare contraddittorie, tuttavia a ben guardarle ebbero una loro logica, in quanto non era quello il tempo delle divisioni tra i socialisti.

Nenni e quasi tutti i dirigenti antifascisti, per sfuggire al carcere, al confine o anche solo alle botte, si rifugiarono in Francia; Turati, Pertini e molti altri li raggiungeranno l’anno dopo. Andò meno bene ad Antonio Gramsci che sarà arrestato finendo in galera.

Tra esuli non fu difficile il dialogo e in pratica la confluenza tra le due anime del socialismo: il PSI e il PSDLI di Treves e Salvemini; Turati nel frattempo era morto; dopo tante scissioni finalmente ci fu una riconciliazione, anche se non in Patria.  I comunisti erano in gran parte emigrati in Russia, alcuni persino prima della vera svolta dittatoriale del fascismo. Togliatti che all’epoca nel PCI non era certo il numero uno, ma il numero tre, solo grazie all’espulsione su ordine sovietico di Amedeo Bordiga (il vero fondatore del PCI, per non parlare di Angelo Tasca, il vero artefice dell’”Ordine Nuovo”) si trovava a Mosca, in quanto aveva sostituito Gramsci quale responsabile del PCI nel Comintern.

Nel 1936 ci fu il golpe spagnolo e la conseguente guerra civile che vide partecipare quasi tutti gli esuli politici.

La situazione economica e sociale in Spagna, in quel 1936, era molto simile a quella italiana di fine ottocento: un territorio economicamente disomogeneo, con Regioni sottosviluppate ed altre (Catalogna) in fase di industrializzazione, l’agricoltura dominata dal latifondo, un Partito Socialista d’impostazione marxista e rivoluzionaria, i Repubblicani Radicali, certo non propriamente moderati ma non marxisti i quali formarono, prima un loro Governo di breve durata, cui seguì: “il biennio nero”, un concentrato di violenze, da una parte e dall’altra degli schieramenti, come se in Italia “il biennio rosso” avesse visto in campo con i rossi anche lo squadrismo fascista dall’altra.

Con la costituzione del “Fronte popolare”, i socialisti e i radicali vinsero, per una manciata di voti le elezioni in una situazione di scontro frontale con la grande borghesia industriale, terriera e il clero. Ancora una volta quando la sinistra non è liberal democratica, si crea uno schieramento di destra di tipo reazionario, nel caso spagnolo inglobando pure la Chiesa e gran parte dell’esercito, cosa non da poco in un Paese eminentemente contadino e legato alle tradizioni. Non è la storia della guerra civile che seguì che voglio raccontare, bensì sviluppare considerazioni atte a comprendere certe scelte politiche e strategiche di Pietro Nenni che influenzeranno la sua azione negli anni a venire.

Intervennero nel conflitto, prima la Germania, poi l’Italia (soprattutto per compiacere Hitler), il tutto sotto gli occhi semi ciechi della Società delle nazioni e delle altre potenze europee, le sinistre ebbero solo il sostegno dell’Unione Sovietica; per altro Stalin, come suo costume in politica estera,  all’inizio si limitò a vendere le armi al Governo legittimo e, solo dopo che si creò un movimento internazionale in sostegno del fronte, si decise di sostenerlo apertamente e, secondo una prassi del dittatore, condizionandolo pesantemente. Togliatti che si trovava a Mosca per dirigere il Comintern fu catapultato in Spagna come longa manus di Stalin.

Nenni, che non era certo uno sprovveduto e che si trovava anche lui in Spagna come commissario di una brigata socialista, non si accorse di cosa stava avvenendo? Considerando che subito dopo la sconfitta del Fronte, Stalin fece quel capolavoro di cinico tatticismo che fu il patto di non belligeranza russo-tedesco?

Sono propenso a credere che dovendo fare una scelta di campo, e nella sua condizione di esule non si poteva andare troppo per il sottile, occorre dirlo, un’analisi obbiettiva sul dittatore sovietico sarebbe stata d’obbligo.

Quando Hitler violò il Patto occupando la Russia, subentrò un fenomeno di rimozione collettiva, Stalin diventò un alleato anche per gli anglo americani e solo di fronte all’espansionismo del dopo guerra tornerà ad essere un nemico pericoloso. Cosa si poteva pretendere da Nenni?

Nenni dopo la sconfitta spagnola rientrò in Francia e durante l’occupazione tedesca, con la famiglia lasciò Parigi per la più sicura provincia francese. Ciò non lo risparmiò dall’arresto; sarebbe finito nei lager, come poi avvenne alla figlia, se non fosse intervenuto l’accordo di estradizione con l’alleato italiano, fu quindi rimpatriato e confinato a Ponza. Mussolini ci mise una buona parola.....?

Dopo l’8 settembre i confinati politici rientrarono a Roma, quando i tedeschi la occuperanno con il resto dell’Italia centro meridionale, molti raggiungeranno le prime bande partigiane, altri come Nenni dirigeranno la Resistenza dalla Capitale. Tuttavia il fascismo non era morto, Mussolini liberato dai tedeschi dalla sua prigione del Gran Sasso, forse ob torto collo, diede vita alla Repubblica di Salò; fu il vero inizio della guerra civile che insanguinerà il Paese fino alla ritirata dei tedeschi e all’uccisione del Duce.

La Resistenza, nonostante l’apparente unità, fu percorsa da divisioni politiche tra le sinistre e le forze moderate e i militari rimasti fedeli al Re. Ma pure a sinistra non si stava bene, ogni partito organizzò le proprie brigate: i socialisti le brigate Matteotti,  i comunisti le brigate Garibaldi, persino il Partito d’Azione che erano quattro gatti ebbe la sua brigata partigiana. Ne parlo perché anche la Resistenza avrebbe dovuto far comprendere come i Comunisti, meglio organizzati e meglio equipaggiati (da Mosca), strategicamente pensavano al dopo, una tattica che riguarderà tutti i Paesi liberati dai nazisti. Nonostante ciò, i nodi non vennero al pettine. Nenni segretario del PSI portò avanti una politica sostanzialmente unitaria con il PCI. Le elezioni per la Costituente, le prime dopo il Fascismo, registrarono a sinistra la vittoria dei socialisti anche se il PCI, distanziato di poco, ottenne un risultato lusinghiero rispetto alle ultime libere (o quasi) elezioni, dove risultò elettoralmente marginale.

I primi Governi furono unitari, con Nenni e Togliatti ministri, così come sostanzialmente unitari, a parte i monarchici, i Partiti si presentarono al referendum: monarchia-repubblica. La Repubblica vinse per una manciata di voti e ciò avrebbe dovuto segnalare come l’Italia delle piazze non fosse quella reale del Paese. Infine ci fu l’inizio della guerra fredda, morto Roosevelt, gli americani furono molto meno disposti nei confronti dei sovietici, i quali stavano creando governi frontisti in tutti i paesi occupati, frontisti fintanto che faceva comodo, poiché il fine fu di instaurare regimi comunisti agli ordini di Stalin. Una politica imperiale alla faccia di Carletto (Marx).

Come abbiano potuto Nenni e gran parte della classe dirigente socialista scegliere la strada del fronte nelle elezioni del 1948, si spiega solo come tra la scelta occidentale e quella del comunismo sovietico, prevalse la solita scelta ideologica di chi, pur riformista, non abiurava il marxismo, era successo a Turati, successe pure a Nenni.

Non tutti i socialisti furono consenzienti, l’amico degli anni francesi, Giuseppe Saragat, diede battaglia per l’ennesima posizione autonomista: battaglia che perse e quindi ci fu la solita scissione. Nacque la prima socialdemocrazia italiana, per la verità dato il clima, gracile.

Le elezioni si svolsero con le sinistre fuori dal Governo, condizione che gli americani posero a De Gasperi. Si crearono due grandi schieramenti: quello democristiano che comprese anche forze della sinistra democratica: PRI e PSDI e la minoranza del Partito d’Azione oltre ai Liberali, mentre la maggioranza capitanata da Lombardi e De Martino, confluì nel PSI e nel Fronte Popolare.

Per il Fronte fu una debacle, prese il 30% dei voti mentre la Democrazia Cristiana sfiorò la maggioranza assoluta che invece conquistò come seggi. De Gasperi poté continuare a governare indisturbato e con il beneplacito degli ingenti aiuti americani. Dovrà in seguito lasciare perché entrò in conflitto con Papa Pacelli, una delle carte vincenti del 48. Ma questa è un’altra storia.

Nenni e il PSI ne uscirono pesti e con il consenso elettorale dimezzato, il PCI pur essendo stato strategicamente il grande sconfitto comunque divenne il primo  Partito della sinistra, dando inizio alla grande marcia che ne fece il maggior Partito Comunista dell’Europa occidentale.

Nenni, al congresso socialista del 48 perse la segreteria, che però riconquistò l’anno dopo tenendola ininterrottamente fino al 1963.

Nonostante la sconfitta del fronte, Nenni non cambiò di molto la rotta, il Partito fu contro il Patto Atlantico e persino il Piano Marshall ipotizzando un’astratta linea neutralista, ma sostanzialmente ribadendo la fedeltà a Stalin che nel 51 gli conferì il Premio Lenin. Questo sarà, a mio parere il punto più basso della parabola politica di Pietro Nenni.

L’uomo però ci aveva abituato ai cambiamenti repentini, ritirò il premio Lenin dalle mani di Stalin il quale l’anno dopo morirà aprendo una crepa, come già era avvenuto per la morte di Lenin tra le gerarchie sovietiche.

Nel 56 ci fu il rapporto segreto di Kruscev che nel frattempo era diventato Segretario del PCUS; Nenni, a differenza di Togliatti troppo legato allo stalinismo, annusò immediatamente il nuovo corso, decise di andare a trovare il suo ex amico Saragat a Pralognan sulle Alpi francesi dove era in vacanza, dando così il via alla sua ennesima battaglia autonomista.

Nel 57 fu aiutato dalla rivolta ungherese, dai carri armati russi e dalla insipienza di un PCI che difese l’URSS sostenendo che si trattava, non di rivoluzionari ma di controrivoluzionari, la cosa fu madornale poiché era evidente che anche gran parte dei comunisti ungheresi stavano con i rivoltosi, il segretario comunista ungherese sarà in seguito impiccato.

Tutto ciò consentì a Nenni di restituire il Premio Lenin, non solo, ma ci fu un travaso di voti dal PCI al PSI il quale raggiungerà un 14 % da record per gli anni che verranno, oltre il passaggio di numerosi intellettuali comunisti tra cui Antonio Giolitti nipote dell’uomo di Dronero.

Ancora una volta alle proposta nenniana di costituire  un’alleanza con i cattolici della DC, nacque un’agguerrita minoranza che fu definita “carrista”, dal momento che avevano avuto il coraggio di schierarsi a favore dell’URSS sui fatti di Ungheria.

Si preparava così la politica di Centro Sinistra e per la prima volta nella sua storia, la partecipazione dei socialisti ad un governo di coalizione.

Non posso per ragioni di spazio, fare la cronaca degli anni nenniani del Centro Sinistra, mi limiterò a fare una sintesi.

Il centro Sinistra degli anni 60, fu la cosa più importante del socialismo italiano. In una situazione bloccata dall’ancor presente guerra fredda e soprattutto dai ritardi del PCI di prendere atto che l’Italia era un Paese liberal, e con alleanze strategiche e militari con il mondo occidentale oltre la sudditanza, soprattutto ideologica con l’URSS.

Certo, i socialisti poterono approfittare di una congiuntura internazionale favorevole per la presenza contemporanea di: Giovanni XXIII, Kruscev e Kennedy, ma soprattutto del prevalere nella DC di Aldo Moro con le sue aperture a sinistra. Nenni colse l’occasione, anche se costò l’ennesima scissione e il muro contro muro con il PCI.

Il centro sinistra ebbe sostanzialmente tre fasi: la prima con i socialisti che diedero l’appoggio esterno ai governi Fanfani. Questa a mio parere fu la fase più proficua, anche per il decisionismo del toscano: la nazionalizzazione dell’industria elettrica, la scuola media unificata e l’elevamento dell’obbligo scolastico, la ritenuta sulle cedole azionarie e infine la legge sulla parità delle donne all’accesso degli impieghi pubblici, magistratura compresa.

Nel 64 i socialisti entrarono nel Governo, Nenni sarà Vice Presidente del Consiglio, al Governo ci saranno anche Repubblicani e Socialdemocratici. L’Avanti!  titolerà “Da Oggi ognuno è più libero”. Contemporaneamente i carristi usciranno dal partito fondando lo PSIUP.

Il centro Sinistra degli anni 60 presentò luci ed ombre: lo Statuto dei lavoratori, la politica di Piano, l’Autonomia regionale, l’inizio del Servizio Sanitario nazionale, le riforme più importanti accompagnate da un clima di rapporti e di concertazione con i sindacati che riconquistavano, soprattutto grazie ai sindacalisti socialisti e cattolici, quell’unità sindacale persa per gli eccessi comunisti dell’immediato dopo guerra.

Le ombre furono, da una parte la DC moderata che raccolse le pressioni conservatrici tentando di snaturare le riforme, dall’altra Riccardo Lombardi che reagì chiedendo l’uscita dal Governo nel caso queste non fossero state realizzate integralmente, posizione giacobina tipica degli ex azionisti (chi scrive, ahimé, fu convintamente lombardiano), non considerando che in un Governo di coalizione è normale mediare le posizioni. A questo si aggiunse un maldestro tentativo di colpo di Stato mai realizzato ma che servì a mettere in riga i socialisti e probabilmente anche Aldo Moro.

Pietro Nenni fu messo in minoranza da Francesco De Martino, un sonnacchioso ex azionista professore di diritto romano, fino alla conquista della segreteria da parte del Segretario dei socialisti milanesi, un certo Bettino Craxi, ma per lui occorre ben altro spazio. Questa sarà l’ultima vittoria del vecchio capo socialista che cederà lo scettro ad un suo fedelissimo.

 

Inserito il:09/05/2021 18:18:09
Ultimo aggiornamento:09/05/2021 19:01:17
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