Aggiornato al 11/12/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

 Alfredo Gauro Ambrosi (Roma, 1901 – Verona,1945) – Aeroritratto di Mussolini aviatore (1930)

 

Renzo de Felice: quando il revisionismo è ricerca storica

di Tito Giraudo

 

Citando Benedetto Croce “Io non la farò la storia del fascismo perché mi disgusta; però, certo, se la dovessi fare, direi che la dovrei fare in questo e questo modo” De Felice sostenne che era il contrario di come si faceva in quegli anni (e purtroppo sovente anche ora): “Insomma, continua De Felice, ero convinto che questa storia andava fatta in un altro modo, e che ciò fosse il compito delle nuove generazioni di storici, di quelli cioè che non avevano vissuto il fascismo in prima persona, o lo avevano vissuto come spettatori talmente giovani da non poter essere condizionati totalmente dalle passioni del tempo. Il fascismo andava rivisitato, ristudiato, col maggior distacco, con la maggior serenità critica possibile. Il fascismo, che io chiamo «fascismo storico» – come si è attuato fra il 1919 e il 1945 – è morto, ed è irresuscitabile. È una pagina chiusa, e proprio per questo è possibile studiarlo storicamente, con un metodo e una mentalità storici. Tu mi dirai che questo è un problema che riguarda gli storici. Ma c’era, e c’è tutt’ora, un problema molto più grosso: etico-politico tout court. Il fascismo ha fatto infiniti danni, ma uno dei danni più grossi che ha fatto è stato quello di lasciare in eredità una mentalità fascista ai non fascisti”

Renzo De Felice nel libro “Intervista sul fascismo”, cita questa asserzione del filosofo e storico Benedetto Croce dialogando con lo storico americano Michael A. Ledeen che gli pose tutta una serie di domando sullo spirito con cui De Felice affrontò la monumentale biografia di Benito Mussolini, spiegando la metodologia adottata.

In questo volumetto scritto a quattro mani (Ledeen non pone solo le domande ma interviene sui temi), De Felice cerca di rispondere a tutti gli interrogativi, sia dei suoi all’epoca pochi estimatori italiani, (diversamente successe all’estero), ma soprattutto ai tanti critici che svolsero un vero e proprio linciaggio accusandolo di revisionismo e leso antifascismo.

Siamo negli anni settanta, De Felice ha appena terminato i primi tre volumi di quella biografia di Mussolini che aveva suscitato un grande scalpore, a destra interpretandola come un’assoluzione del fascismo, a sinistra appunto di revisionismo, come se lo storico che si documenta non potesse rivedere la vulgata contingente.

L’ostracismo iniziò fin dal primo volume dedicato al giovane Mussolini (Mussolini il rivoluzionario), nulla però in confronto ai vituperi riservati ai volumi che seguirono, tesi ad indagare l’intero arco del Fascismo. Mi sembra interessante, aldilà del valore documentale delle oltre settemila pagine dell’opera, entrare nel merito del pensiero defeliciano, così come andò sviluppandosi man mano che procedeva la sua ricerca. Nell “Intervista sul fascismo” che i lettori potranno facilmente trovare in libreria o in digitale, De Felice spiega la metodologia storica applicata, fornendo importanti chiavi di lettura per tutti coloro che si avvicinano alla sua opera, che non è solo la biografia mussoliniana ma l’intera storia del fascismo che non può prescindere da quella del suo capo.

De Felice, docente di Storia contemporanea a Roma, fu un uomo di sinistra, comunista fino a quel fatidico 57, quando insieme ad altri intellettuali lasciò quel PCI che sulla rivoluzione ungherese aveva difeso l’intervento armato sovietico. In seguito per un breve periodo si avvicinò al PSI, poi ai Radicali, comunque mai fu di destra. L’interesse di De Felice sulla storia del fascismo, nacque da una prima ricerca commissionatagli dalla Comunità Ebraica con il libro: “Storia degli ebrei sotto il fascismo”.

Avendo avuto l’accesso ad un’ampia documentazione posseduta dalla Comunità ebraica, scattò la molla per saperne di più anche sul fascismo e soprattutto su Mussolini: il “Deus ex machina” del Movimento.

Sollecitato dall’americano su chi fossero i suoi maestri, De Felice cita soprattutto: Federico Chabod e Dario Cantinori quali sostenitori dell’imprescindibilità delle fonti documentarie nella ricerca storica, sottolineando la grande fortuna per aver avuto accesso all’immensa documentazione conservata nell’Archivio di Stato.

Ogni capitolo dei suoi libri, riporta fedelmente i documenti ritrovati, e quando si avvale di testimonianze avverte, pur considerandole importanti, della loro soggettività. Nonostante ciò le critiche, più che sul metodo (si arrivò a sostenere che avesse preferito riportare solo i documenti a favore delle sue tesi), furono quelle nel merito, le più benevole riguardarono la scelta degli argomenti, le più malevole lo accusarono di revisionismo teso a rivalutare il Fascismo.

Sollecitato da Ledeen, De Felice chiarisce come oltre ai documenti abbia attinto anche alle testimonianze di chi all’epoca ebbe un ruolo importante, sia nel Fascismo, come nell’antifascismo, a questo proposito cita il colloquio con Pietro Nenni che De Felice, essendo allora vivente il capo socialista, non cita ma che è palese: “Debbo dire che pur nel netto rifiuto, nella netta condanna di Mussolini, ho sentito ancora l’eco di un’amicizia, che era stata ovviamente cancellata dalle vicende politiche ma che al fondo rimaneva: «Chi glielo ha fatto fare di passare dall’altra parte? In fin dei conti era tutti noi». Quasi come dire: «Era il nostro capo, era quello che meglio ci rappresentava, in cui noi ci riconoscevamo di più». E questa persona è tutt’ora, secondo me, angustiata nell’intimo dal problema se è vero che, in una certa vicenda della sua vita di antifascista, Mussolini lo abbia aiutato. Lo vuole sapere. Credo che sia una delle cose a cui tiene di più prima di morire: sapere se gli deve qualcosa. Non perché si senta in colpa, in debito, credo, ma perché si domanda se la vecchia amicizia, nonostante le lotte, la contrapposizione, gli odi, sotto sotto fosse sopravvissuta”.

Entrando nel merito delle parti riguardanti le tesi storiografiche, uno storico come Nicola Tranfaglia  arrivò a scrivere: “inutile usare perifrasi: ci troviamo per la prima volta in maniera chiara e univoca dopo il 1945, di fronte a una completa riabilitazione del fascismo, compiuta da uno storico che non è di origine fascista, che occupa una cattedra all’Università di Roma e pubblica i suoi libri presso due delle maggiori case editrici della sinistra italiana (Einaudi e Laterza)”. L’unico fuori dal coro fu il comunista Giorgio Amendola che prese le distanze da tali critici.

Oggi sicuramente è cambiato il clima, agli attacchi diretti di parte antifascista è subentrato un assordante silenzio teso a scoraggiare il dibattito su tesi che ormai sono state accettate ed apprezzate dagli storici a livello internazionale. Non sono mancati, e non mancano, tentativi da parte della cultura italiana di riaprire il dibattito sull’opera di De Felice, tuttavia lo si fa quasi sempre con timidezza, senza entrare nel merito delle tesi più controverse. Chi scrive si è trovato più volte, partecipando a dibattiti in ambienti tutt’altro che legati all’antifascismo militante, notando l’allarme degli altri conferenzieri quando sostenevo tesi storiche che avevo desunto dallo studio dell’opera di De Felice. Il che sta a significare che pur avendo fatto passi in avanti si preferisce criticare i critici piuttosto che schierarsi a favore di tesi che sicuramente ancora oggi, almeno in Italia, sono controcorrente.

Quali sono?

 

Movimento, Partito, Regime

Non esiste secondo Renzo De Felice un unico Fascismo, poiché ci sono state profonde differenze tra il Movimento delle origini, il Partito che nacque per una normalizzazione politica e per frenare lo squadrismo dei Ras, e il regime assolutistico che si instaurò nel 25 dopo la crisi Matteotti.

Sul fascismo delle origini, una delle affermazioni più interessanti dello storico riguarda la confutazione si sia trattato di un movimento reazionario, bensì rivoluzionario legato ad ampi strati di piccola e media borghesia che reclamavano più potere, di conseguenza la vulgata di una reazione del mondo capitalista, soprattutto industriale sulle conquiste politiche e sindacali della sinistra,  tenuto conto che quando iniziò il grande sviluppo del Movimento, il biennio rosso aveva esaurito la sua carica rivoluzionaria e coloro che l’avevano promosso furono tacciati di avventurismo da parte di ampi settori del sindacato ma anche del massimalismo socialista.

Sulla trasformazione da Movimento a Partito, questa fu voluta da Mussolini soprattutto per limitare il potere dello squadrismo dei Ras oltre che per quella “normalizzazione politica” che gli avrebbe consentito maggiori spazi di manovra e che l’avrebbe portato al compromesso con i settori liberali e di fatto consentito il successo di quella mezza farsa che fu la Marcia su Roma. Da parte Liberale ci fu l’illusione che la parlamentarizzazione del Fascismo, con il relativo accesso al Governo (naturalmente la premiership di Mussolini non era prevista), avrebbe consentito di ammorbidire e integrare il nuovo Partito, come già era avvenuto per la sinistra storica. De Felice inoltre sostiene come nel primo fascismo esistesse una profonda divaricazione tra quello cittadino (in particolare milanese) e quello delle campagne e come Mussolini faticò per imporre la sua visione di Partito, arrivando addirittura a dimettersi nonostante lo squadrismo gli anteponesse una figura carismatica come quella di Gabriele D’Annunzio.

Sul Regime nato nel 25, al termine della lunga crisi provocata dal delitto Matteotti, De Felice pur non prendendo una posizione né colpevolista, né innocentista di Mussolini, sottolinea come il futuro dittatore pur essendo platealmente insofferente verso il leader riformista, era troppo un politico accorto per non presagire la crisi che sarebbe derivata e che sarà l’unico vero pericolo corso dal Duce fino alla svolta definitiva del ‘43, e come in qualche modo ci fu la rivincita dello squadrismo che in quel frangente gli divenne indispensabile. Ancora una volta, il mondo liberale scegliendo quello che riteneva il minore dei mali, dato che l’alternativa sarebbe stata il massimalismo socialista appiattito sulla Rivoluzione Bolscevica, si suicidò definitivamente.

 

Fascismo e fascismi

De Felice a tale proposito sostiene che il fascismo italiano fu, e resta unico, e come tutti i regimi che vennero considerati tali, poco ebbero a che vedere con l’originale. Il Nazismo di Hitler che viene superficialmente accumunato, fu ideologicamente profondamente diverso, in quanto il Fascismo guardava al futuro e il Nazismo al passato per cui le somiglianze riguardarono soprattutto gli aspetti coreografici e naturalmente le dittature, benché queste non fossero solo prerogativa dei due regimi ma si estendesse prima al Leninismo, poi allo stalinismo, regimi osannati da coloro che denunciavano l’assolutismo fascista contemporaneamente propugnando la cosiddetta dittatura del proletariato; sappiamo a quale livelli dittatoriali portò, prima in Russia e poi nei Paesi satelliti.

 

Sull’antisemitismo

De Felice, a questo proposito sostiene come nel Movimento delle origini e fino all’alleanza con Hitler, l’antisemitismo fascista non fosse diverso da quello endemico, presente in modo ancora più pronunciato in Francia o negli Stati Uniti, lo storico cita l’intervista fatta a Margherita Sarfatti, ebrea e per alcuni anni amante e musa di Mussolini: “Margherita aveva un vero e proprio culto per la romanità che probabilmente instillò nel futuro Duce, il quale abbinò i fasti del regime a quelli dell’antica Roma” . L’antisemitismo e quindi le sciagurate leggi razziali, furono retaggio dell’ultimo fascismo, quello raccontato nel volume “Mussolini, l’alleato”, e come le deportazioni nei campi di sterminio appartennero al periodo dell’occupazione tedesca. E’di questi giorni, un documentario che racconta come i soldati italiani nel periodo dell’occupazione in Francia ebbero comportamenti, che sovente si opposero ai tedeschi proteggendo gli ebrei delle zone occupate dal nostro esercito, e si presume, non in aperto conflitto con gli ordini ricevuti.

 

Resistenza e guerra civile

A questo proposito le tesi dello storico furono che la cosiddetta resistenza antifascista fu in realtà una vera e propria guerra civile e come, almeno fino all’ultimo anno del conflitto quando ormai era chiara la vittoria alleata, le forze in campo propendevano per il Fascismo, naturalmente tenendo conto di anni di indottrinamento verso i giovani del Regime.

Queste tesi rivalutano il fascismo?  In tutte le settemila pagine e anche nell’”intervista”, De Felice non nasconde gli aspetti liberticidi, gli eccessi squadristi, le leggi razziali e la sciagurata partecipazione al conflitto a fianco del Fuhrer, ciò è sufficiente per non tacciare di leso antifascismo la monumentale opera. In quanto al revisionismo, De Felice chiude il discorso sostenendo che uno storico, degno di questo nome, è sempre revisionista se i documenti e le fonti lo convincono del contrario.

 

Inserito il:18/09/2021 13:01:10
Ultimo aggiornamento:18/09/2021 13:09:31
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