Bob Orsillo (Lewistone, Maine, USA - ) - World Factory
“La costruzione della Società di Massa” - CAPITOLO I
Io, cittadino della “Società di Massa”
di Camilla Accornero
Si muovono in massa come un sol uomo, esseri amorfi resi tali per incarnare quello che un tempo era stato il desiderio di plasmare l’utopico consumatore globalizzato, i cui desideri sono veicolabili e veicolati dalle leggi di mercato. Una fiumana di individui resi incapaci di sviluppare un pensiero autonomo, ma solamente come parte del tutto, in nome del tanto decantato pensiero unico.
Tale era la società in cui ero stato costretto a vivere e nella quale, in verità, continuavo ad abitare. Ad ogni passo vedevo uomini depersonalizzati, i cui predecessori, lottando in nome del raggiungimento dell’uguaglianza tra i generi, i sessi e le etnie, avevano ingenuamente dato vita ad un’ideologia, -sapientemente estremizzata e strumentalizzata da un’élite di plutocrati-, che al posto di combattere le differenze aveva finito con l’annullarle. Cosicché l’unicità, l’essere insostituibili, le diversità tra le culture e i popoli incominciarono ad essere percepiti come disvalori, mentre venivano esaltati capricci ed egoismi individuali, i quali potevano trovare terreno fertile nella nuova società fondata su una non-cultura dei diritti, fatti arbitrariamente corrispondere ai desideri.
A ben vedere, l’operazione rivoluzionaria portata avanti dalla Lobby non poteva che considerarsi la realizzazione di un progetto di ingegneria sociale anti-identitaria dedita all’esaltazione di menti e corpi sterili e indifferenziati.
Tali considerazioni, -anche se alle orecchie di molti suoneranno come le delazioni di un arrogante e spocchioso anziano, forse neppure diventato saggio malgrado l’età avanzata-, non sono altro che le parole di un patetico individuo resosi conto troppo in là nella vita di aver trascorso la propria esistenza calato nella Massa, assorbito e uniformato ai suoi movimenti, assuefatto ai meccanismi e alle dinamiche ad essa peculiari, ignaro dell’esistenza di una realtà altra rispetto a quella che sin da piccolo gli era stata messa davanti agli occhi.
Sono stato, sino all’alba dei mie cinquant’anni d’età, un vero inetto, una marionetta nelle mani di abili burattinai, indotto ad agire nella convinzione di essere libero e di prendere di mia spontanea volontà ogni decisione. Potessi viaggiare nel tempo e tornare indietro, piglierei volentieri a ceffoni quell’omuncolo insignificante che sono stato, non diverso da qualsiasi altra persona: privo di autentici desideri, di ambizioni e di volontà di autodeterminazione. La massima aspirazione che ciascun individuo-massa aveva ai quei tempi, -non che a distanza di quasi quarant’anni sia cambiato poi alcunché, esclusa la mia artrite reumatoide-, era essere incasellati perfettamente all’interno della Massa, rispecchiando per l’appunto il perfetto binomio individuo-depersonalizzato / consumatore-globalizzato.
Vorrei poter affermare di essere stato folgorato da una rivelazione in una delle tante mattine anonime di cui ero protagonista, di aver vissuto un “momento epifanico” tanto potente da ridestarmi dal torpore mentale e dal sonno dell’intelletto al quale era stata piegata la mia volontà. Eppure devo ammettere, per così dire, di essere letteralmente “inciampato” sull’oggetto che avrebbe contribuito alla mia emancipazione dal pensiero unico.
Ero di ritorno da una giornata di lavoro, quando incappai nel suddetto oggetto: nello specifico si trattava di un vecchio diario con la rilegatura in pelle e le pagine appena consunte dall’usura. A primo acchito si sarebbe potuto datare ad una cinquantina abbondante di anni prima. Un giudizio affrettato forse, ma che avrebbe tuttavia trovato le dovute conferme a seguito di una lettura più accurata; quelle memorie erano, -e continuano ad essere-, una traccia tangibile del passaggio tra le vie della Società dell’Immagine di uomo quanto mai atipico per i suoi tempi.
Lungi da me l’intenzione di poter figurare come un vecchio borioso in cerca di attenzioni, anche se, per essere onesto con me stesso, se dovessi confrontare l’uomo che sono oggi con il grassoccio signore di mezza età che si vantava delle proprie conoscenze e faceva gran sfoggio del proprio intelletto, -privandosi della possibilità di privilegiare un più apprezzabile silenzio, considerate le fesserie che gli uscivano di bocca, malgrado per molti fossero asserzioni quanto mai veritiere-, un pizzico di arroganza potrebbe essermi concessa. Allora, ancora inconsapevole del mio ruolo meramente strumentale all’interno della società, ero stato persuaso a credere di potermi definire un attento conoscitore del passato, delle vicende e dei meccanismi messi in atto per produrre gli eventi che avevano condotto alla costruzione della modernità di cui ero protagonista… dopotutto, il mio compito principale, in qualità di docente di storia in una delle più prestigiose università della Società di Massa, era tramandare una certa versione della storia, quella voluta dalla Lobby.
Solamente tempo dopo fui costretto a ravvedermi, arrivando persino ad ammettere di essere stato tanto sciocco e sprovveduto da cadere vittima di un raggiro finemente ordito. Innegabilmente nella comprensione dell’inganno giocò un ruolo cruciale la lettura del memoriale: mi costrinse a mettere in discussione tutto ciò che credevo di sapere, ogni mia conoscenza, ogni mio pensiero… ogni cosa.
Ci volle del tempo, nonché una certa dose di umiltà per riuscire ad accantonare l’orgoglio e dichiarare davanti a me stesso di aver vissuto per oltre cinquant’anni in una gigantesca menzogna. Stento a credere che molti riuscirebbero ad accettare l’idea di essere stati manipolati tanto a lungo, per alcuni sarebbe più semplice ignorare la realtà e perpetuare la farsa, dopotutto, in assenza di un visibile tornaconto nell’immediato, a che scopo rinnegare la propria esistenza? Per amore della verità e della conoscenza? Per comprendere appieno cosa volesse ottenere la Lobby promettendo l’’assoluta libertà di scelta?
La mia frustrazione di novantenne risponde principalmente a due questioni: la prima riguarda il fatto incontrovertibile che, in fondo, io, come individuo, non sia mai stato in toto parte integrante della Massa, in caso contrario non avrei mai iniziato a dubitare di tutto quello che mi circondava, motivo per cui mi rimprovero di non essermi dato una svegliata qualche lustro prima; la seconda riguarda l’ammirazione che non posso e non riesco a non provare per il lavoro messo in atto dalla Lobby. Per quanto possa non condividerne i mezzi e i fini, sarebbe ipocrita non riconoscere l’abilità di un capace stratega quando lo si ha dinnanzi a sé. Ma queste lungaggini, che non hanno altra utilità se non quella di giustificare la mia ormai patente presunzione maturata insieme alla vecchiaia, probabilmente non interessano a nessuno. La mia versione meno canuta è senz’altro più affascinante, o se non altro ci si può divertire a prenderla un po’ in giro!
Arduo fu per me, -nella mia più affascinante versione di professore universitario-, riuscire a diventare partecipe dei segreti alla base della società, poiché non facendo parte della Lobby autocratica che tutto vede e tutto sa molte delle informazioni mi erano sempre state precluse.
Per qualche strano scherzo del destino, se questo esiste, mi ritrovai in possesso della testimonianza dell’infausto periodo in cui avvenne compiutamente il passaggio dalla Società dell’immagine alla Società di Massa. Avevo tra le mani le “istruzioni” per comprendere il progetto architettato dalla Lobby, l’abile demiurgo che si era professato per decenni salvatore delle masse. Cionondimeno, tra le schiere di individui strumentalizzati si erano levati cori discordanti, che vanamente si erano impegnati per svelarne le trame. Di questi individui, io, soggetto ignoto della società massificata, ero stato nominato testimone, scelto per emergere dagli individui-massa.
L’unico rammarico è aver potuto assurgere a tale compito solamente ad una veneranda età. Nessuna cosa infatti, eccetto gli anni, sarebbe riuscita a far capire a quel patetico cinquantenne quali verità si celassero alla base della società, quale ruolo giocasse la Lobby e a quali dettami, essa stessa, fosse chiamata a rispondere.
***
Nei primi tempi maneggiavo il taccuino ritrovato con gran diffidenza, dopotutto esso rappresentava la miccia che avrebbe potuto far esplodere l’intero edificio delle mie credenze. Tuttavia, malgrado questa mia reticenza, non potei sopprimere l’istinto di lanciare una distratta occhiata ad alcune pagine, cosicché ebbi modo di evincere, opportunamente, che la società in cui vivevo era schiava dello stesso sentimento di tolleranza di cui era artefice: precipitando in un avventato relativismo era diventata capace di trovare giustificazioni a molti comportamenti basandosi semplicemente sulla percezione soggettiva, nonché di demolire i propri fondamenti etici e morali in nome di valori encomiabili quali parità, equità, lotta alle discriminazioni, usati, invero, semplicemente come specchietti per le allodole per la costruzione del perfetto essere umano, omologato e uniformato alla massa, manipolabile e sfruttabile.
L’artificiosa esistenza che stavo conducendo, se inserita all’interno di un quadro più generale, svincolata dalla contingenza caratterizzante quella determinata realtà, poteva facilmente essere analizzata per comprendere quale fosse il denominatore comune delle dinamiche scaturite da un’ideologia. Non a caso, quest’ultima, se adeguatamente sfruttata dalle abili mani di un’élite, manovratrice nella maggioranza delle casistiche delle idee che mobilitano le masse, risulta il mezzo più efficace per l’asservimento mentale: il singolo individuo risulta soppresso, annullato, ridotto ad essere l’ignaro ingranaggio di un meccanismo complesso e, in quanto tale, sostituibile qualora risulti poco produttivo, vecchio, inadatto, se non addirittura dannoso.
Propaganda, infiltrazioni di ideologie, agitazioni di massa erano sponsorizzate dai grandi colossi finanziari, posti nettamente al di sopra degli intrighi politici, talvolta anche attenti strateghi degli stessi, che esercitavano il loro peculiare potere dall’alto della struttura piramidale di cui non potevano far altro se non occupare l’apice: nella gerarchia che controllavano, i membri ai livelli più bassi non potevano che rimanere estranei agli atti predisposti da coloro che occupavano un gradino superiore e di cui, inconsapevolmente, si rendevano complici.
Accade, più sovente di quanto sarebbe eticamente opportuno accettare, che dietro ai buoni propositi, -quali ideali di uguaglianza, fratellanza, lotta alla discriminazione, equità e parità dei diritti-, si nascondessero progetti meno lodevoli e caritatevoli di un’élite, -o chi per essa-, finanziariamente potente e influente, atti a sfruttare le menti e i corpi degli individui, ormai calati e inghiottiti nel movimento fluido e inarrestabile della massa.
Il meccanismo raffinato di questa gigantesca menzogna -in cui la popolazione fu indotta a vivere- venne fomentato dai messaggi propagandistici veicolati dai mass media e dall’intrusione nell’ambito educativo del nuovo modo di pensare, in accordo con il tanto deificato concetto, per quanto moralmente ipocrita, del “politically correct”.
Una sera, seduto alla mia vecchia scrivania, decisi di tirar fuori da un cassetto il memoriale. Quel gesto fu la “svolta epifanica” della mia vita. Mi misi in gioco, cominciai a dubitare.
In una delle prime pagine vi era riportato in bella calligrafia un messaggio dello scrittore. Chiunque si fosse preso il disturbo di vergare di proprio pugno quel manoscritto, l’aveva fatto con la chiara intenzione di tramandarlo ai posteri. Dovetti dedurne che non potesse trattarsi del mero vezzo di un uomo o di un’usanza del passato, né tantomeno di un passatempo fine a se stesso; era un progetto. Ambizioso per giunta. Il primo passo era fornire al lettore-del-futuro la chiave interpretativa per poter comprendere il testo. Naturalmente, nelle parole “Se non si comprende il come e il perché ci si ritrova in una determinata situazione, o ci si rifiuta di accettarli, difficilmente sarà possibile uscirne” non trovai subito un senso. La versione più giovane e ignorante di me era, quantomeno al principio, totalmente convinta di essere padrona di sé stessa e delle proprie conoscenze, persino troppo orgogliosa per ammettere di non essere in grado di capire un linguaggio tanto dissimile dal proprio, in cui ancora comparivano di tanto in tanto costrutti complessi con subordinate e una punteggiatura che esulasse dal solo utilizzo di punto o virgola. Una ricchezza del linguaggio che, seppur scarna rispetto a secoli prima, era di gran lunga superiore alla neolingua che conoscevo. Superato il mio deficit di comprensione, non senza difficoltà, -dovetti, infatti, infrangere qualche regola per potermi procurare un vocabolario e un manuale di grammatica risalenti ai tempi della Società dell’Immagine; volumi inseriti dalla Lobby nell’indice dei libri proibiti-, incominciai a decifrare il contenuto del taccuino.
Questa fu pressappoco la genesi della mia lenta ascesa verso l’assunzione di una nuova consapevolezza.
Dapprincipio, quando ancora mi ostinavo a non voler credere alle parole dell’Osservatore, fui quantomeno ripagato dei miei sforzi attraverso l’acquisizione di una conoscenza più approfondita del linguaggio “precedente”. Imparai veramente a scrivere dopo il mio cinquantacinquesimo compleanno e riuscii effettivamente a comprendere la potenza significativa delle metafore e dei “giochi di retorica”, -nonché la nozione stessa di retorica!-, solamente un decennio più tardi. E forse solo oggi, ahimè oltre la soglia dei novant’anni, potrei affermare che sarei in grado di comprendere un romanzo scritto agli inizi del XX secolo. Anche le digressioni e gli excursus furono una scoperta che mi piacque moltissimo: abituato com’ero a scrivere con una sovrabbondanza di abbreviazioni solo lo stretto necessario, trovavo divertente potermi sbizzarrire con qualche gioco linguistico. Cosicché i miei scarabocchi cominciarono a figurare pieni di costrutti complessi, vocaboli prima di allora a me sconosciuti, metafore e figure retoriche: qualsiasi nozione apprendessi, lo studioso che era in me cercava di metterla in pratica, anche se con qualche inconfutabile scivolone di stile.
Ma queste sono digressioni… per l’appunto!
Dopo il criptico incipit, l’Osservatore riportò in breve un messaggio rivolto ai posteri:
“Proprietà dell’Osservatore.
A chiunque stia leggendo queste pagine chiedo umilmente di non tacciare quanto segue con ingiuste accuse o frettolosi giudizi, ma di mettersi in discussione.
Pensa, pensa criticamente, pensa con la tua mente. Sii avulso dalla massa.
Sii il mio Erede.”
Destino o no, non aveva importanza, ero stato scelto, sarei stato il suo Erede. Come tale avrei anche io tramandato ai posteri le mie conoscenze, le mie esperienze e le mie scoperte.
Il docente di mezz’età che era in me stravolse la propria vita e cominciò una nuova esistenza al di fuori dal ruolo per il quale era stato programmato sin dalla nascita: non sarebbe più stato un individuo-massa. E la mia storia, vergata a mano su un diario dalla versione più anziana di me stesso, -l’unica che disponesse delle conoscenze e delle capacità necessarie per poterlo fare-, sarebbe stato il mio lascito; un monito per il futuro.