Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

E. Anderson - Antique Water Color Sketch "Maginot Line" 1939

 

Seconda guerra mondiale.

Le grandi giornate - Dunkerque (3)

di Mauro Lanzi

(seguito)

 

3. Guerra - Il fronte occidentale

 

1939. “La drole d’une guerre” e lo sfondamento.

 

 

 

 

14 Maggio 1940 Truppe corazzate tedesche attraversano la Mosa

 

Guerra fasulla la chiamarono i francesi, Sitzkrieg i tedeschi, tale è il confronto che si sviluppò tra gli eserciti alleati e tedeschi dopo la caduta della Polonia: i francesi avevano perso l’occasione per un’azione incisiva nelle prime settimane di settembre, quando il grosso delle forze nemiche era impegnato ad est: la filosofia degli alti comandi francesi era che un attacco di fanteria dovesse essere preparato dall’artiglieria pesante, il cui dispiegamento richiese alcune settimane; il momento favorevole andò perduto.

D’altro canto, l’atteggiamento francese era profondamente diverso da quello dominante all’inizio della prima guerra mondiale: allora lo spirito della revanche aveva indotto i francesi ad un atteggiamento iperaggressivo, costato un numero impressionante di perdite.

Il ricordo di quei massacri aveva indotto i francesi ad una teoria più prudente, ispirata al difensivismo, di cui la “Linea Maginot” fu l’espressione più significativa.

La Linea era stata fortemente voluta dal Maresciallo Petain, ma porta il nome del ministro della guerra, Maginot, che ne fece iniziare la costruzione: la Linea venne costruita in diverse fasi a partire dal 13 gennaio 1928, poi i lavori accelerarono nel 1930, quando Maginot ottenne un cospicuo finanziamento dal governo.
La costruzione principale venne completata entro il
1935 ad un costo di circa tre miliardi di franchi, che salirono a 5 nella versione finale. Ci fu infatti uno sforzo finale nella fase realizzativa, nel biennio
1939-40, con miglioramenti generali lungo tutta la Linea, ma soprattutto nelle regioni industriali di Metz, Lauter e dell'Alsazia, mentre altre aree erano in confronto solo debolmente difese. La parte della Linea Maginot costituita da difese fortificate misurava un totale di 440 km, meno della metà rispetto alla Linea Sigfrido che la fronteggiava.

Il concetto base della Linea Maginot era un'ossatura costituita da possenti opere di fortificazione , distanziate tra loro di circa 5 km e collegate da gallerie sottoterra, con alcune postazioni "emergenti", armate prevalentemente con mitragliatrici e artiglierie di piccolo calibro, che si proteggevano reciprocamente e che controllavano i tratti di confine e le relative vie di accesso.

Tra queste erano posizionate fortificazioni minori, casematte e bunker di varia potenza di fuoco e dimensioni che rendevano continuo il fronte, controllandolo con mitragliatrici e pezzi anticarro.

Molto importante era anche l'ostacolo passivo antistante tutta la Linea, costituito da un profondo reticolato di filo spinato e da sei file di putrelle infisse nel terreno, che doveva ostacolare la fanteria e i carri nemici. In posizione arretrata, inoltre, erano presenti due linee di resistenza. che consentivano alle truppe di ripararsi dai bombardamenti.

Altrettanto fondamentale fu la costruzione di un'importante rete stradale e ferroviaria che consentiva un adeguato approvvigionamento di materiali a tutta la Linea, e garantiva un'adeguata mobilità lungo tutta la stessa collegando una lunga serie di caserme di sicurezza dove erano sistemati i reparti di uomini a presidio della Linea, che così avrebbero potuto raggiungere le varie postazioni in breve tempo.

La Linea Maginot era poi completata da batterie allo scoperto, postazioni di artiglieria su affusto ferroviario, una complessa rete di distribuzione elettrica formata da cavi interrati e interconnessioni tra le diverse opere, una rete telefonica militare, una serie di avamposti destinati a rallentare le truppe avversarie prima che potessero raggiungere la linea principale, ed infine le postazioni più avanzate in assoluto, cioè i dispositivi di confine, costituiti da barriere mobili, sbarramenti rapidi, case fortificate ubicate a pochi metri dal confine e necessarie a resistere durante le prime fasi dell'attacco nemico e per dare l'allarme in caso di attacco a sorpresa alla linea principale.

La Linea Maginot è stata oggetto di infinite critiche, vista la facilità con cui i tedeschi ne ebbero ragione, critiche solo in parte fondate: il difetto fondamentale della linea era il suo mancato completamento in alcune zone che si dimostreranno essenziali, in particolare le Ardenne e la frontiera belga; c’erano dei motivi per queste carenze, in particolare per quanto riguarda il Belgio i politici francesi non avevano voluto che nascesse nei belgi l’idea che, in caso di guerra, l’esercito francese non si sarebbe mosso in loro soccorso. I belgi purtroppo non ricambiarono adeguatamente questa preoccupazione: per tutta la primavera del ’40 si rifiutarono di consentire ai corpi inglesi e francesi di avanzare sul loro territorio, preferendo trincerarsi dietro la loro dichiarata neutralità, anche quando era chiaro che i tedeschi non l’avrebbero rispettata, come nel ’14.

Per quanto riguarda le Ardenne, la convinzione dei generali francesi era che si trattasse di un terreno troppo difficile ed accidentato per consentire manovre importanti; lo stesso Petain aveva definito le Ardenne “impenetrabili”!! Non fu così per i mezzi corazzati di Heinz Guderian!

La “guerra fasulla” occupò tutto lo scorcio del ’39 e la prima parte del ’40, poi, nel giro di poche settimane, tutto si risolse; ma allora, pur dando per scontate le carenze della Linea Maginot, così come i limiti del pensiero strategico francese, non si può fare a meno di chiedersi come fu possibile che uno dei più potenti e attrezzati eserciti del mondo sia stato liquidato in così breve tempo!! Vediamo cosa accadde.

Ancora prima della fine della campagna di Polonia, Hitler, la cui mente spesso precedeva gli eventi, aveva cominciato a pensare ad un attacco sul fronte francese, Hitler riteneva, come ebbe a spiegare ai suoi generali, che si dovesse approfittare della superiorità tedesca in carri ed aviazione per infliggere un colpo decisivo agli alleati, prima che avessero il tempo di correggere queste carenze; Hitler riteneva anche che la superiorità francese in materia di artiglieria pesante non avrebbe avuto alcun influsso in una guerra di movimento. I suoi generali, Halder e Brautschich non erano affatto d’accordo, ritenevano che i rischi fossero troppo elevati; si hanno anche notizie di un complotto militare contro il Führer, che abortì quando i capi militari si resero conto dell’enorme popolarità di Hitler tra le truppe, conseguente al successo in Polonia. Halder, quindi, si affrettò a preparare un piano che prevedeva l’aggiramento della Linea Maginot, passando per il Belgio, Hitler aveva fissato la data dell’attacco per metà novembre, data poi rinviata per le avverse condizioni metereologiche prima e per le festività natalizie, poi, al 17 gennaio: il piano tedesco era una riedizione del piano Von Schlieffen, messo in atto nella prima guerra mondiale e non è azzardato ipotizzare che l’esito sarebbe stato lo stesso, cioè una logorante guerra di posizione. Ma qui il destino giocò la sua carta.

Il 10 gennaio, secondo quanto riferito da fonti tedesche dopo la fine della guerra (gen. Student), un volo con a bordo un alto ufficiale dello stato maggiore tedesco, persa la rotta in una tempesta, atterrò in Belgio: prima che l’ufficiale riuscisse a distruggerli, i piani completi dell’attacco furono recuperati dai belgi: la sera stessa erano a Londra.

Nel marasma che seguì al comando tedesco (ovviamente gli ordini di attacco furono sospesi), venne alla luce un documento preparato tempo prima da una delle più brillanti menti strategiche dell’esercito tedesco, Von Manstein, che, criticando i piani in essere, perché troppo prevedibili, proponeva di spostare più ad est l’asse dell’attacco principale, proprio sul varco delle Ardenne; Hitler che, casualmente, ebbe occasione di incontrare Von Manstein, si convinse di questa strategia, al punto di farla passare per farina del suo sacco, ordinando quindi ai suoi di seguire queste nuove linee guida. Sulla base di queste il gen. Halder elaborò un nuovo programma, costituito dalla combinazione di “Fall Gelb”, Piano Giallo e “Fall Rot” Piano Rosso.

Da parte loro, gli Alleati, dopo essersi trastullati in progetti irrealizzabili o fallimentari come il tentato sbarco in Norvegia da parte degli inglesi, avevano elaborato un piano strategico più concreto sul fronte occidentale, noto come il piano “D” del capo di stato maggiore francese, generale Gamelin. Gamelin si era convinto, dopo molte esitazioni, che i tedeschi avrebbero ripetuto il piano Von Schlieffen, della 1° guerra mondiale: Gamelin riteneva di potersi difendere senza problemi dietro la linea Maginot, rimaneva il problema del Belgio dove Gamelin pensava di potersi fortificare sul fiume Dyle (da cui il nome di piano D).

Per questo il generale francese aveva dispiegato sul confine belga il meglio delle sue unità mobili, inclusa la BEF, che all’inizio delle operazioni tedesche contro il Belgio avrebbero dovuto raggiungere in tempo utile la Dyle: purtroppo il piano Gamelin calzava come un guanto alla trappola tedesca!!

 

 

1940. Lo sfondamento

 

Ogni trappola ha bisogno di un’esca e l’esca che i tedeschi offrirono al nemico fu un attacco lampo ad Olanda e Belgio, “Fall Gelb”, il Piano Giallo: alle prime ore del mattino del 10 maggio 1940, truppe aviotrasportate tedesche attaccarono l’Aia e Rotterdam, mentre truppe di terra impegnavano le difese sul confine e la Luftwaffe compiva incursioni in territorio olandese. La confusione generata dall’attacco alle spalle consentì ai tedeschi di aprire una breccia nel fronte e raggiungere in tempi brevi la divisione di paracadutisti mandata in avanscoperta, malgrado la presenza di una divisione francese inviata in soccorso: dopo cinque giorni gli olandesi offrirono la resa, malgrado l’esiguità delle forze avversarie impegnate nell’assalto.

Anche l’attacco in Belgio iniziò con una mossa a sorpresa: mentre un potente corpo d’armata aggrediva la frontiera, una esigua forza di paracadutisti si impadroniva di due ponti sul canale Alberto e del forte di Eben Emael; questa poderosa struttura, la maggiore File source: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:FEE_01731.JPG opera difensiva di tutto il Belgio, era stata pensata per resistere ad ogni attacco, da qualunque parte provenisse, meno che un attacco dall’aria. Bastarono meno di 100 paracadutisti, portati da alianti, per impadronirsi del tetto del forte, dove riuscirono a barricarsi e resistere fino all’arrivo della fanteria; così, una combinazione di audacia e fortuna portò l’esercito tedesco a superare senza perdite, in meno di due giorni, la principale linea difensiva dei belgi, gettando nella più assoluta confusione il comando francese; Gamelin si aspettava che i belgi riuscissero a difendere il canale Alberto almeno per dieci giorni. Colto di sorpresa dalla irruente avanzata tedesca, si confermò nella convinzione che i tedeschi pianificassero una ripetizione del piano Von Schlieffen e di conseguenza rinforzò ulteriormente l’ala sinistra del suo schieramento, concentrando lì tutte le riserve, tre corpi d’armata più la BEF, quasi tutte le forze migliori del suo esercito, le forze mobili: la difesa della cerniera tra l’ala sinistra e la linea Maginot rimase affidata a divisioni scadenti ed insufficientemente equipaggiate.

Nel frattempo i tedeschi erano riusciti ad ammassare dietro la copertura delle Ardenne 30 divisioni, di cui 7 corazzate, al comando del generale Von Kleist, in preparazione del “Fall Rot” : nei giorni prima dell’attacco Von Kleist si era lasciato convincere dal suo principale collaboratore, Guderian, comandante dell’avanguardia, a fare avanzare i carri senza attendere la fanteria: Sichelschnitt, (colpo di falce), era il nome del nuovo piano.

Il 13 maggio si scatena l’attacco preceduto da un violentissimo bombardamento sulle linee francesi lungo la Mosa, condotto da bombardieri di picchiata, i famosi STUKAS (Sturzkampfflugzeug), o Junker 87, dotati di sistema di sgancio automatico della bomba al termine della picchiata, sui quali erano anche installate delle sirene azionate dal flusso d’aria nella picchiata (“Trombe di Gerico”): la combinazione della tempesta di fuoco portata dal bombardamento e l’urlo lacerante prodotto dalle sirene terrorizzò i difensori francesi al punto da farli abbandonare l’artiglieria, anche quella contraerea, per rifugiarsi nelle trincee. Già la mattina del 14 l’avanguardia di Guderian aveva creato una testa di ponte al di là della Mosa della profondità di 8 km, in prossimità di Sedan: era questo il momento più critico dell’operazione, un vigoroso contrattacco da parte di forze corazzate francesi avrebbe spazzato via la testa di ponte, ma questo contrattacco non ci fu; era stata una follia da parte dei francesi aver affidato la difesa del settore a forze dalla territoriale ed unità di cavalleria!! Dopo la fine della guerra, Gamelin scrisse, anche a sua discolpa, che lo stato maggiore francese aveva stimato che ci volessero otto/nove giorni ai tedeschi per dispiegare l’artiglieria necessaria a preparare l’attacco e questo coincide in modo sorprendente con i piani dell’OKH: fu Guderian a sparigliare le carte in tavola, impiegando l’aviazione come artiglieria e lanciando in profondità i carri senza curarsi della copertura sui fianchi.

La sera del 15 Guderian aveva superato la zona boschiva e le sue avanguardie si affacciavano sulle apriche pianure francesi: sorprendentemente qui la sua avanzata subì il primo arresto non ad opera del nemico, ma per ordini dello stato maggiore tedesco, preoccupato dal successo della sua avanzata. Dopo aver ottenuto l’autorizzazione a proseguire, il 16 Guderian, raggiunto il fiume Oise, fu ancora fermato, addirittura destituito, su ordine dello stesso Hitler che era terrorizzato dal rischio che le sue preziose divisioni corazzate potessero essere distrutte od anche solo danneggiate da un contrattacco francese sui fianchi. Guderian fu presto reintegrato ed il 19 era già in vista della Manica.

Ancora una volta ci si deve chiedere come sia stato possibile che una manovra così vasta possa essere stata portata a termine senza incontrare ostacoli di rilievo da parte degli avversari, senza che si riuscisse neppure ad abbozzare una valida reazione, quando ancora gli alleati disponevano di forze intatte.

Certo i generali tedeschi avevano dimostrato un’organizzazione ed una capacità operativa semplicemente mostruose, riuscendo a far transitare in una zona fittamente boscosa una gran massa di mezzi e di uomini in un brevissimo arco di tempo.

Certo, da parte francese erano stati commessi errori gravissimi, ma neanche la situazione dei tedeschi era ottimale, i rischi in caso di un attacco francese sui fianchi restavano molto elevati, se i francesi avessero avuto i mezzi e la determinazione per portare questi attacchi.

L'Alto Comando francese sembrava colpito da un senso di disfatta. La mattina del 15 maggio, il Presidente del Consiglio francese Paul Reynaud telefonò all'appena nominato Primo ministro del Regno Unito Winston Churchill e gli disse: "Siamo stati sconfitti. Siamo battuti; abbiamo perso la battaglia".

Churchill volò a Parigi il 16 maggio. Egli riconobbe immediatamente la gravità della situazione quando osservò che il governo francese stava già bruciando i suoi archivi e preparando l'evacuazione della capitale. In un lugubre incontro con i comandanti francesi, Churchill chiese al Generale Gamelin, "Dov'è la riserva strategica?" che aveva salvato Parigi nella prima guerra mondiale. "Non esiste" rispose Gamelin. In seguito Churchill descrisse l'accoglimento di questa notizia come il momento più sconvolgente della sua vita. Churchill, allora, chiese a Gamelin quando e dove il generale proponeva di lanciare un contrattacco ai fianchi del grosso delle forze tedesche. La replica di Gamelin fu tremenda: "inferiorità nei numeri, inferiorità nell'equipaggiamento, inferiorità nei metodi".

Purtroppo Gamelin era nel giusto; la gran parte delle divisioni della riserva erano state impegnate sul fronte belga e ad ogni modo le divisioni corazzate della fanteria francese, le Divisions Cuirassées de Réserve, nonostante il loro nome, erano unità di sfondamento molto specializzate, ottimizzate per l'attacco di posizioni fortificate; potevano essere anche abbastanza utili per la difesa, se trincerate, ma servivano a poco in uno scontro in campo aperto: non potevano eseguire tattiche combinate carri-fanteria in quanto non avevano una significativa componente di fanteria motorizzata e, cosa ancora più importante, erano sprovviste di apparecchi radio individuali (mentre i tedeschi ne avevano uno in ogni carro), cosa che rendeva impossibile di fatto il comando e controllo in una battaglia d'incontro; in più avevano una scarsa mobilità tattica in quanto i loro Char B1 bis, il modello principale sul quale era stato investito metà del budget per i carri armati, doveva fare rifornimento due volte al giorno .

Nonostante tutto ciò, una decisione radicale di ritirarsi a sud del Belgio avrebbe potuto probabilmente salvare gran parte delle divisioni meccanizzate e motorizzate, compresa il BEF, e avrebbe forse arrestato l’accerchiamento tedesco. Certo, questo avrebbe comunque significato abbandonare circa trenta divisioni di fanteria al loro destino, insieme a tutto l’esercito belga: la sola perdita del Belgio sarebbe stata, politicamente, un colpo drammatico, ma in emergenza si ricorre a misure estreme.

I francesi cercarono di creare una nuova riserva, usando tutte le unità che potevano essere distolte dalla Linea Maginot per bloccare la strada verso la capitale francese; non desta quindi meraviglia il successivo crollo di questa linea difensiva. Il colonnello Charles de Gaulle, al comando della IV Divisione corazzata, assemblata in tutta fretta, tentò di lanciare un attacco da sud, ottenendo un certo successo che in seguito gli avrebbe dato una considerevole fama e la promozione a Brigadiere Generale. Gli attacchi di de Gaulle, del 17 e 19 maggio sembrarono poter arrestare i tedeschi per alcune settimane, ma si dimostrarono vani quando le rinforzate armate tedesche lo costrinsero ad arretrare in direzione sud-ovest.

Il dramma si stava avviando alla sua inevitabile conclusione: il 18 maggio Rommel conquistava Cambrai, il 19 due divisioni di Panzer, superata la debole resistenza inglese entravano ad Amiens, il 20 veniva occupata Abbeville, giungendo in vista della Manica ed isolando le forze inglesi, francesi e belghe a nord.

Il 20 maggio, il presidente del Consiglio francese Paul Reynaud prese infine la decisione di destituire Gamelin per il suo fallimento nel contenere l'offensiva tedesca, rimpiazzandolo con Maxime Weygand, comandante delle forze francesi in Siria, che tentò immediatamente di escogitare nuove tattiche per contenere i tedeschi. Il piano Weygand mirava ad isolare la punta di lancia delle forze corazzate tedesche con attacchi combinati da nord e da sud. Sulla carta questa sembrava una missione praticabile: il corridoio attraverso il quale i due Panzerkorps di von Kleist si erano mossi verso la costa era ampio solo 40 chilometri. In realtà le divisioni alleate potevano contare solo su di un numero esiguo di carri in condizioni di combattere.

Ad Arras i carri britannici Mk II Matilda, pesantemente corazzati (le armi anticarro tedesche da 37mm si rivelarono inefficaci contro di essi), riuscirono a sbaragliare due reggimenti tedeschi. Poi i tedeschi misero in campo i cannoni antiaerei da 88mm in funzione anticarro e prima fermarono, poi respinsero i britannici: il cannone da 88, che si dimostrerà la migliore arma anticarro di tutta la guerra, diede qui la prima prova della sua efficienza, ma soprattutto i tedeschi dimostrarono la loro abilità tattica, combinando l’azione dei carri con la copertura dell’artiglieria.

Nelle prime ore del 23 maggio, il generale Gort, comandante della BEF ordinò la ritirata da Arras. Non aveva più fiducia nel piano Weygand né nella proposta di quest'ultimo di cercare almeno di tenere una sacca sulla costa fiamminga. I porti necessari per rifornire un tale punto d'appoggio erano già minacciati. Quel giorno stesso la II Divisione Panzer assalì Boulogne e la X Divisione Panzer assaltò Calais. Boulogne resse fino al 25 maggio, appoggiata dalla marina che infine riuscì ad evacuare 4.368 uomini. Calais, benché rinforzata dall'arrivo del III Reggimento Reale Carri, equipaggiato con i Cruiser e dalla XXX Brigata Guardie, cadde in mano ai tedeschi il 27 maggio.

Restava un solo porto in mano agli Alleati, Dunkerque.

 

 

Inserito il:20/11/2019 11:28:33
Ultimo aggiornamento:20/11/2019 14:59:07
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