Juan Montes Torres (Peru, 1961) – Dusk on the Amazon river
I Pirahã , Noam Chomsky e il suo marziano
di Giovanna Casertano
Fino alla metà del secolo scorso le ricerche e gli studi in campo linguistico erano rimasti fermi alla teoria evoluzionistica di Darwin, che nel 1872 ipotizzava come il linguaggio umano si fosse evoluto dall'imitazione del canto degli uccelli: col tempo, gradualmente i suoni si erano trasformati in quelle che oggi definiamo parole.
Con la fine della seconda guerra mondiale, quasi a compensare il tempo perduto, furono avanzate diverse teorie a sostegno e contro l'evoluzione del linguaggio, ma soprattutto si cercava di rispondere alla domanda fondamentale sul linguaggio: cos'è?
Se uno scienziato marziano venisse sulla terra, capirebbe subito che tutte le lingue del nostro pianeta sono in realtà una sola, differenziata solo da qualche caratteristica locale.
Con questo esempio alla fine degli anni Cinquanta il giovane Noam Chomsky esordiva nei suoi discorsi sul linguaggio per introdurre la sua Grammatica Universale che consiste di un bagaglio di conoscenze, un repertorio di presupposti universali innati, non appresi, comune a tutte le lingue.
Il modo in cui i bambini imparano a parlare, spiegava Chomsky, implica che il cervello umano abbia una specializzazione geneticamente determinata che è finalizzata al linguaggio.
Ciò spiegherebbe perché l'essere umano fin dalla tenera età sia in grado di formare intere frasi formalmente corrette, pur non conoscendo le regole grammaticali.
Lo scoperta rivoluzionaria di Chomsky consisteva nell' idea che il cervello umano, a differenza di quello degli altri animali, fosse dotato di un “organo del linguaggio” il LAD ((Language Acquisition Device) situato in un particolare tipo di struttura neurologica: un dispositivo fisico, organico che conteneva appunto la Grammatica Universale.
La sua teoria convinse e entusiasmò tutto l'ambiente scientifico: del resto era più convincente della vecchia teoria darwiniana, in quanto poneva l'essere umano su un gradino più alto di quello degli uccelli (semplici animali).
Era solo questione di tempo e anche la ricerca empirica avrebbe avvalorato i suoi studi.
Nel giro di pochi anni la linguistica divenne una disciplina nobilitata, liberandosi dal ruolo satellite che le era stato riservato dallo studio delle Lingue: divenne l'attrazione di molti studiosi, non solo linguisti, ma anche antropologi e sociologi, studenti, di cui Chomsky rappresentava una autorevole guida accademica e carismatica.
Nel 2002 elaborò insieme a due colleghi, la “legge della ricorsività” che andava in qualche modo a completare la Grammatica Universale. La ricorsività era considerata l'unica capacità in grado di confermare il primato dell'uomo tra gli altri animali, in quanto permetteva di inglobare una frase dentro un'altra in una serie anche infinita di pensieri e concetti.
Consapevole del suo carisma e della fama che godeva a livello internazionale in ambiente non solo accademico, Chomsky usò la sua notorietà in politica come attivista anarchico, per denunciare il capitalismo statunitense; per protestare contro la guerra nel Vietnam, ma anche per contestare il marxismo-leninismo dell'Unione Sovietica ...
Così nel 1979 il New York Times considerava Noam Chomsky il più importante intellettuale vivente; mentre nel 2005 un'indagine condotta dalla rivista Prospect-Foreign Policy rivelò che Chomsky era l'intellettuale numero uno a livello mondiale, con punteggio doppio rispetto ad Umberto Eco (secondo classificato).
Nel 2010 l'Enciclopedia Britannica lo inserì tra i cento filosofi più influenti di tutti i tempi insieme a Platone, Aristotele, Confucio, Rousseau, ecc.
Ma nel 2005, mentre Chomsky continuava a scrivere e a promuovere libri a sostegno delle sue teorie, un certo Daniel L. Everett, ex chomskiano, pubblicò sul Current Anthropology i risultati dei suoi studi sul pirahã, lingua parlata dai membri dell'omonima tribù della foresta amazzonica e con la quale aveva vissuto diversi anni.
L'articolo, dal titolo:“Vincoli culturali sulla grammatica e sulla cognizione nel pirahã”, metteva in discussione circa settant'anni di linguistica chomskyana.
Il linguaggio pirahã era molto limitato e scarno: aveva solo tre vocali e otto consonanti. Secondo D.L. Everett, non presentava alcuna delle caratteristiche della ricorsività: ogni frase era a sé stante e si riferiva ad un singolo evento presente: non esistevano parole che indicassero passato o futuro. Non venivano utilizzati i numeri per indicare quantità, misure, ma solo parole come: molto, poco, lungo quanto un albero, ecc.
Era la vita e la cultura semplice dei Pirahã a plasmare il loro linguaggio: uno strumento, artefatto umano che rispecchiava, nella sua semplicità, il loro semplice modus vivendi. Nessun “organo” quindi, era preposto nel cervello dei Pirahã, deputato ad una “grammatica universale”, come invece sosteneva Chomsky.
“ La grammatica dei Pirahã scaturisce dalla loro cultura, non da eventuali modelli mentali preesistenti.”
Quell'articolo, i cui contenuti erano il risultato di comprovati anni di ricerca sul campo e che avrebbero potuto dare un grande contributo scientifico, fu considerato invece un affronto non solo dal grande linguista, ma da tutti coloro che, fedeli alla idea di fondo della Grammatica Universale, rischiavano di perdere credibilità e prestigio accademici. Perciò a loro volta, provarono a smentire i risultati dei lavori di Everett.
Ormai era troppo tardi. Lo studio di Everett pur non avendo suscitato grande entusiasmo tra i chomskiani, aveva però riscontrato grande interesse da parte di molti studiosi. E non solo nel campo della linguistica.
E' iniziata l'era dei Pirahã!
Se il marziano di Chomsky venisse ora sulla Terra, avrebbe un bel po' di difficoltà ad imparare tutte le lingue del mondo.
Neanche il grande Chomsky potrebbe più aiutarlo. Dopo una vita passata a studiare l'argomento, convinto di essere sulla strada giusta, oggi torna a chiedersi: “ Il linguaggio … che cos'è?”