Mosaico di Alessandro - Particolare dell’assalto in sella a Bucefalo contro il re Dario
Le civiltà d'Oriente - Storia dell'India - 3
di Mauro Lanzi
2.3 Il primo impero indiano (326 - 184 a.c.)
I Maurya
Conclusa la lunga digressione riguardante le religioni torniamo alla storia del subcontinente; dopo la conquista del nord da parte degli arii, questa regione aveva conosciuto una rapida crescita con lo sviluppo dell’agricoltura, la nascita di grandi città, lo sviluppo di tutta una serie di attività artigianali e commerciali: si erano venuti affermando diversi reami, dotati di potenti eserciti, con fanterie, cavallerie ed anche elefanti che per la prima volta fanno la loro comparsa sui campi di battaglia. Tra questi reami emerge rapidamente nella pianura gangetica il regno del Magadha, la cui ricchezza è anche testimoniata dalle monete d’argento recanti il suo punzone, ritrovate in notevoli quantità nella zona. Malgrado ciò, ci vorranno altri duecento anni dopo la nascita di Buddha, perché si giunga ad una prima unificazione imperiale dell’India.
La spinta a questa riunificazione venne dall’esterno; l’invasione di Alessandro Magno Alessandro, come ben ricordiamo, aveva sconfitto in forma definitiva il re persiano Dario III nella battaglia di Gaugamela (331 a.c.). Dopo aver riorganizzato l’amministrazione delle nuove conquiste e l’esercito, Alessandro muove verso est per sottomettere le ultime satrapie persiane; sconfigge il satrapo Ossiarte e ne sposa la figlia Roxane per favorire l’integrazione delle etnie, poi prosegue verso il Gandhara, che era caduto sotto la dominazione persiana due secoli prima e pagava un ricco tributo in oro; forse fu il miraggio di queste ricchezze o forse l’ambizione di divenire il signore di tutto il mondo conosciuto che spinge Alessandro a proseguire la sua impresa. Costituito un nuovo esercito con elementi prevalentemente locali, solo gli ufficiali erano tutti macedoni, Alessandro avanza da Taxila (odierna Islamabad) verso nord giungendo fino a Samarcanda e poi ai confini della Cina dove fonda Alessandria Eschate (l’estrema); torna verso sud a Taxila, incontrando una dura resistenza da parte di tribù locali che è costretto a sottomettere con la forza espugnando diverse roccaforti (a destra l’incredibile percorso del Macedone). Assicuratosi l’alleanza del satrapo di Taxila, raggiunge il fiume Indo che supera su un ponte di barche (primavera 326 a.c.): oltre l’Indo si estendeva il regno di un grande raja ario, di nome, si pensa, Pauraya, Poros in greco. Poro affronta Alessandro con un potente esercito, che schierava in prima linea ben 200 elefanti; nella battaglia sul fiume Hydaspes. la cavalleria macedone carica sul fianco gli elefanti, terrorizzandoli con lanci di frecce e giavellotti fino al punto, che, volti in fuga, gli elefanti travolgono la loro stessa fanteria. Alessandro celebra la vittoria in una delle più sanguinose battaglie combattute fondando due città, Alessandria Bucefala (in onore del suo cavallo morto in quella battaglia) e Alessandria Nicea e si appresta a marciare contro il ricco regno di Magadha, quando le sue truppe si ribellano e lo costringono a ritirarsi; la campagna indiana si arresta al fiume Ifasi (Beas), ultimo immissario a Est del fiume Indo. Questo grande fiume con i suoi affluenti venne a costituire così, nel progetto di Alessandro, l'estremo confine naturale e storico del suo immenso impero. Prima di riprendere la via del ritorno, Alessandro fece innalzare sulla riva sinistra del fiume Ifasi dodici altari agli dei, in forma di torri. Al centro una colonna di bronzo portava la scritta: "Qui si fermò Alessandro" (326 a.c.).
Secondo il racconto di Plutarco, negli ultimi giorni della sua avanzata, Alessandro avrebbe conosciuto un brillante giovane indiano, di nome “Sandracotto”, che lo avrebbe incitato a proseguire verso il regno di Magadha, progetto, come visto vanificato dall’ammutinamento delle truppe. In questo personaggio molti hanno voluto identificare Chandra Gupta Maurya, che poi porterà avanti da sé il progetto proposto ad Alessandro, divenendo il fondatore dell’impero maurya. Di Chandra Gupta sappiamo molto poco, sembra anche che fosse di umili origini: di certo approfittò del declino della dinastia Nanda, che controllava lo stato di Magadha; il giovane ambizioso era sospinto dall’esempio di Alessandro Magno, di cui sognava di emulare le gesta ed era assistito dal suo maestro, il filosofo brahmano Kautilya, che divenne in seguito il suo principale consigliere. Proprio grazie ad una sua ambasceria, Chandra Gupta ottenne l’alleanza di Poro, svincolatosi dalla sudditanza macedone, contro i Nanda: quando Poro viene fatto assassinare dai macedoni, Chandra Gupta si impossessa del suo regno ed inizia la guerriglia contro i macedoni che sono costretti a ritirarsi dalla zona dell’Indo (316 a.c.). Con le forze militari così riunite Chandra Gupta dà il colpo di grazia al potere dei Nanda e si mette a capo della reazione del mondo indiano contro i macedoni, approfittando del disordine conseguente alla morte di Alessandro. I Seleucidi, che si erano infine impossessati di tutte le regioni orientali, tentano la riconquista del Punjab e della regione dell’Indo, ma sono travolti dal possente esercito riunito da Chandra Gupta, che sovrastò nel numero e nella tattica i suoi avversari (301 a.c.); nel trattato di pace firmato con Seleuco I Nicatore, viene riconosciuto al Maurya il possesso di vaste regioni, dal Punjab, al Pakistan, all’Afganistan; Seleuco, che forse fu costretto alla pace con il Maurya anche dalla minaccia alle spalle derivante dalla “Guerra dei Diadochi”, ottenne in cambio delle concessioni fatte 500 elefanti con i quali riuscì a prevalere nella “Guerra dei Diadochi” su Antigono I detto Monocolo.
Dell’impresa di Alessandro rimase in piedi comunque un vasto dominio, il regno greco-battriano che sopravvisse fino all’anno 10 a.c., ma è l’impero Maurya che per 200 anni dominerà la storia della regione; Chandra Gupta non era riuscito ad emulare Alessandro nella vastità delle sue conquiste, ma aveva saputo dare al suo regno fondamenta assai solide, un’economia fiorente, un’amministrazione ed una burocrazia efficienti, un forte esercito, che si dice contasse con 600.000 fanti, 30.000 cavalieri, 9.0000 elefanti, oltre ad arcieri, carri da guerra ed altro. La sua capitale, posta nel Magadha, alla confluenza tra il fiume Gange ed il su affluente Son, si chiamava Palitpura (attuale Patna): racconti di ambasciatori greci ne celebrano la vastità, la bellezza e soprattutto gli organismi amministrativi; in questo periodo la società civile indiana compie un vero e proprio balzo in avanti, anche se lo stato si identifica ancora con il sovrano, diverse funzioni e diverse corporazioni assumono una loro fisionomia ed un certo grado di indipendenza, nasce una efficiente amministrazione fiscale che si regge soprattutto sull’imposta fondiaria, si impone una moneta comune il pana equivalente a 3,5 grammi d’argento. Chandra Gupta abdicò nel 301 a.c. per ritirarsi in un monastero jainista.
Dei suoi successori il nipote Ashoka fu forse il sovrano più splendido di tutta la dinastia: giunto al potere nel 268 a.c. dopo una sanguinosa guerra contro i suoi fratellastri (la madre non era di sangue reale), Ashoka impiegò i suoi primi anni per consolidare il suo potere; anche per questo motivo mosse guerra al confinante regno di Kalinga, l’odierna provincia di Orissa, colpevole di aver dato rifugio all’ultimo dei suoi fratellastri(264): Kalinga in realtà era una terra ricca e fertile ed il Maurya scese in campo con tutto il suo esercito per assicurarsene il possesso, in una guerra che costò si dice, più di 100.000 morti. Dopo questa conquista restavano indipendenti solo alcuni regni dravidici (pre-arii) nel sud, il principale il Kerala, abitato ancora oggi da genti tamil. A destra Ashoka sul suo carro
La vittoria permise all’amministrazione maurya di perseguire una politica di pacificazione e tolleranza, favorita anche dalla conversione al Buddhismo dello stesso Ashoka ( il primo sovrano convertito a questa religione): per quanto fervente sia divenuto il Sovrano Maurya in questa fede (convocò anche a Palitpura il primo congresso buddhista per definire il Dharma del buddhismo), egli non cercò mai di imporre questa fede ai suoi sudditi, si preoccupò anzi di ribadire il rispetto di ogni credo con un editto rimasto famoso:
«Sua Maestà il re santo e grazioso rispetta tutte le confessioni religiose, ma desidera che gli adepti di ciascuna di esse si astengano dal denigrarsi a vicenda. Tutte le confessioni religiose vanno rispettate per una ragione o per l'altra. Chi disprezza l'altrui credo, abbassa il proprio, credendo d'esaltarlo.»
Questo è il primo editto di tolleranza religiosa concepito e promulgato nella storia dell’umanità; meriterebbe di essere insegnato nelle scuole.
Le leggi che Aśhoka introdusse rappresentarono una vera rivoluzione culturale; fu proibita la caccia e anche il ferimento di animali, si favorì il vegetarianismo, si ridusse la gravità delle pene (soprattutto corporali), fu concessa almeno 25 volte l'amnistia (25 anni sui primi 26 dall'incoronazione) a prigionieri e condannati a morte, furono costruiti ospedali per uomini e animali, università, ostelli gratuiti per i pellegrini, sistemi di irrigazione e traffico fluviale, e nuove strade. Le leggi non discriminavano i cittadini per casta, fede o schieramento politico; i principi morali del Dharma che queste cercavano di attuare erano non-violenza, tolleranza di tutte le opinioni, obbedienza ai genitori e rispetto per tutti i maestri religiosi, generosità verso gli amici, trattamento umano dei servitori e così via. In generale, le leggi introducevano nuove restrizioni, ma non rinnegavano alcuno dei principi morali preesistenti delle varie religioni che componevano l'impero.
Ad Ashoka dobbiamo anche i primi reperti scritti della civiltà indiana; fece scolpire più di cinquemila parole su rupi e colonne; si tratta di leggi, ammonizioni, consigli a suoi sudditi a cui si rivolge come “figli miei”; alla sommità delle colonne venivano posti, come ornamenti, degli animali; i più famosi sono i tre leoni che compaiono ancora oggi nell’emblema dell’India. I leoni sorreggevano una ruota della legge, che riportava il primo discorso del Buddha a Sarnath. I leoni a loro volta poggiavano su di un capitello che riporta quattro animali, un elefante, un toro, un cavallo ed un leone, separati da quattro piccole ruote.
In campo internazionale, Ashoka sostituì la politica di aggressione ed espansione dei suoi predecessori con una politica di buone relazioni diplomatiche con gli stati confinanti, in particolare con i regni ellenistici in cui inviò missioni ed ambascerie, anche con lo scopo di diffondere il buddhismo. Ashoka è molto presente nell’India di oggi; oltre a località ed alberghi che portano il suo nome, i simboli della sua vita e del suo regno compaiono anche nell’ufficialità: abbiamo visto i leoni divenuti immagine ufficiale del Paese, da menzionare anche la ruota, la “Ashoka Chakra”, un simbolo del buddhismo, che appariva in tutti i suoi editti e che oggi è al centro della bandiera indiana.
Purtroppo l’impero creato da Ashoka non sopravvisse a lungo dopo la sua morte del 232 a.c., a causa principalmente delle lotte tra i suoi eredi, che indebolirono la compagine statale, svalutarono la moneta, annientarono le complesse strutture amministrative create dai primi sovrani: l’ultimo re Maurya viene detronizzato nel 184 a.c. da un suo generale, un brahmano, la cui dinastia si trovò a regnare su di una regione molto meno estesa del precedente impero fino al 72 a.c.
(Continua)