Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Galliano Gallo (Ivrea, 1957 -  ) Fagiolata Cerimoniale Carnevale Ivrea

 

Ivrea, tra Olivetti e Carnevale (3/3)

(seguito)

di Cesare Verlucca

 

Canzoni e scherzi di Carnevale

Per parlare di Carnevale a Ivrea, tra storia, leggenda, cortei, cavalli, battaglie (ovviamente delle arance…), e festività variamente articolate, gli argomenti sarebbero ottimi e abbondanti, proprio come la zuppa descritta al colonnello dal marmittone. Per quanto mi riguarda, e per non farmi mancare niente, io ho persino concorso a implementare il lato canoro della manifestazione.

È noto al colto e all’inclita che c’è un inno ufficiale, la Canzone del Carnevale, che risale al 1858, con testi di Ferdinando Bosio musicati da Lorenzo Olivieri, Una volta anticamente / egli è certo che un barone / ci trattava duramente / con la corda e col bastone…, inno che viene intonato per aprire e chiudere ogni fase  della manifestazione, e in qualunque circostanza si voglia far Carnevale a Ivrea.

C’è un secondo inno, dal riscontro più intimistico e molto più recente del primo, in quanto risale ai primi anni ’70 del secolo ventesimo, A l’é torna Carlevé / noi i soma torna sì; / a-i’ è mac na ròba sola: / i l’oma n’ani ‘d pì… : parole e musica di Gianfranco d’Alberto, generale del Carnevale 1986, con adattamento musicale di Ferruccio Veisi. Il testo è in lingua piemontese e la canzone è un classico delle feste eporediesi.

Il terzo inno, Përchè, përchè, përchè…, ancora in piemontese, mi riguarda da vicino: le parole infatti sono mie e risalgono al 1980, mentre la musica e l’armonizzazione sono state affidate agli stessi autori del secondo inno. Quanto alla vena maliziosa del canto, lascio ai posteri di giudicarne il ritornello:  Përchè, përchè, përchè / Carlevé ven na vòta l’an / e le cite ch’it porte a balé / at la fan luse, e magari at la dan… In verità, nessuno s’è mai sottratto dal compiere, all’occorrenza, il proprio dovere…

Fin qui le colonne sonore. Ma dopo il 1980, mentre il Carnevale ha continuato a evolvere, e non sempre in modo positivo, non sono nati nuovi canti da intonare nelle molte feste che si celebrano tra le cotidiane incombenze e le carnascialesche cose. Tutte, o quasi, le squadre di aranceri a piedi mi risulta abbiano un loro inno di battaglia, che cantano quando sono insieme nei giorni di Carnevale, ma che rimane circoscritto nel loro ambito.

Quelli, invece, che hanno fiorito per un certo tempo sono stati gli scherzi di Carnevale, i quali purtroppo sono andati scemando poco a poco, per l’indiscutibile peggioramento dello "humour" (se si opta per la lingua inglese), o dello  "humor" (se si preferisce un termine americano). Nella nostra amata lingua dove il sì suona, invece, l’umorismo sembra sia andato via via defungendo, e i nostri giovani attuali, anziché utilizzare il detto che “A Carnevale ogni scherzo vale”, si limitano a cliccare tasti sul cellulare per giornate intere, a tavola, al lavoro, a scuola, e persino in chiesa, ignorando che il rapporto umano andrebbe vissuto a voce, e col sorriso.

Tornando ai tempi miei, a Carnevale ho ricevuto scherzi anch’io, e ne ho fatto, specie con l’ausilio dell’amico René, una simpatica lenza che non si tirava mai indietro. A uno di questi, decidemmo di organizzare un matrimonio da celebrarsi il venerdì grasso nella sala dorata del palazzo municipale, sposando il Sindaco in carica a una molto nota consigliera comunale. Io figuravo da padre della sposa, mentre avrebbe celebrato la funzione il Generale del Carnevale, che aveva ricevuto il giorno prima dal Sindaco la fascia del potere.

La sala era piena di amici, molti dei quali, non sapendo che si trattava di uno scherzo, si erano persino commossi al “sì” dei nubendi; poi, uscendo in piazza, gli “sposi” erano stati sommersi dalle consuete manciate di riso. I giornali locali avevano celebrato l’evento, pubblicando un servizio fotografico di un noto fotografo locale, scherzandoci su, ma senza dire chiaramente che era uno scherzo.

Seppi dopo che la cosa ebbe un seguito, in quanto molti doni furono indirizzati alle nostre vittime volontarie, e non ho mai saputo se l’amena storia si sia conclusa a tarallucci e vino, o abbia dato luogo a strascichi legali. Nessuno infatti ci citò in giudizio, ma tutti sanno che, chi di penna ferisce, di penna perisce.

Ci sono stati anche scherzi a livello di intenzione, che non hanno potuto avere luogo per sopravvenuti impedimenti o per un cambiamento di idea. Ne ricordo uno che avevo divisato di mettere in atto (sempre in combutta con l’amico René), e che avrebbe chiamato nella piazza del Municipio una folla abbondante ad assistervi e ad applaudire: le nostre intenzioni erano di realizzare una Preda in piazza in contrapposizione alla Preda in Dora, che è uno dei momenti di maggiore valenza simbolica dello Storico Carnevale di Ivrea.

La Preda ufficiale è nota, e prevede che il Podestà si rechi con il proprio seguito dove esisteva il castellazzo e qui, con la mazza, stacchi una pietra dai ruderi e scenda sul Ponte Vecchio per gettarla in Dora, accompagnandola con l’anatema contro il Marchese del Monferrato, assunto a simbolo di tutte le tirannie: “Hoc facimus in spretum olim Marchionis Montisferrati, nec permittemus aliquod aedificium fieri ubi erant turres domini Marchionis

La cerimonia, di cui si ha notizia certa dal 1608, è stata a lungo dimenticata, ricomparendo a metà del 1900 per diventare stabile nel Cerimoniale dal 1969.

Quello che avevamo in mente noi due era altrimenti vivace, e consisteva nel buttare il Sindaco o l’Assessore alla Cultura dal balcone del civico palazzo nella piazza sottostante. Va da sé che ci saremmo muniti di un opportuno scivolo come quello che usano i pompieri per evacuare i palazzi in fiamme, ma il rischio che il malcapitato funzionario si facesse male esisteva in ogni caso. Avevo perciò interpellato il commissario di P.S. dell’epoca, persona saggia e gentilissima la quale, sorridendo con l’evidente intenzione di prendermi cordialmente per i fondelli, mì aveva detto: «Dottore, sono d’accordo con lei che uno scherzo di carnevale non è un reato di per sé; ma qualunque cosa accadesse al suo sindaco o a chi per lui, lei ne sarebbe responsabile in termini sia legali che, soprattutto, economici…». Debbo ammettere che aveva usato argomenti particolarmente convincenti, e mi astenni.

Tanti altri scherzi furono in quegli anni organizzati dagli studenti di entrambe le organizzazioni goliardiche: l’AUC (Associazione Universitaria Canavesana) e il SOAS (Supremus Ordo Aurei Scorpionis): dalla costruzione in una notte di una parete di mattoni davanti al portone d’ingresso del Liceo Botta, al sequestro del vescovo di Ivrea, il mitico monsignor Luigi Bettazzi, rilasciato dopo l’ottenimento di un congruo riscatto.

Una leggenda metropolitana riferisce che il prelato abbia raccontato l’avventura a un cittadino incontrato la domenica grassa al primo piano del palazzo comunale, dove entrambi assistevano alla battaglia delle arance. I soliti maliziosi sostengo che quel cittadino fossi io, ma io lo nego, sapendo di mentine, come dicevamo all’epoca di una gioventù maliziosa che col tempo si è trasformata, ignorando che si può vivere bene anche scherzando.«Ha saputo cosa m’è successo?», avrebbe chiesto monsignor Bettazzi all’interlocutore.

«Si riferisce al suo sequestro ad opera di quei matti degli studenti?».

«Sì, a quello, – aveva risposto il vescovo. – E sa cos’hanno voluto per liberarmi?».

«Mi dica».

«Una damigiana di vino…».

«A me, tenuto conto delle due parti in causa, sembra una proposta equa. L’ha trovata eccessiva?».

«Non dico questo… Sarebbe bastato che telefonassero in Vaticano…».

«Perché? Avrebbero ottenuto di più?».

«Sicuramente sì, molto di più… ».

«Davvero?».

«Certo… a condizione che mi trattenessero».

Altri tempi, altro spirito, altre amenità…

A me, di persona personalmente, quei tempi, quello spirito, quelle amenità un poco continuano a mancare. Fino a quando durerà il rimpianto?

 

Inserito il:08/08/2021 20:26:30
Ultimo aggiornamento:08/08/2021 20:38:31
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