Combat entre des soldats francs et musulmans, Miniature du XIIe siècle
Storia della Persia - 8
di Mauro Lanzi
Le Invasioni - Turchi e Mongoli
Avicenna morì nel 1037 d.c., quando il mondo islamico si apprestava ad affrontare l’ennesimo sconvolgimento politico; da decenni ormai i confini orientali del califfato erano minacciati da orde di nomadi bellicosi, denominati con il termine generico di Turk, guerriero; già nel 998 un loro capo di nome Mahmud, si era insediato a Ghazni (oggi in Afghanistan) creando un suo sultanato; un altro capo tribù, di nome Selgiuk si era insediato nei territori del califfato, vendendo i suoi servigi di capo mercenario ai vari principati locali. Ben presto i mercenari si erano trasformati in occupanti stabili; convertiti all’islamismo non miravano più a razzie e saccheggi, miravano ad integrarsi nella società persiana. Già nel 1037 un discendente di Selgiuk, Togrul ((il Falco) si era impadronito del Chorassan, nel 1051 era giunto ad Isfahan, nel 1055 occupava Bagdad; qui Togrul si inginocchiò davanti al Califfo, che gli consegnò i simboli del potere, nominandolo suo “protettore supremo”; è questo un passaggio di assoluta importanza nella storia dell’Islam, stabilendosi per la prima volta una chiara demarcazione tra potere religioso, il Califfo, e potere politico; Togrul assunse il titolo di Sultano, “Signore del potere temporale”, titolo che i regnanti islamici ed ottomani manterranno fino ai giorni nostri; il califfato sopravvisse come istituzione religiosa, sottomessa al sultano. Toghrul muore nel 1063,ma i suoi successori continuano l’opera di conquista; il nipote Arp Arslan (sopra) si scontra con l’esercito bizantino condotto dall’imperatore Romano IV Diogene a Mazinkert nel 1071; tradito dal comandante della cavalleria, Romano Diogene è sconfitto e fatto prigioniero ( a sinistra, Romano Diogene umiliato da Arp Arslan): l’avanzata dei turchi selgiuchidi non conosce più ostacoli, viene invasa tutta l’Anatolia, dieci anni più tardi, il figlio Malik Shah giunge ad immergere la sua spada nelle acque del mediterraneo, gesto ricco di significati simboliMazinkert è stato l’evento causa prima delle Crociate, le quali, però, viste dalla prospettiva dei capi islamici assunsero un significato ben più modesto di quello attribuito loro dalla narrazione occidentale; gli scontri con i cavalieri crociati erano visti come guerre di confine contro degli invasori che in nessun caso potevano scuotere le solide fondamenta del sultanato.
I sultani selgiukidi ressero le sorti dell’ex impero abbasside con fermezza e saggezza; i confini furono estesi fino all’Egitto e l’Anatolia, il potere del sultano restava incontrastato, non ci fu neppure l’accenno, almeno sotto i primi sultani, delle contese interne che avevano dilaniato il califfato. Il persiano divenne la lingua ufficiale di corte soppiantando del tutto l’arabo, tutti i ministri e consiglieri del sultano erano persiani, in particolare spiccava la figura del Gran Visir il persiano Nisam Al Mulk, che ricoprì quell’incarico per oltre trent’anni, a partire da 1061, sotto differenti sultani (finirà assassinato dalla setta degli Assassini). A lui si deve la rinascita di Bagdad che tornò ai fasti dei tempi di Mille e una notte; la città contava ormai con un milione di abitanti, ben più popolosa del Cairo o di Cordoba (non parliamo delle minuscole capitali dell’occidente!!), e si era arricchita di un’università, creata proprio da Al Mulk, dove si insegnava di tutto, dal Corano, alla filosofia, alla matematica alla medicina; si guadagnò ben presto fama universale. I sultani selgiukidi però non vollero stabilirsi a Bagdad, città troppo caotica, fissarono la loro capitale ad Isfahan, che da modesta cittadina conobbe con loro un impetuoso sviluppo urbanistico. Ricordo di quest’epoca e del sultano Malik Shah che la fece costruire è la magnifica “Moschea del Venerdì”.
Al Gran Visir Al Mulk dobbiamo anche un altro l’emergere di un altro grandissimo personaggio; si chiamava Omar ibn Ibrahim, poi lui stesso aggiunse al suo nome l’appellativo di Khayyam, letteralmente “costruttore di tende”, forse per rendere omaggio al padre che svolgeva quel mestiere o forse per significare il tessere della tela della sapienza: Khayyam fu un genio eclettico, astronomo, filosofo, matematico; su incarico del Gran Visir, riformò il calendario persiano, fino allora basato sui cicli lunari, trasformandolo in calendario solare, cui dette il nome di “Jalil” in onore del sultano Jalal Al Malik; in questo lavoro, fu il primo ad introdurre la nozione di anno bisestile, cinque secoli prima del calendario gregoriano, con una precisione di calcolo superiore a quella del calendario gregoriano stesso; il calendario rimase in uso quasi un millennio ed è alla base del moderno calendario persiano. Di grande interesse sono anche i suoi lavori nel campo della matematica e della geometria; fu il primo ad individuare i numeri irrazionali, cioè numeri che non possono essere espressi come rapporto tra due numeri interi, come ad esempio la radice quadrata di 2 o il pi greco; a lui sono dovuti i metodi di soluzione delle equazioni cubiche ed i primi elementi di algebra geometrica.
Il motivo però per cui il nome di Khayyam è giunto fino a noi è la sua opera poetica, i Rubaijat (quartine), in cui l’autore canta l’amore, la gioia di vivere, i piaceri del vino e dell’ebrezza che cancella gli affanni; oggi i suoi scritti sono oggetto di censura in Iran: proviamo a rileggerne qualche verso..
“L'albero della tristezza, non piantarlo nel tuo cuore. Rileggi ogni mattina il libro della gioia.”
“Non c'è nessuno che conosca il segreto del futuro. Quello che vi serve è del vino, dell'amore e del riposo”
“ah, afferra gli spiccioli e lascia perdere il credito,
e non badare al rullo di un Tamburo lontano!
O, mia amata, riempi la coppa che sgombra l’Oggi
dai Rimpianti passati e dai Timori futuri:
domani! Chissà. Domani forse sarò
io stesso di settemila anni..”
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- I Mongoli
Nel secondo secolo della sua dominazione, anche l’impero selgiuchide andò incontro allo stesso destino che era toccato a tutti i precedenti imperi di questa regione, cioè la frammentazione; cominciarono ad affermarsi principati indipendenti, sui quali il sultano di Bagdad non aveva più alcuna autorità: Si cominciò con l’Egitto (sultanato del Cairo), poi fu la volta della Siria (emirato di Damasco) e poi via via tutti gli altri emirati che andavano sorgendo a Shiraz, ad Isfahan, a Ghazni. A Bagdad, alla fine, non restò che una piccola striscia della Mesopotamia, sopra di cui regnava un redivivo califfo.
Non era certo questa l’organizzazione politica che poteva reggere l’urto della tempesta che si stava preparando ad est; le steppe della Mongolia avevano sempre ospitato tribù bellicose, capaci di condurre devastanti incursioni nei paesi limitrofi, per poi ritirarsi con il bottino: mancava loro un capo riconosciuto da tutti, che emerse verso la fine del XII secolo nella persona di Temujin, un capo tribù capace di elevarsi sopra gli altri grazie alle sue doti militari. Temujin fu capace di riunire sotto il suo comando tutte le genti mongole, tartare e turche, facendosi nominare infine Khan-ga-khan (1189), col nome di Gengis Khan. Gengis Khan fu soprattutto un geniale comandante in guerra, organizzò un apparato militare invincibile per quei tempi, conquistando in un brevissimo periodo un impero che andava dalla Cina alla Russia. Alle frontiere della Persia i mongoli giunsero dopo la morte di Gengis Khan, 1227 d.c., ma poi la progressione fu rapidissima, sotto la guida di Hulegu, nipote di Gengis; i mongoli ed i loro alleati, tartari e turchi agivano con ferocia inaudita, dovunque giungessero lasciavano rovine fumanti e piramidi di teste mozzate; così furono distrutte fiorenti e splendide città come Samarcanda e Bukhara. Nel 1258 fu investita Bagdad; l’ultimo califfo abbasside rifiutò insensatamente la resa, la città fu quindi presa d’assalto e distrutta sistematicamente; quaranta giorni durò l’agonia della splendida città, furono uccisi più di mezzo milione di abitanti, tra cui tutti gli eruditi e gli artisti, i mongoli non avevano alcun rispetto per arte e cultura. Il califfo con tutta la sua famiglia fu massacrato sotto gli zoccoli di cavalli imbizzarriti.
L’anno 1258 chiude un’epoca di splendore durata più di tremila anni, legata a nomi leggendari come Babilonia, Ctesifonte e, appunto, Bagdad che era divenuta come il compendio di un passato glorioso; un patrimonio inestimabile di arte e cultura andò distrutto, soprattutto si perse il punto d’incontro tra cultura orientale ed islamica e cultura occidentale, che qui si erano conosciute ed amalgamate.
Della vecchia Persia rimasero in piedi i principati di Isfahan e Shiraz, che avevano avuto il buon senso di piegarsi all’invasore ed erano sopravvissuti pagando un tributo. Col tempo gli invasori si liberarono dalla loro rozza e primitiva ferocia, cominciarono ad amministrare il paese conquistato e per questo si dovettero servire di consiglieri e ministri persiani; l’arte e la cultura persiane, che si erano salvate nei principati di Isfahan e Shiraz, cominciarono a diffondersi in tutto il paese, ancora una volta la Persia riuscì a sopravvivere alla tragedia e a fondersi con l’invasore. Nasce in questo periodo anche una nuova forma di espressione artistica, la miniatura: i mongoli, pur convertiti alla fine all’islam, non condividevano l’avversione dei musulmani ortodossi per la rappresentazione delle figure umane; consentirono quindi lo sviluppo di nuove forme espressive, deliziose rappresentazioni di giardini, corti con uomini ed animali.
Uno dei pochi vantaggi del periodo mongolo fu la libera circolazione di uomini ed idee per tutto l’impero mongolo, se così si può chiamare l’insieme di Khanati politicamente indipendenti, ma comunque legati da rapporti di parentela e di cultura; così l’arte, l’architettura ed anche la lingua persiane si diffusero in questo periodo in tutti i territori governati da khan di origine mongola, da Samarcanda, dove regnava Tamerlano, conquistatore di inaudita ferocia, ma anche raffinato esteta (a sinistra il suo mausoleo), fino all’India, dove le influenze persiane sui grandi monumenti Moghul sono incontestabili: non basta, il persiano divenne la lingua franca di tutto l’oriente, alla corte di Dehli il persiano era la lingua ufficiale, a Costantinopoli era comunemente usato accanto al turco, Marco Polo e Kubilay Khan si intendevano in persiano.
La perdita per la civiltà persiana causata dalla distruzione di Bagdad non fu mai sanata, ma con il suo sacrificio la Persia fecondò una parte del mondo.
Assedio di Baghdad - 1258