Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Bernardo Bellotto (1721 - 1780) – Veduta di Dresda

 

Germania ultimo atto (6)

(seguito)

di Mauro Lanzi

 

Tempesta di fuoco

Dopo il fallimento dell’offensiva tedesca nelle Ardenne, le operazioni sul fronte occidentale erano riprese con una lentezza forse eccessiva da parte degli Alleati; ciò che non aveva mai cessato di operare era l’aviazione, con bombardamenti sia sul fronte che sulla Germania.

Le incursioni aeree in Germania erano state negli anni’42 ’43 l’unica forma di guerra che l’Inghilterra fosse in grado di condurre contro il nemico, essendo sulla difensiva in tutti gli altri settori. A capo di questa attività fu posto un personaggio che diverrà famoso (ed anche molto criticato) sir Arthur Harris, poi noto come “Bombing” Harris. Le prime incursioni avevano preso di mira obiettivi militari, con azioni prevalentemente notturne, ma ben presto gli inglesi dovettero concludere che i risultati di queste incursioni erano modesti ed il costo, in termini di perdite umane e di apparecchi, molto elevato. Harris allora propose di cambiare obiettivi, mirare alle città: il precedente, ovviamente, lo avevano dato i tedeschi con i loro bombardamenti sulle città inglesi, famoso o famigerato tra tutti quello su Coventry; Churchill aveva dichiarato allora che, se i bombardamenti tedeschi fossero andati avanti per qualche settimana ancora, l’Inghilterra non avrebbe retto, sarebbe stata costretta a cedere.

L’Inghilterra in quell’anno era stata salvata dall’attacco tedesco alla Russia, ma l’antecedente delle dichiarazioni di Churchill rafforzò le tesi di Harris, che stese un elenco di città tedesche su cui operare i famigerati “bombardamenti a tappeto” per mettere in ginocchio il nemico, da Berlino, a Colonia, ad Amburgo e decine di altri obbiettivi. Anche questa fase si dimostrò meno facile e proficua del previsto per la gagliarda difesa messa in atto dalla contraerea e dai caccia tedeschi. Con l’entrata in guerra degli americani nel’43 le cose cambiarono di poco, almeno inizialmente, malgrado le rodomontate di Harris, che aveva garantito a Churchill vittoria sicura entro l’aprile ’44, con 15000 incursioni su Berlino; malgrado devastazioni e perdite, il morale della Germania sembrava non essere intaccato, la produzione bellica non accennava a diminuire.

All’inizio del ’44, gli americani riuscirono ad adattare al loro caccia Mustang P-51 il motore Rolls Royce, prodotto dalla Packard su licenza inglese; ne risultò un apparecchio da combattimento con prestazioni considerevolmente più elevate rispetto ai Messerschmidt tedeschi (a destra squadriglia di Mustang); impiegato in accompagnamento alle missioni dei bombardieri, questo caccia in pochi mesi ripulì letteralmente i cieli dall’aviazione nemica, ponendo le basi del successo dello sbarco in Normandia e delle successive operazioni.

Il dominio dello spazio aereo incoraggiò il moltiplicarsi delle missioni; gli americani, però, nel loro pragmatismo si resero conto ben presto che il tallone d’Achille del nemico non erano le città, né le ferrovie o le fabbriche, ma il petrolio: iniziarono allora una sistematica campagna di distruzione di depositi, raffinerie, centri di produzione di benzina sintetica e quant’altro avesse a che fare con l’approvvigionamento di carburanti: in due mesi, maggio e giugno ’44, le riserve di carburante della Germania si erano ridotte alla metà ed il trend proseguì nei mesi successivi. Inutilmente Speer compiva miracoli sfornando in continuazione aerei dalle sue fabbriche, se mancava il carburante; si arrivò al punto, nei primi mesi del ’45, che non c’era neppure benzina per i voli di addestramento di nuovi piloti, i carri armati che uscivano dalle fabbriche venivano caricati su pianali ferroviari, per ovviare alla mancanza di carburante.

Questi dati inoppugnabili non riuscirono ad intaccare l’ossessione di Harris per i bombardamenti sulle città; ne mancavano ancora una decina sul suo tristo elenco, tra queste spiccava Dresda.

Dresda, situata sul fiume Elba, è la capitale storica della Sassonia ed ha conosciuto il suo periodo aureo nel XVIII secolo sotto Augusto II e Augusto III, Re di Polonia e Principi Elettori di Sassonia. In questa epoca la città si riempì di monumenti, chiese e palazzi ispirati al barocco italiano, che le valsero il titolo di “Firenze sull’Elba”: dal palazzo reale, alla cattedrale, allo Zwinger, singolare edificio, oggi museo, all’Operahaus, ed altri monumenti che facevano (e ancora fanno) di questa città un unicum in tutta la Germania.

Arte e Arti - articolo - Dresda rinata nel segno di Bellotto //I due Re furono anche dei munifici mecenati e fecero incetta di opere d’arte, italiane soprattutto, che ancora si possono ammirare nei musei della città, da Caravaggio a Mantegna ad Antonello da Messina a Raffaello (la “Madonna Sistina”); a Dresda operò come pittore di corte il Bellotto, nipote del Canaletto ed impropriamente noto anche lui con questo nome. Proprio le famose vedute del Bellotto guidarono gli architetti che nel dopoguerra realizzarono la ricostruzione della città, opera realmente eccezionale.

(Le immagini al contorno sono un omaggio a questo straordinario vedutista; sopra, a destra la “Frauenkirche”, cattedrale protestante della città, in un quadro del Bellotto, e la stessa dopo il bombardamento: chi visita oggi Dresda vede la chiesa come nel dipinto del Bellotto).

  1. Per la sua fama di città d’arte, per il suo immenso patrimonio culturale, Dresda si riteneva fuori pericolo; non ospitava fabbriche militari, né obiettivi strategici degni di nota, ma a Yalta era stato deciso di colpire le vie di comunicazione, forse per soddisfare una richiesta di Stalin, per quanto l’esperienza degli americani avesse ampiamente dimostrato che esistevano obiettivi molto più sensibili delle città per piegare il nemico. La notte del 13 Febbraio 1945 due successive incursioni di 800 bombardieri Lancaster inglesi (a destra in basso) colpirono la città, scaricando quasi 3000 tonnellate di bombe, tra esplosive ed incendiarie: ad esse fece seguito un’altra incursione della USAF la mattina dopo con altre 1250 tonnellate di bombe. Le bombe incendiarie scaricate con gli attacchi notturni inglesi crearono una temperatura tremenda, 1500 gradi. Si alzarono fiamme altissime sulla città, con conseguenti forti correnti ascensionali che, richiamando aria fredda al suolo, generarono un vento violento rasente terra che risucchiava letteralmente le persone nelle fiamme, un fenomeno già noto come “tempesta di fuoco”; come non bastasse, l’incursione americana, la mattina dopo, incendiò i quartieri vecchi; il surriscaldamento richiamò ancora aria fredda dalla periferia generando un vero e proprio tornado, un’altra apocalisse.

Per colmo di paradosso, le vie di comunicazione, oggetto presunto dell’attacco, rimasero sostanzialmente intatte.

Secondo la propaganda nazista in un giorno erano morte più di 300.000 persone; gli Alleati stimarono in 30/35000 i morti tra gli abitanti della città, ma questo calcolo, inteso ovviamente a sminuire le responsabilità della strage, non teneva in conto, probabilmente, il gran numero di profughi dall’est che avevano cercato riparo a Dresda, in fuga dalle violenze dei sovietici: nessuno sa quanti fossero. Dopo la guerra Adenauer dichiarò un numero di 250.000 morti: la cifra esatta, nemmeno approssimata, non la sapremo mai.

Il bombardamento di Dresda resta, qualunque sia la conta dei morti, uno dei più grandi ed inutili misfatti degli Alleati nell’ultima guerra, misfatto contro l’umanità e contro l’arte, paragonabile in questo alla distruzione di Monte Cassino. Lo stesso Churchill se ne rammaricò, in ritardo. “Bombing” Harris rimase al suo posto, pur investito da una valanga di critiche; a fine conflitto fu anche decorato.

(Continua)

 

Inserito il:27/07/2020 12:29:28
Ultimo aggiornamento:08/09/2020 10:26:07
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